L'effetto benefico delle emozioni positive sull'apprendimento
Se le emozioni negative producono una restrizione dell'attenzione, del pensiero critico e analitico, le emozioni positive hanno effetti benefici sull'apprendimento, rendono più ampia l'attenzione, producono pensiero creativo e olistico.
Martin E. P. Seligman, che ho già citato, è direttore del Centro di Psicologia Positiva all'Università della Pennsylvania ed è il padre del filone delle emozioni positive rivolto alla costruzione della felicità. Un suo bel testo, Authentic Happiness, è stato tradotto in italiano con il titolo “La costruzione della felicità. Che cos'è l'ottimismo, perché può migliorare la vita” (M. Seligman, La costruzione della felicità, Sperling& Kupfer Editori, 2007)
L'educazione positiva nei contesti scolastici
In un recentissimo articolo Seligman et al. (Oxford Revue of Education “ Positive education: positive psychology and classroom interventions, Martin E. P. Seligman, Randal M. Ernst, Jane Gillham, Karen Reivich, Mark Linkins, 2009) sostengono che è necessario promuovere un' “educazione positiva” a scuola. L'educazione positiva si basa sul concetto di “psicologia positiva”, quella psicologia cioè che tende a riattivare nelle persone emozioni positive, quali la gioia, la curiosità, l'interesse. Ma non solo, Seligman insiste anche e fortemente sull'impegno, sulla capacità di affrontare le cose con passione, e soprattutto spinge a dare un significato a ciò che si fa.
L'educazione positiva ha almeno tre grandi obiettivi, porsi come:
antidoto alla depressione (molto diffusa fra bambini e adolescenti contemporanei)
mezzo per aumentare la soddisfazione nella vita
aiuto per migliorare l'apprendimento e per promuovere il pensiero creativo
Le scuole hanno enormi potenzialità nei confronti della prevenzione dei maladattamenti e delle depressioni e della promozione di iniziative orientate al benessere.
Seligman ha varato nelle scuole una serie di programmi applicativi delle sue teorie, frutto di ricerche costosissime, basti pensare che nell'articolo sopracitato ha affermato di avere ricevuto a questo fine 2.800.000 dollari dal governo degli Stati Uniti!
Seligman sostiene che, dal momento che oggi i bambini trascorrono moltissimo tempo all'interno dell'istituzione scolastica, la scuola ha il dovere ineludibile di fare prevenzione e contrastare le emozioni negative. Occorre creare un ambiente orientato al benessere degli alunni, al loro star bene, tanto da metterli in condizione di sentirsi felici di andare a scuola.
Il programma varato da Seligman e altri si chiama Penn Resiliency Program (PRP) ed è applicato nelle scuole Usa da circa 20 anni.
Esso si pone gli obiettivi di:
aumentare la capacità degli allievi di fronteggiare lo stress quotidiano e i problemi tipici dell'età;
promuovere l'ottimismo, insegnando a pensare in modo realistico e flessibile ai problemi;
insegnare ad essere assertivi, a svolgere brainstorming creativi, a prendere decisioni, a fare rilassamento.
Il PRP, che è applicato a bambini e adolescenti (dagli 8 ai 15 anni) di varie razze, nazioni (USA, Regno Unito, Australia, Cina e Portogallo) e condizioni socio-economiche, si è rivelato uno strumento notevole di prevenzione della depressione e dell'ansia.
Che cosa viene fatto in concreto per realizzare questi obiettivi?
Si conducono i ragazzi a ragionare sul loro vissuto.
Per esempio si chiede loro di scrivere tre cose belle che sono capitate durante la settimana (è chiaro che alcuni ne hanno più di tre, altri fanno fatica a trovarne una), poi si lavora in gruppo ragionando su questioni come: “Perché ti sembra una cosa bella? Che cosa hai fatto per averla?” E così via. E' un esercizio sulle emozioni, sulle sensazioni di benessere o di malessere, un costante tentativo di promuovere l'ottimismo. Certo non un ottimismo irrealistico, nevrotico, secondo cui tutto va bene anche se tutto è catastrofico, un ottimismo, al contrario, che consiste nel riuscire a guardare avanti anche se si è in condizioni difficili e nel riuscire a scoprire e ad assaporare cose positive anche nelle fasi di difficoltà.
Riferendosi alle tre cose belle successe durante la settimana, Seligman dice: ”E' evidente che c'è un scala di valori, alcune cose possono essere minimali (es. aver fatto bene un compito), oppure grandi (finalmente il ragazzo, di cui sono innamorata, mi ha guardato), ma il fatto che si riesca ad assaporare anche le piccole cose è un elemento estremamente importante”.
E ancora in questi programmi si fa il brainstorming creativo, si lavora sulle decisioni, sul rilassamento, si fanno corsi di assertività.
Dai followup che sono stati fatti (è stato possibile farli poiché sono 20 anni che si applicano questi programmi nelle scuole) risulta che, in alcune scuole il metodo ha funzionato benissimo (per esempio come paravento alla depressione, come aumento del benessere e così via), in altre pochissimo. Per cui ci si è interrogati sul perché il programma non funzioni sempre.
Quello che si è riscontrato è che un elemento cruciale è rappresentato dai group leaders, dalle persone che svolgono concretamente il progetto. Possono essere anche gli insegnanti a realizzarlo, ma Seligman sostiene che devono in ogni caso essere persone molto preparate, molto motivate, non vi può essere improvvisazione, tanto più che sono programmi che si svolgono su vari piani: a livello di grande gruppo, di piccolo gruppo, di piccolissimo gruppo ed anche di diade. Ci sono quindi scansioni che bisogna saper padroneggiare molto bene.
L'importanza della “resilienza” e il ruolo esercitato dalla scuola
Il programma esaminato, il PRP, significa programma di “resilienza”. Vediamo allora di esaminare un po' più in dettaglio il concetto di resilienza.
La resilienza è la capacità di resistere agli urti esistenziali. E' un tema a lungo trattato dall'inglese Sir Michael Rutter, seguito poi da molti altri
Rutter ci chiarisce che questo tipo di resistenza non deve necessariamente essere applicato a tutte le situazioni. Non può essere una capacità totalizzante, si può essere resilienti in alcuni settori, ma non in altri, l'importante è saper esercitare la resilienza quando si devono riprendere cammini che sembrano perduti.
C'è una bellissima ricerca di Rutter, svolta alla fine degli anni Ottanta, che aiuta a capire bene questo concetto.
La ricerca ha preso in esame il percorso di ragazze che erano state istituzionalizzate (ragazze che avevano subito abusi, o maltrattamenti, o abbandoni ecc..) e che lui aveva analizzato in anni precedenti. Rutter ha in particolare studiato non quelle che si erano perse, ma quelle che ce l'avevano fatta, nel senso che avevano finito gli studi, lavoravano, si erano sposate, erano delle madri decenti, ecc.. (esistono indicatori obiettivi di questa riuscita).
Ebbene quello che Rutter ha constatato è che l'ancora di salvezza per queste ragazze era stata la scuola, nel senso che a scuola avevano trovato la possibilità di aumentare la loro resilienza.
Come?
Non perché fossero brave negli studi. Rutter lo chiarisce subito: non è la bravura il criterio di riuscita. C'era stato però almeno un ambito, almeno una materia, in cui queste ragazze erano riuscite, poteva essere anche una materia secondaria, ma c'era stato un settore in cui si erano sentite molto coinvolte e, tra virgolette, “brave”.
Un secondo punto risultò essere il fatto che a queste ragazze erano state affidate delle responsabilità, ad esempio tenere la cassa della classe, fare la capoclasse, ecc…. Attraverso l'impegno di responsabilità avevano imparato anche ad organizzare la propria vita nel quotidiano. E' un aspetto che noi dimentichiamo spesso: organizzare la propria vita,la scansione dei compiti, le lezioni, il fatto di stare al passo. Questo aveva dato loro un'inquadratura che era stata poi esportata nella vita.
Vedete che cosa può fare la scuola!