Relazione di Carlo Marzuoli

Ordinario di Diritto Amministrativo
Dipartimento di Scienze Giuridiche dell’Università di Firenze

Introduzione: il problema.

Un sentito ringraziamento per l’invito. Convegni come questo sono iniziative importanti: permettono un confronto con esperienze reali e offrono la possibilità di verificare e riflettere sul rapporto intercorrente fra le istituzioni come devono essere e le istituzioni come sono. È una dimensione indispensabile per comprendere, anche dal punto di vista giuridico e istituzionale, i problemi dell’istruzione. Un Maestro era solito affermare che la prima esigenza da soddisfare, quando si devono esaminare questioni giuridiche (per elaborare delle norme o per risolvere delle controversie), è la conoscenza dei fenomeni, dei fatti che pongono il problema giuridico. I fatti, in questo caso sono la Vostra esperienza, gli anni di studio e di lavoro di Bruno Ciari e quelli di tantissimi altri (docenti o studiosi) impegnati nel mondo della scuola.
Il tema in discussione è il destino delle scuole dell’infanzia comunali di Bologna; se dentro un assetto istituzionale che è quello della scuola con un diretto legame con il Comune o se invece in un assetto istituzionale incentrato sui servizi alla persona e con un legame diretto con un ente distinto dal Comune, nel caso l’Azienda Pubblica dei Servizi alla Persona (e solo indiretto nei confronti del Comune).
Per trovare adeguata soluzione, occorre delineare il quadro di riferimento entro cui tali scuole vanno collocate.

Il rapporto fra scuola e struttura pluralistica della Repubblica

L’alternativa che si pone in questo momento per le scuole dell’infanzia del Comune di Bologna deriva da aspetti di ordine più generale, che rimandano al concreto rapporto fra due distinte entità giuridiche e istituzionali, che sono il pilastro dello Stato democratico. Da un lato vi è la scuola, con la sua insopprimibile identità (si comincia con gli articoli 33 e 34 Cost. e si giunge all’art. 117 Cost.: l’istruzione e l’istruzione e formazione professionale, le norme generali sull’istruzione, i livelli essenziali delle prestazioni dell’istruzione, l’autonomia scolastica), e dall’altro la struttura pluralistica della Repubblica. La riforma costituzionale del 2001, pur con tutti i limiti e i difetti, su un aspetto almeno fa definitiva chiarezza: la Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato. Il consolidamento – fermo il rispetto della Costituzione – di una diffusa e partecipata organizzazione delle modalità di esercizio (e di presenza) della sovranità popolare dovrebbe più facilmente costringere le istituzioni e le amministrazioni a corrispondere ai bisogni dei cittadini e, innanzitutto, a meglio interpretarli e a contribuire in modo più efficace alla valorizzazione delle esperienze che maturano nella comunità.

L’esigenza di coerenza istituzionale

Sempre, e perciò anche nel rapporto fra queste due entità giuridiche, scuola e istituzioni politiche, il primo elemento da sottolineare è quello della coerenza istituzionale.
Il diritto e le istituzioni sono spesso (troppo spesso) immaginate e (soprattutto) trattate come se fossero “cose” concretamente influenti solo quando si usa la coercizione. Non è così. Le istituzioni e il diritto “dirigono” la vita di ogni giorno senza bisogno che ogni volta e in caso si debba ricorrere all’uso della forza; orientano i comportamenti per il semplice fatto che vi sono. Le norme producono un risultato effettivo (nel complesso). Basta non limitarsi a considerare, solo perché (ovviamente) più visibili, i comportamenti devianti e avere invece sempre presente gli infiniti comportamenti di osservanza spontanea delle regole, che sono quelli che mantengono in vita – vita “vera” – le istituzioni e il sistema giuridico di riferimento.
La maggioranza delle persone, per fare un esempio, rispettano il segnale rosso del semaforo anche quando non vi è l’agente di polizia che possa accertare l’infrazione; chi è giuridicamente obbligato provvede all’adempimento (dell’obbligo contrattuale, del dovere d’ufficio, ecc.) anche quando non vi è qualcuno che possa rilevare un’ eventuale deviazione per poi sanzionarla; e così via. Vi è una consapevolezza pratica, concreta, della necessità dell’osservanza spontanea della norma come condizione indispensabile per ogni civile convivenza. Dunque , le istituzioni e i sistemi giuridici sono in qualche modo comparabili a delle vere e proprie macchine capaci di produrre certi risultati.
Ebbene, se in una macchina i pezzi sono connessi in modo inadeguato, incongruo, contraddittorio, la macchina non funziona. Ciò vale anche per le istituzioni e per il diritto.
Conclusione (mi si scusi per lo schematismo): il diritto ha una forza reale a prescindere dai profili di coazione. Ma un assetto istituzionale e organizzativo difficilmente potrà conseguire i risultati attesi (“funzionare”), se non ha il necessario tasso di coerenza.

La questione che interessa deve essere impostata alla luce delle premesse enunciate. D’altra parte, e con questo il discorso sul punto si chiude, esse sono diritto vigente, visto che l’art. 97 Cost. prescrive il principio di “buon andamento” degli uffici e delle attività di qualsiasi istituzione pubblica.

La scuola dell’infanzia è scuola

Scuola dell’infanzia. Dove e come incardinarla: come collegarla alle istituzioni rappresentative delle rispettive comunità.
Per quanto detto, il primo criterio a cui fare riferimento è quello della coerenza dell’assetto giuridico e istituzionale.

Ai sensi dell’ordinamento vigente, la scuola dell’infanzia, dal punto di vista giuridico, è scuola. Non vi sono dubbi. Può essere nata per altri motivi, ad esempio per ragioni assistenziali o per altre finalità; ma, oggi, è sicuramente parte del sistema giuridico di istruzione e formazione. E’ un’appartenenza che si ricava da tanti aspetti e da tante norme, norme a Voi tutti note (in particolare: L. n. 53/2003, art. 2, sul “Sistema educativo e di istruzione e di formazione”; D.Lgs. n. 59/2004, sulla “Definizione delle norme generali relative alla scuola dell'infanzia e al primo ciclo dell'istruzione”, ecc.; D.P.R. n. 89/2009).

Scuola e autonomia scolastica nell’art. 117 della Costituzione

La scuola e l’istruzione, a loro volta, hanno una propria un’individualità giuridica, che trae la sua ragione di essere dalla Costituzione. Di conseguenza, necessitano di un regime giuridico appropriato. Infatti: se una “cosa” è giuridicamente qualificabile come scuola (e non, ad esempio, come assistenza, o come attività imprenditoriale, o come paesaggio, ecc.), deve essere poi ulteriormente disciplinata e regolata in modo coerente con detta qualificazione.

Le implicazioni sono numerose. L’istruzione ha un’identità e un regime giuridico apposito dal punto di vista del riparto delle competenze fra gli enti che costituiscono (art. 114 Cost.) a Repubblica (Comuni, Province, Città metropolitane, Regioni, Stato), competenze diverse che sono diverse ma convergenti ai fini della regolamentazione e del funzionamento della scuola, e vanno dalle norme generali sull’istruzione (allo Stato) fino all’autonomia delle istituzioni scolastiche, secondo quanto stabilito dall’art. 117.
Questi aspetti costituzionali concorrono a disegnare l’identità di quella “cosa” che chiamiamo scuola. Ciò, in termini di strutture, di principi organizzativi, di diritti e di obblighi, rimanda immediatamente da un lato all’indispensabile collegamento con lo Stato e con le istituzioni territoriali locali (in primo luogo la Regione) e da un altro all’autonomia scolastica.
Dell’autonomia fino ad oggi realizzata si possono dare valutazioni differenti; in Costituzione, però, il punto è chiaro: l’istituto scolastico deve essere autonomo. Dunque la via da percorrere è quella di rimuovere (magari senza ulteriori ritardi) quei fatti e quelle norme che sono insufficienti (o addirittura contrastanti) e non certo quella di ridurre il significato e la portata costituzionale dell’autonomia. L’autonomia non è un vezzo, non è lo strumento inventato da una corporazione a tutela di interessi propri; essa è l’esigenza fondamentale da soddisfare affinché l’insegnamento e l’istruzione possano svolgere efficacemente la propria funzione. L’autonomia sta a significare che l’insegnamento e l’organizzazione dell’insegnamento non possono essere ricondotti entro la tipologia dell’ordinaria amministrazione burocratica. Non vi è dubbio che la scuola abbia bisogno di rapporti e di legami, stretti, coordinati, produttivi, con altri settori dell’amministrazione (servizi alla persona, lavori pubblici, trasporti, ecc.), ma la scuola non può con essi confondersi perché ha una sua fisionomia, che è, in primo luogo, quella dell’autonomia dell’istituzione scolastica, e conseguentemente una sua propria missione e una sua propria responsabilità.

Così è per la scuola e così è – inevitabilmente – per la scuola dell’infanzia, che è scuola (vedi di recente Corte Costituzionale n. 279/2012).

Principio di coerenza e passaggio all’ASP (Azienda pubblica di servizi alla persona)

La ragione di tanta insistenza sull’identità della scuola e in particolare, nel caso, della scuola dell’infanzia è evidente. Se la
scuola ha una determinata identità giuridica, in applicazione del principio di coerenza, le ulteriori regole con cui essa deve essere disciplinata non sono libere. La sua identità, fondata sulla Costituzione, contrassegna i binari entro cui si devono mantenere la legislazione, il governo e l’amministrazione quando vanno a determinare e ad articolare le specificità delle funzioni e dell’organizzazione della scuola.

Dato il contesto, è difficile immaginare che il principio di coerenza possa essere adeguatamente rispettato nel caso di incardinamento della scuola in una struttura amministrativa come l’Azienda di Servizi alla Persona (di cui di recente la L.R. n. 12/2013, contenente “Norme ordinamentali e di riordino delle forme pubbliche di gestione del sistema dei servizi sociali e socio-sanitari. Misure di sviluppo e norme di interpretazione autentica in materia di Aziende pubbliche di servizi alla persona”), che diversa dell’istituzione politica di riferimento (il Comune, nel caso) e creata appositamente per gestire compiti da tenere necessariamente distinti e separati da quelli della scuola.
Può anche darsi (in ipotesi) che un riassetto di tal genere possa essere conveniente a certi effetti (penso ai problemi posti in concreto dai vincoli alle assunzioni o ad altri profili), ma detti aspetti in ogni caso non possono alterare quanto osservato. Tali altre questioni non possono giustificare scelte incoerenti e debbono essere affrontate e risolte per altre strade, in modi che rispettino una minima coerenza istituzionale.
Il matrimonio della scuola dell’infanzia con queste Aziende di Servizi alla Persona, versione moderna delle vecchie IPAB, a quanto pare, non sembra (dal punto di vista giuridico) da sostenere. La scuola è altra cosa, opera su altre premesse, vive in un’altra dimensione, esige che si assumano le coordinate giuridiche che sono proprie del sistema scuola.

A specificità di funzione, specificità di organizzazione: la specificità dell’organizzazione è un fattore identitario della funzione: l’istruzione. Del resto, questa identità è ben presente a legislatore dell’Emilia Romagna che disciplina le ASP in riferimento ai servizi sociali e socio-sanitari ed educativi, ma non alla scuola dell’infanzia (art. 1, c. 2, LR n. 12/2013).

Un legislatore su cui vigilare (il D.L. n. 101/2013, convertito con L. n. 125/2013)

In tema di coerenza (o incoerenza) di un sistema giuridico e istituzionale il primo attore è il legislatore. L’esperienza dimostra che non è affidabile come si vorrebbe e dunque deve essere oggetto di permanente vigilanza (perché comunque con il legislatore si debbono fare i conti).
Proprio nella vicenda di cui si parla è sopravvenuta una norma (l’art. 4, comma 12 del D.L. n. 101/2013, convertito con L. n. 125/2013), che aggiunge i servizi scolastici alle funzioni delle Aziende Speciali (quelle previste e disciplinate dal Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, D. Lgs. n. 267/2000, il cui art. 114, c. 5-bis è perciò modificato), a cui sembrano equiparabili le ASP oggetto della L.R. n. 12/2013. Il Presidente Donini ha illustrato i problemi relativi all’interpretazione della norma ed ha spiegato che essa, con l’espressione “servizi scolastici”, è da intendere riferita non alla scuola, ma ai servizi che sono complementari e connessi alla scuola. Dunque, per questa via, si dovrebbe escludere che detto comma consenta che la “scuola” dell’infanzia possa perdere la sua identità con l’assimilazione a uno dei compiti propri di un’ Azienda Speciale.

Vi è inoltre da aggiungere che il futuro della disposizione già appare in qualche misura incerto. Il d.d.l. “Legge di stabilità 2014” (Atti Senato, d.d.l. n. 1120, art. 15, c. 19), in corso di formazione, prevede – allo stato – la sostituzione dell’intero comma 5-bis dell’art. 114 D. Lgs. n. 267/2001(contenente la disposizione di cui si parla) e la sottoposizione delle Aziende ai medesimi limiti e vincoli che operano per i Comuni.

Una prospettiva da recuperare

Dopo decenni di esperienze scolastiche, culturali, lavorative e di evoluzione legislativa che ci dicono che la scuola dell’infanzia è scuola, non è accettabile (per un minimo di coerenza istituzionale) che, per effetto di due parole spuntate in un decreto legge, pur se convertito, si possa ritenere sovvertito e ribaltato un sistema giuridico e istituzionale consolidato. Si può certo cambiare, ma non con la fiammata di un comma. Non è possibile che un legislatore con la mano destra improvvisi una norma in netto contrasto con ciò che con la mano sinistra ha scritto con un percorso di decenni, per di più se quest’ultimo è anche il legislatore costituzionale. A coerenza (di ciò che sta prima) deve corrispondere coerenza (di ciò che sta dopo).
Occorre recuperare una prospettiva corretta. Anche i problemi che coinvolgono la scuola e il personale della scuola debbono essere risolti in applicazione di un principio di coerenza. Per quanto qui interessa sono da richiamare due profili.
Il primo. La scuola ha una sua identità costituzionale che si consolida nell’autonomia scolastica. L’autonomia scolastica richiede un rapporto diretto con l’istituzione politica che esprime la sovranità popolare; non vuole troppi intermediari. Del resto, la Costituzione non prevede (in modo espresso) alcun ente che si frapponga fra scuola ed ente territoriale.

La proliferazione delle “Amministrazioni parallele”

Il secondo profilo va ben oltre le restrizioni dettate dalla crisi; si tratta di un problema di ordine assolutamente generale e di lungo periodo. Gli enti pubblici costituzionalmente necessari come Comuni, Province , Città Metropolitane, Regioni, e Stato sono assoggettati a determinati principi perché sono, intrinsecamente e inequivocabilmente, “pubblici”. Costituiscono la forma giuridica che organizza, rappresenta e fa vivere la popolazione di riferimento. Di conseguenza sono regolati da principi derivanti da tale loro natura: imparzialità, trasparenza, buon andamento, controllabilità, ecc.
A questi enti si sono progressivamente affiancati migliaia di altri enti (la cui riduzione appare un compito ancora da portare a termine), spesso creati allo scopo di poter operare, in tutto o in parte, senza dover rispettare quei principi. E’ il fenomeno spesso denominato delle “amministrazioni parallele”, che finivano per sfuggire al controllo di chiunque. In verità, non è un buon sistema (un sistema “coerente) che un ente sicuramente pubblico (un Comune, una Regione, lo Stato, ecc.), salvo casi limitati, giustificabili in ragione di indiscutibili particolarità, possa creare o affidare suoi compiti ad un altro ente pubblico o addirittura a un ente con forma giuridica privata (una società, ad esempio) solo al fine di eludere l’applicazione di principi fondamentali.
Ad esempio: vi è da assumere? se agisco come Comune (o come Stato, o come Regione, ecc.), devo fare il concorso; se agisco in altra veste, per interposta persona, specie se l’interposto veste i panni tipici dei privati (panni societari, ad esempio) forse no; vi è da attribuire un contratto di milioni di euro per un’opera pubblica? se agisco come Comune, debbo procedere con gara, se mi creo un apposito soggetto privato forse no; sopraggiungono tetti di spesa, limiti alle assunzioni, e simili? se agisco ecc. ecc.
Il fenomeno (non solo italiano, peraltro, e noto da sempre) si è posto all’attenzione in modo evidente da qualche decennio, grazie in particolare al Diritto europeo, e la legislazione è intervenuta per ridurre sempre più la possibilità di mutare le regole applicabili semplicemente cambiando l’abito (invece dell’ente pubblico che il reale interessato un altro ente pubblico o, addirittura, un ente in forma privata).
Di nuovo appare ed opera il principio di coerenza (fra “sostanze giuridiche ” e “forme giuridiche”). Ciò vale per resistere all’assorbimento o all’annacquamento della scuola in altro tipo d amministrazione (come l’assistenza o simili) – come detto - ma non può non valere anche oltre e dunque anche per un assetto ragionato e adeguato in punto di vincoli derivanti da esigenze di finanza pubblica.
Nel caso specifico della scuola dell’infanzia comunale i problemi, come si vede, dovrebbero essere affrontati alla luce dei caratteri essenziali dell’intero assetto della scuola; quanto meno, ciò dovrebbe costituire il parametro per mantenere la coerenza del sistema anche quando si tratta di singoli mutamenti. D’altra parte, così operando, si chiederebbe al potere pubblico regionale e locale solo di esercitare un ruolo che da tempo ad esso compete, e che non è dismissibile.

La scuola della Repubblica  non è scuola dello Stato. E’  scuola “nazionale”

La scuola della Repubblica, infatti, non è scuola dello Stato. E’ scuola “nazionale”, cioè un insieme istituzionale necessariamente collegato al complesso delle altre istituzioni politiche. La Regione e il potere locale sono chiamati a misurarsi (quanto meno dal 2001, riforma del Titolo V) con i problemi della scuola come tale, scuola dell’infanzia compresa. Misurarsi con la scuola significa affrontare in primo luogo il tema della condizione giuridica dei titolari della funzione docente, che non cambia quale che sia il luogo in cui si esercita e quale che sia il datore di lavoro, che potrebbe (dovrebbe) ristrutturarsi abbandonando l’esclusivo riferimento allo Stato. La identità dello statuto del docente, infatti, è – a ben vedere – una delle essenziali ragioni fondanti l’autonomia scolastica, di ogni scuola. Questa è la prima coerenza da rispettare, su tutti i piani, a tutti gli effetti.


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