Lalla Romano


Lalla Romano (Cuneo 1906- Milano 2001). Cresciuta in un clima ricco di sollecitazioni culturali, dopo il liceo si iscrive alla facoltà di Lettere dell'Università di Torino. Nel 1928 si laurea a pieni voti in letteratura romanza. A Torino, dove vive con il marito, insegna storia dell'arte in vari istituti, continuando a coltivare la sua passione per la poesia e la pittura. Il giudizio positivo di Eugenio Montale su alcuni suoi versi, la incoraggia nel 1941 a pubblicare la sua prima raccolta di poesie, Fiore.

Cesare Pavese le commissiona la traduzione dei Tre racconti di Flaubert (1943).

Nel dopoguerra riprende l'insegnamento e inizia a lavorare ad una raccolta di brevi testi in prosa, Le metamorfosi, con cui nel 1951 esordisce nella narrativa. Nel 1953 viene dato alle stampe il suo primo romanzo Maria, che ottiene, in seguito all'elogio di Montale sul «Corriere della Sera», un notevole successo di critica; e l'anno successivo vince il Premio Veillon.

Con il suo quarto romanzo, La penombra che abbiamo attraversato, nel 1964 si rivela al grande pubblico. Quindi nel 1969 raggiunge un successo ancor più grande con Le parole tra noi leggère, vincitore del Premio Strega e best-seller dell'anno.

Seguono numerose opere. Nel 1987 il romanzo Nei mari estremi rievoca la malattia e la morte del marito. Infine nel 1989 vince il premio Procida-Isola d'Arturo/Elsa Morante con Un sogno del Nord. Negli ultimi anni ha pubblicato Le lune di Hvar (1991), Ho sognato l'Ospedale (1995), In vacanza col buon samaritano (1997), L'eterno presente. Conversazione con Antonio Ria (1998), Dall'ombra (1999).

Muore a Milano, il 26 giugno 2001

 

Una preside risorgimentale (1992)

Una volta mi fu chiesto di definire la nostra Preside. Dissi : E un personaggio. Poi aggiunsi: risorgimentale.

Per me dire personaggio è una lode, capace, credo, di esprimere qualcosa di sentito anche dai colleghi e da quanti conoscono la signorina Bertoni. Perché voglio dire un essere vivo, di carattere risentito eppure difficile a definire. Va bene che «omne individuum ineffabile», in ultimo, ma non occorre troppa fantasia per sapere che le vere personalità, originali, sono rare (come sono rari i personaggi vivi nell'arte). So che questa definizione può apparire di carattere estetico più che morale, ma non è vero. In realtà indica proprio l'una e l'altra cosa insieme. Infatti la nostra Preside è stata ai nostri occhi un personaggio non solo in certi momenti, in certi atteggiamenti, ma ha dato un accento personale alla esplicazione quotidiana dei suoi doveri, al suo zelo che non ha mai conosciuto riposo, e non è stato mai abitudinario, conformistico, ma sempre appassionato, estroso, imprevisto. Quante volte ci stupiva: quel suo sorridere quando temevamo si inquietasse, quel suo rabbuiarsi quando credevamo sarebbe andata liscia. Mai nulla era stabilito una volta per tutte. Quante volte abbiamo ammirato la sua volontà, quel suo saper ottenere una cosa quando la voleva, quando le pareva giusta, magari contro il parere altrui, contro evidenti difficoltà pratiche; così in altre occasioni il suo coraggio morale, il suo tenere alta la dignità della sua carica. Quando io dissi «risorgimentale», intendevo questo: questo prendere sul serio, appassionarsi, opporsi, rischiare di sbagliare, anche avere il coraggio di contraddirsi: credere alla libertà come lotta. Affermazione di carattere, responsabilità. Essere cittadini, insomma.

Certo, personaggi simili non sono comodi. Chi dà molto, al suo compito, chiede anche molto. Chi ha una personalità forte, rischia di apparire prepotente, in quanto tende a imporsi alle personalità più deboli; ma la sua vera forza è quella di assumere le responsabilità, non scaricarle sugli altri. Risorgimentale: aggiungerei milanese; che per me torinese è stata una scoperta. Uno spirito generoso, civico, un patriottismo più civile che militare che io apprezzo molto e che mi augurerei fosse istillato nei giovani.

Certo, colei che ha scelto per la sua scuola il nome di Costanza Arconati, che ha fatto studi sul Berchet rientra fin troppo facilmente nel personaggio che dicevo. Ma quello che conta è un'altra cosa: è quell'interesse a una cultura extrascolastica, vale a dire alla cultura, quella mentalità non casalinga per cui a Lei è sempre stato un riposo, una gioia visitare una mostra, seguire corsi di conferenze, assistere a uno spettacolo teatrale; e viaggiare, con curiosità, con instancabile interesse. Presidi che provvedano banchi e facciano osservare l'orario ce ne saranno sempre, ma la nostra scuola - intendo qui la scuola italiana - avrà, possiamo dire riavrà prestigio e saprà formare buoni italiani soltanto se presidi e insegnanti porteranno nella scuola non solo applicazione ma vivi interessi spirituali. Questa è la tradizione risorgimentale.

Rendendo il dovuto omaggio alla memoria della nostra patrona Costanza Arconati, mi permetto di dire che all'aristocratica che ha usato bene del suo censo e del suo ozio, conformemente ai suoi tempi, io preferisco la borghese che lavorando per sé ha lavorato per gli altri, figlia della sua intelligenza e delle sue opere. Credo perciò che a buon diritto il nome della nostra Preside possa essere idealmente affiancato a quello della sua cara Contessa.

 

L. Romano, Un caso di coscienza, Torino, Bollati Boringhieri, 1992, pagg. 55-58.

 


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