Alcune riflessioni finali
La cultura pedagogica impregnata di profonda diffidenza per le istituzioni, considera i problemi della scuola relativi a promozioni e bocciature come dei fastidiosi accidenti, che vengono ad interrompere il dialogo educativo. Accidenti causati in fondo dalla “burocrazia”, dalle necessità poco comprensibili delle istituzioni che vorrebbero sempre mettere le braghe al mondo. La stessa cultura pedagogica vede invece come cose di primaria importanza la trasmissione dei contenuti culturali o la cura delle relazioni, in chiave spesso psicologica.
Ma il setting in cui i giovani passano questi loro anni decisivi è forse la cosa più importante nella formazione. Tutta la narrativa europea dell'Ottocento e del Novecento è lì a dimostrarlo. E del setting fanno primariamente parte le regole , ivi comprese quelle di premio-punizione, che sono parte essenziale del rapporto dei ragazzi con gli adulti insegnanti con cui debbono misurarsi. Perciò queste regole dovrebbero essere parte fondamentale del progetto educativo di una scuola: esse comprendono naturalmente molto di più di ciò che avviene agli scrutini, ma questi fanno parte essenziale del rapporto educativo e non possono esserne una appendice ignorata, casuale e a volte incongruente.
D'atra parte nella questione delle bocciature, l'aspetto educativo è solo una delle facce da prendere in considerazione. Le altre - in primo piano come si è visto nel dibattito internazionale- sono l'utilità di questo strumento per il miglioramento degli apprendimenti ed il suo costo in termini macroeconomici, in relazione naturalmente ai benefici che se ne traggano.
Ora, non pare diffusa l'idea che la ripetenza sia comunque in tutti i casi inutile e dannosa – tanto è vero che son pochi i Paesi che l'hanno messa al bando e sono per lo più quelli in cui probabilmente ragioni sociali e culturali la rendono meno indispensabile come deterrente. Mentre pare sempre più condivisa dai decisori politici l'idea che costi molto e che serva a poco . Poiché tuttavia essa ricopre anche un carattere morale ed educativo di sanzione, si è attenti a metterla al bando completamente, anche perché questo è l'aspetto che viene più sentito dagli insegnanti, che sono in prima linea in una situazione difficile, nel mondo occidentale, per quanto riguarda il rapporto con le regole.
Tuttavia la situazione italiana presenta una peculiarità: le bocciature sono concentrate in misura macroscopica negli istituti professionali (ed in misura minore negli istituti tecnici), andando a configurare un fenomeno diverso da quello a carattere psicologico- individuale su cui di solito si assesta la discussione, se avviene fra insegnanti e pedagogisti. Si tratta di un vero e proprio fenomeno sociale, che segnala l'incapacità di una parte notevole della popolazione scolastica di adattarsi all'offerta formativa che si trova davanti.
E non ci vuole molta fantasia per ritenere che l'alta percentuale di bocciature sia in un qualche rapporto con gli abbandoni scolastici. Mentre, infatti, nella maggior parte dei casi nei licei ed in parte anche nei tecnici la bocciatura si traduce in ripetenza, nei professionali porta per lo più all'abbandono, appena possibile. Ed è quel 19,2% di abbandoni precoci registrati per l'Italia nel 2009 dalla Unione Europea che prelude al dato del 23,4% fra i 15 ed i 29 anni – Rapporto di Banca d'Italia dell'8 .11.2011 - che hanno solo la terza media, non lavorano e non sono inseriti in nessun percorso di formazione professionale. Lungi dal mitizzare il valore salvifico di un periodo formativo sempre più lungo, come giustamente sostiene fuori dal coro Norberto Bottani, c'è da tener conto, tuttavia, che i nostri 15enni che abbandonano gli studi non sempre sono i ragazzi autonomi e volonterosi degli anni ‘50 che cercavano una loro valorizzazione nel lavoro. Più sovente rischiano di finire nella terra di nessuno di chi non studia né lavora.