La crisi della scolarizzazione tradizionale
La riproposizione di quelle scelte (attenuate dall'evidente mediazione tra chi vuole la scuola unica e chi intende preservare un minimo di pluralismo nell'offerta dei percorsi secondari) non tiene conto della messa in discussione in tutta Europa delle politiche di scolarizzazione fondate sulla “comprensività”, inaugurate nell'immediato dopoguerra dai governi socialdemocratici.
Le attuali scelte dei governi europei sia liberali che socialdemocratici, dimostrano che su alcuni concetti relativi alla scolarizzazione della popolazione meno favorita si è arrivati a condividere alcune analisi, che oggi costituiscono le linee guida della maggioranza delle politiche europee.
In sostanza per aumentare il tasso di democratizzazione della scuola (eguaglianza, equità, merito, pari opportunità, mobilità sociale, occupazione giovanile) è preferibile perseguire politiche basate su alcune valutazioni ormai abbastanza chiare:
i percorsi “liceali” e quelli professionali devono avere pari dignità (ciascuno deve essere riconosciuto nella sua identità di carattere didattico, organizzativo, pedagogico e nella sua autonomia di obiettivi); va quindi superara la gerarchia che si basa sul prestigio e il valore di quelli che insegnano le materie “culturali” in quanto materie disinteressate, contrapposte allo scarso prestigio delle materie professionalizzanti,
la scuola media unica non deve più essere concepita, come è tuttora , il primo ciclo dell'insegnamento liceale (per curricolo, organizzazione, obiettivi, ecc.), per il semplice fatto che la maggioranza degli allievi si iscriverà a percorsi tecnici e professionali, e solo un esigua minoranza otterrà la laurea. La scuola media si è dimostrata incapace di far progredire in modo consistente una parte importante dei suoi allievi (quasi il 40% dei licenziati sono classificati “sufficienti ”, che nei fatti significa insufficienti e gravemente insufficienti). Per dirla con François Dubet si tratta di “una contraddizione insormontabile”, una sorta di ginnasio nei programmi e nei metodi, pensato in termini di “eccellenza per tutti” che è una formula paradossale che conduce di fatto alla marginalizzazione dei più deboli” .
il prolungamento della scuola media nel biennio unico, unitario o integrato, che dir si voglia, non è in grado di essere utile a tutti quegli allievi che chiedono un percorso “interessato ”, cioè che rifiutano la cultura della gratuità tipica del percorso liceale riservato ai ceti borghesi. L'impostazione del biennio unitario provoca immancabilmente l'allineamento della pedagogia del fare, della tecnica e del lavoro con quella dominante della parola e del manuale, che ha profonde radici storiche e culturali nelle classi dominanti. È preferibile salvaguardare una pedagogia che sia in grado di riparare i danni dell'insuccesso scolastico, che riesca a restituire agli allievi una sufficiente stima di sé e la percezione di avere successo nel perseguimento dei propri interessi e delle proprie scelte;
la permeabilità dei percorsi non va cercata nella loro unificazione, ma nella diversificazione. Per evitare che i percorsi diventino divergenti e chiudano gli allievi in ghetti, bisogna gestire le porte in uscita e non aprire quelle in entrata . In altre parole bisogna investire risorse per costruire una “carriera” tecnica e professionale (ed anche dell'apprendistato) che arrivi ai più alti livelli di competenza non accademica. Bisogna abituarsi a gestire le diversità piuttosto che ridurre la varietà che, anche in pedagogia, è sinonimo di ricchezza e di libertà. Aver “licealizzato” l'istruzione professionale e tecnica (ed ora anche la formazione professionale) accentua quindi la distanza con i licei e non l'inverso. La licealizzazione è un processo che separa, non unifica, e, tanto meno, riesce ad integrare. Se si vuole evitare la costruzione di indirizzi divergenti e segreganti, bisogna diversificare le metodologie, le sedi (compreso il lavoro in alternanza), gli strumenti di insegnamento ed anche i criteri di eccellenza: ciascun percorso deve avere il diritto di affermare la propria eccellenza, senza alcuna dipendenza o comparazione con quella liceale.
Da questi concetti deriva la conseguenza che ogni politica e ogni intervento riformatore si debbono basare su una analisi realistica e su una effettiva comprensione dei bisogni espressi implicitamente o esplicitamente dall'utenza, evitando di prescrivere a tutti quello che soddisfa l'allievo “tipico” di una “tipica” famiglia borghese.