La costituzione del 1948: continuità del centralismo

•  Dopo la parentesi del regime fascista, che accentuò il centralismo statale, la nostra Costituzione riconfermò la scelta centralista.

•  Nei dibattiti della Costituente ci furono sì posizioni federaliste, ma il più coerente federalista, Emilio Lussu, dovette rinunciare a portare avanti le sue posizioni, del tutto minoritarie. Non solo, fu anche ampio lo schieramento anti-regionalista.  

•  In ogni caso le regioni furono previste, anche se, come noto, sono state pienamente realizzate dopo quasi un trentennio dalla promulgazione nel 1948 della Costituzione. Furono istituite delle regioni a statuto speciale (Sicilia, Sardegna, Vai d'Aosta, Trento-Bolzano), che configurarono, comunque, delle eccezioni periferiche al modello dello Stato-Nazione che continuava dal Regno d'Italia.

•  Le Regioni, che nelle intenzioni dei costituenti avrebbero dovuto essere una concessione a un principio di decentramento amministrativo, nella realtà ebbero piuttosto la funzione politica di consolidare tacitamente un “compromesso storico”, ripartendo rispettive sfere di sottogoverno di maggiore influenza, per aree regionali “bianche” e aree regionali “rosse”, dove già tali influenze politiche elettorali preesistevano, si pensi ai casi esemplari del Veneto e dell'Emilia. Una delle conseguenze di tale compromesso sarebbe stato, secondo alcuni critici, un incremento dell'assistenzialismo. In ogni caso con tale intesa compromissoria, il modello centralista dello Stato-Nazione non fu superato.

•  In conclusione, il risultato pratico, secondo alcuni storici, è stato quello non di attenuare ma piuttosto di duplicare lo statalismo centralista, dilatando la burocrazia e aumentando, e non diminuendo, le distanze tra la gestione della cosa pubblica e la società civile. A tale proposto lo storico Zeffiro Ciuffoletti afferma: “La riforma fiscale del 1971-73, azzerando l'autonomia fiscale degli enti locali, trasformandoli in centri di spesa irresponsabili e trasferendo tutto il potere fiscale allo Stato centrale ha generato un circuito perverso in parte responsabile dello spaventoso debito pubblico italiano, di gran lunga il maggiore dei paesi dell'Unione Europea. Gli sviluppi recenti del ‘regionalismo cooperativo', sommati alla mancata riforma degli apparati centrali, hanno finito per produrre altre disfunzioni con la duplicazione delle competenze, la ulteriore dispersione delle risorse e la fuga delle responsabilità. In sostanza, l'esperienza regionale italiana è nata e si è concretizzata secondo un modello di deresponsabilizzazione finanziaria. Lo stesso può dirsi delle autonomie comunali, dove da un ventennio sono in vigore le pratiche di governo che esaltano quasi esclusivamente la capacità di spesa e di intervento” (Aa.Vv., Il federalismo tra filosofia e politica, Nuoro 1998, p. 273). In ogni caso, né l'ordinamento regionale attuale, né un federalismo fiscale su cui potrebbe convergere un largo schieramento parlamentare, attuerebbero, di per sé, un modello federale di Stato-Nazione.

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