Cosa ci dicono gli studenti immigrati sulla qualità dei sistemi educativi?

Cosa dice il Focus n. 33

Aumento degli immigrati nei Paesi OCSE: diverse destinazioni diversi risultati

Fra il 2000 ed il 2009 nei  paesi OCSE la proporzione di quindicenni immigrati è cresciuta dall’8 al 10% in 13 Paesi, in altri una crescita del 2% ha portato ad un totale di più del 5%. In Italia la crescita ha portato dal 3 al 5%. Crescendo il flusso di immigrazione , è cresciuta la diversità nel retroterra economico-sociale e nei risultati degli immigrati.
Studenti immigrati che condividono una comune cultura di origine e condizioni socio- economiche simili  ottengono tuttavia risultati molto diversi nei diversi sistemi scolastici.
Studenti russi in Germania, Finlandia ed Israele ottengono risultati da 30 punti (l’equivalente di un anno di scuola) a 50 punti in più di quelli che studiano nella Repubblica Ceca o in Grecia. Gli studenti turchi ottengono risultati al di sotto della media OCSE ma vanno dai meno 45 punti di chi studia in Olanda ai meno 115 punti di chi studia in Austria. Differenti destinazioni, differenti risultati.
Lo stesso fenomeno si osserva fra gli studenti OCSE che sono immigrati in altri Paesi.

I fattori che determinano le differenze a parità di status socio economico e di Paese di origine

  1. Politiche scolastiche. Le ampie differenze fra studenti di status economico sociale simile e di comune origine suggerisce che le scuole e le politiche scolastiche nei Paesi ospitanti esercitano una significativa influenza.

  2. Politiche di immigrazione, politiche sociali.  La spiegazione di queste differenze sta anche nelle politiche di immigrazione e in generale nelle politiche sociali.

  3. Affinità e differenze fra culture.   Un’analoga influenza è esercitata dalle affinità o differenze fra le culture.

Pur nell’assunzione dell’insieme dei fattori di influenza,  rimane indubbio  che alcuni sistemi educativi siano più capaci di altri di integrare e minimizzare le differenze fra immigrati ed autoctoni.

A parità di status socioeconomico le differenze nei  risultati  fra immigrati e autoctoni calano dove è maggiore il flusso migratorio

Le differenze nei risultati fra studenti immigrati e autoctoni di status socioeconomico simile sono più piccole nei Paesi in cui gli immigrati sono numerosi e registrano differenze di status  pari a quelle del complesso della popolazione. Uno studente su 4 o 5 in Australia,Canada, Israele e Stati Uniti è immigrato ed in quei Paesi tutti gli studenti con stesso stato economico-sociale ottengono risultati dello stesso livello.
Al contrario, nei Paesi in cui la percentuale degli immigrati è piccola ed il suo status è diverso da  quello della popolazione complessiva, le differenze sono più ampie.

L’importanza di assumere la sfida della diversità

Gli studenti immigrati tendono a fare meglio dove si assume e si tiene alta la sfida della diversità e si è abbastanza flessibili da adattarsi a bisogni diversi.
Questa constatazione potrebbe essere interessante per i Paesi che si apprestano ora a ricevere ondate migratorie.

In Italia

PISA si è occupata molto, nelle sue analisi secondarie, di immigrazione, un fenomeno che potenzialmente, oltre che un problema, può costituire una risorsa.
Si tratta di contributi  importanti perché possono aiutare anche il nostro Paese ad impostare il problema in termini razionali e non pietistico -assistenzialistici. Tanto più che – è la tesi del Focus – nei diversi Paesi i risultati di comunità di immigrati omologhe ottengono risultati diversi a causa delle politiche che vi vengono intraprese.
Già nel Focus 29 era stato rilevato che laddove gli immigrati condividano la cultura e soprattutto la lingua con gli autoctoni, la situazione  non presenta problemi e le differenze di rendimento scompaiono.
Comunità ampie e differenziate socialmente al loro interno sembrano dare maggiori garanzie di buon livello scolastico e perciò implicitamente di integrazione, visto che questo presuppone un buon uso della lingua locale. Certo c’è il rischio che diventino indipendenti ed ingovernabili come nel caso inglese, ma li forse ciò dipende molto dal fatto che gli inglesi, considerandosi superiori, non vogliono assimilare alcunché. Non è il rischio che corrono gli italiani.

Una esperienza personale in scuole di un territorio del Nord Italia caratterizzato da forti fenomeni migratori mi suggerisce alcune riflessioni. Il problema della lingua è cruciale e va affrontato dai primi anni con forti strumenti compensativi. Imparare dalla full immersion vale per le lingue ma non per contenuti che veicolano: chiederemmo ai bambini di essere dei supereroi!
Parlare di stranieri in generale è scorretto:ogni nazionalità ha le sue caratteristiche cognitive e comportamentali che vanno assecondate o modificate senza ipocrisie e sensi di colpa. Gli allievi provenienti dai Paesi maghrebini presentano problemi di comportamento (aggressività per i maschi e passività per le femmine), i pakistani hanno una struttura famigliare molto tradizionale che impedisce i deragliamenti ma può tarpare le ali, i romeni spesso eccellono in matematica etc etc. Bisogna avere il coraggio di non rifuggire dalle generalizzazioni (che peraltro tutti gli insegnanti silenziosamente fanno) per aiutare ognuno a dare il meglio di sé. Non è vero che non vi sono costanti culturali, il problema è non ghettizzare gli allievi in schemi immodificabili.
Ad una certa età la differenza culturale scompare e prevale il desiderio di assimilazione nel gruppo come avviene per tutti gli adolescenti: è un momento molto delicato che va ben governato perché il rischio dell’assimilazione al ribasso è più forte che per gli autoctoni..
Se gli insegnanti italiani potessero pensare e scrivere in modo non convenzionale sulle loro esperienze in proposito, ne uscirebbero riflessioni e consigli molto più sagaci del buonismo coatto dei formatori di professione.

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