L'ipotesi neo-guelfa e la sua eclissi

•  Secondo quella che viene considerata la ‘costituzione materiale', sottesa alla sua formalizzazione giuridica in dichiarazioni costituzionali, la formazione costituzionale moderna più adeguata alla penisola italiana sarebbe stata quella confederale o federale. Ciò fu pensato agli inizi della modernizzazione politico-giuridica della penisola dopo la Rivoluzione francese del 1789; essa si affermò dopo l'invasione napoleonica e quindi dalla nascita delle cosiddette “Repubbliche giacobine” italiane del triennio 1797-1799.

•  Il progetto confederale dei neoguelfi, monarchici, cattolici liberal-moderati piemontesi, dell'abate Vincenzo Gioberti, del marchese Massimo D'Azeglio, di Felice Ballo, e altri minori simpatizzanti di altre regioni, si inserì con un rapido e notevole successo ideologico tra il 1844 e i primi mesi del 1848 (in cui crollò definitivamente) essendo adeguato, allora, a quel panorama storico. Esso rispondeva bene a una tendenza compromissoria generale che mirava a contemperare la conservazione della pluralità dei principati pre-moderni esistenti nella penisola, con una loro moderata modernizzazione costituzionale, in una aggregazione nazionale italiana di tipo confederale, il cui equilibrio sarebbe stato garantito sia dal primato politico-militare della monarchia sabauda, sia dal primato morale e civile del Papato.

•  Ciò che determinò il rigetto integrale dell'ipotesi neoguelfa fu l'irrigidimento della Francia e dell'Impero Austro-ungarico per diverse ma convergenti ragioni di stato e di potenza. Ciò confermò che un qualsiasi progetto di indipendenza e unificazione politica nazionale nella penisola italiana non poteva prescindere da un'intesa con le potenze europee.

Una scelta centralista imprevista

•  La prima, essenziale considerazione storica è che nessuna forza politica risorgimentale e nessuna corrente aveva previsto e voluto, con anticipo di qualche anno, quel particolare ordinamento giuridico di Stato monarchico-nazionale unitario, esteso a tutta la penisola.

•  Non solo non era stato previsto e voluto lo Stato nazionale unitario e monarchico, ma non era nemmeno stato progettato prima quello schema di forte centralismo politico-territoriale e amministrativo, secondo un modello francese napoleonico, attuato dal 1861 al 1865 dai governi della Destra storica liberalmoderata, post-cavurriana. 

•  Il modello centralista francese napoleonico non faceva parte della tradizione politica e culturale liberal-moderata risorgimentale. Il conte di Cavour (e i monarchici liberal-moderati cavurriani piemontesi e associati) era anglofilo negli orientamenti di politica economica, in cui affermò dagli anni '50 il liberoscambismo commerciale. Sul piano costituzionale e amministrativo, i cavurriani non erano affatto assertori di un centralismo rigido, anche amministrativo, di modello cesarista napoleonico. Seguivano piuttosto i modelli dei liberal-moderati francesi nelle tendenze di Benjamin Constant e di Guizot.

•  Lo schema di forte centralizzazione nell'organizzazione politico-territoriale e amministrativa, secondo il modello francese napoleonico, non fu dunque opera del conte di Cavour (deceduto nel 1860), ma dei governi immediatamente successivi, nel quinquennio 1860- 1865, in particolare per opera del barone toscano Bettino Ricasoli (1861) e del generale Alfonso Lamarmora (1865).

•  Cavour , ancora alla fine del 1859, in coerenza con gli accordi di Plombières (1858), pensava piuttosto a tre grandi formazioni statali nella penisola: del Nord, del Sud e del Centro, in cui era prevista la continuità di un residuo Stato pontificio circoscritto al Lazio, di cui la Francia era stata la garante.

•  Cavour non solo non prevedeva uno stato nazionale unitario esteso alla penisola, ma restava estremamente diffidente verso l'iniziativa politico-militare garibaldina di liberare il Regno delle Due Sicilie, sapendo che a questa impresa era sottesa l'ipotesi mazziniana di accendere e propagare, risalendo da sud al centro, una guerra rivoluzionaria di popolo che avrebbe imposto la Repubblica anche al Nord.

•  Re Vittorio Emanuele II fu invece affascinato dal miraggio di diventare, d'improvviso e insperatamente, sovrano di un nuovo grande stato nazionale in Europa, reso possibile dall'appoggio diplomatico decisivo assicuratogli dalla Gran Bretagna , la quale vedeva due vantaggi:

•  Vittorio Emanuele II, con l'assicurazione dell'appoggio della diplomazia inglese, diede dunque il suo benestare preventivo e segreto a Garibaldi, scavalcando il suo primo ministro, il conte di Cavou. Garibaldi potè così sbarcare in Sicilia, protetto dalla squadra navale britannica.  

•  Con più o meno riserve mentali, di buon grado o meno, Garibaldi nel 1860 e Mazzini, profeta più disarmato, poi, subordinò l'ideale democratico-repubblicano risorgimentale alla priorità dello Stato-Nazione unitario. La subordinazione garibaldina non fu di totale rinuncia ai postulati risorgimentali, ma certamente sanzionò, in quel momento cruciale di transizione, un compromesso storico decisivo a favore del programma del blocco monarchico liberal-moderato.

•  Cavour fu altrettanto deciso e abile del Re. Respingendo qualsiasi altra formula, procedette a far ratificare giuridicamente le annessioni militari dei territori dell'Italia centrale e meridionale con i plebisciti, che sanzionarono con schiaccianti maggioranze i ‘fatti compiuti' di fronte all'insieme internazionale degli Stati, superando definitivamente all'interno gli indugi e le incognite di un eventuale Congresso costituente. Il nuovo Regno d'Italia nacque, giuridicamente, come un'estensione territoriale di quello di Sardegna. Il Re continuò a chiamarsi Vittorio Emanuele II, e il nuovo Stato nazionale unitario fu proclamato al parlamento subalpino di Torino, che afferrò l'occasione anche per acclamare Roma capitale d'Italia, come sarebbe diventata il 20 settembre 1870.

•  Paradossalmente, il repubblicanesimo risorgimentale mazziniano-garibaldino fu sconfitto e subordinato all'egemonia monarchica liberal-moderata piemontese, in base proprio al primato di quella idea-forza dell'unità nazionale di tutta la penisola, che era stata una rivendicazione originaria non dei liberal-moderati, ma delle correnti repubblicane più democratiche.

Questo è stato, in rapida sintesi, il percorso politico-istituzionale che ha portato alla scelta centralistica; scelta che è stata contestata da gruppi politici minoritari nel corso dell'Ottocento, senza alcuna possibilità di uno sbocco politico.

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