La prima fase del confronto tra Regioni e Miur
Per capire come l'attuale confronto tra Miur e Conferenza Stato/Regioni sullo schema di decreto legislativo relativo al 2° ciclo abbia segnato una trasformazione sostanziale nei rapporti, è sufficiente ripercorrere l'agenda del confronto.
Cominciamo dalla prima fase.
Fino a poche settimane fa, l'agenda riguardava i seguenti argomenti:
i contenuti dello schema di decreto, che ha ricevuto il 14 luglio il parere negativo della Conferenza. Il parere è particolarmente dettagliato e al di là del giudizio politico (invito al Ministro di ritirare il decreto), contiene valutazioni molto pertinenti soprattutto contro la licealizzazione dell'istruzione tecnica. Quest'ultima scelta, in effetti, nasconde altro: con il passaggio ai licei, il Miur cerca di sottrarre alle Regioni la competenza esclusiva del pezzo più prestigioso e quantitativamente importante di tutta la secondaria. Lo stesso tentativo - proprio mentre si decideva la riforma del Titolo V della Costituzione - era stato compiuto dal Ministro Berlinguer nel 1999, ma in quel caso la licealizzazione era solo formale, dato che non metteva in questione la natura prevalentemente professionale ("terminale") dei curricoli degli istituti tecnici;
la "quota regionale" del curricolo prevista dall'articolo 2, lettera l) della legge 53/03 deve intendersi sostitutiva o integrativa della "quota" di flessibilità curricolare assegnata "in fase transitoria" alle scuole dal DPR 275 del 1999, conosciuto come regolamento sull'autonomia? Il Miur cerca di giocare le scuole contro i poteri locali, prima ignorando la spinosa questione poi dimostrandosi generoso nella assegnazione dell'intera quota alle Regioni;
chi gestisce che cosa e in che tempi. Si tratta di definire i percorsi che consentano ai due soggetti principali (Miur e Regioni) di regolare il flusso decisionale (tempi, scadenze, procedure, risorse, ecc.) relativo alla gestione dell'attuazione dei nuovi ordinamenti senza contraddirsi o scontrarsi, ma in modo coerente e coordinato .
Con questi problemi aperti, la storia dello schema di decreto, respinto dalle Regioni, sembrava comunque, come altre volte, conclusa con l'invio dello schema di decreto al Parlamento per il prescritto parere e l'approvazione definitiva del Consiglio dei Ministri.
Così non è stato.
Cerchiamo di capire perché.