Alfred Andersch
Alfred Andersch (1914-1980), nasce a Monaco in una famiglia segnata dalle propensioni politiche del padre, convintissimo sostenitore del Partito Nazionalsocialista. Alfred gli dà due grandi dolori: si rivela un pessimo studente, e si iscrive diciassettenne al Partito dei Giovani Comunisti. Nel giro di poco è ai vertici del partito. La sua fulminante carriera gli costa quasi due anni di internamento a Dachau. E sono, paradossalmente, gli ottimi contatti del padre con le alte sfere del Partito a permettergli di tornare un uomo libero. Da allora, Andersch si impegna a difendere le libertà civili con il mezzo che padroneggia meglio, la scrittura. Molti fra i personaggi dei suoi romanzi, da Le ciliegie della libertà a La Rossa a Zanzibar fanno dell'opposizione una bandiera.
A partire dal 1958, Andersch vive prevalentemente a Berzona, in Canton Ticino, dove
muore nel febbraio 1980, poco dopo aver terminato la stesura di Il padre di un assassino, che considerava il proprio testamento spirituale. Oggi Andersch è ritenuto uno dei grandi scrittori tedeschi del Novecento.
Himmler (1980)
L'ora di greco stava giusto per cominciare, quando la porta dell'aula si aprì di nuovo. Franz Kien non vi prestò troppa attenzione; solo quando si accorse che l'insegnante, il professor Kandlbinder, si alzava perplesso, addirittura spaventato, si volgeva verso la porta e scendeva i due gradini che ponevano la sua cattedra più in alto rispetto alla classe - cosa che no avrebbe mai fatto, se a entrare fosse stato soltanto uno studente ritardatario -, solo allora volse anch'egli gli occhi incuriositi alla porta, che si trovava sulla destra, accanto alla pedana sopra alla quale stava la lavagna. E allora vide subito che a entrare in classe era il Rex. Indossava un leggero abito grigio-perla, la giacca era sbottonata e, sotto, una camicia bianca gli si rigonfiava sulla pancia; chiaro e corpulento, si stagliò per un attimo sul grigio del corridoio, poi la porta si richiuse dietro di lui: qualcuno che lo aveva accompagnato, ma che rimaneva invisibile, doveva averla aperta e richiusa. La porta si era mossa sui cardini come se un meccanismo automatico l'avesse aperta per far passare un fantoccio. Come le figure e appaiono sulla torre del municipio nella Marienplaz, pensò Franz. Il perplesso Kandlbinder - aveva ancora la faccia di chi stesse mormorando fra sé «che Dio mi assista!» - esclamò con un attimo di ritardo «in piedi!», ma gli allievi si erano già alzati senza aspettare il suo ordine, e tornarono a sedersi non quando l'insegnante buttò fuori un «seduti!» - di nuovo con una frazione di secondo di ritardo -, ma prima, mentre il Rex alzava a mano con un gesto di diniego e diceva al giovane professore «faccia sedere!». Dai doppi banchi - nei quali i ragazzi facevano fatica a infilarsi, perché alla loro età, quattordici anni, la maggior parte di loro era già troppo cresciuta -, essi notarono come fosse confuso Kandlbinder e come Rex intercettasse abilmente il suo tentativo di inchinarsi, porgendogli la mano. Sebbene Kandlbinder fosse di mezza testa più alto del Rex, che non era certo piccolo Franz calcolava che fosse alto un metro e settanta -, d'un tratto tutti poterono rendersi conto che il loro insegnante di greco, visto così vicino al preside, tanto massiccio e palesemente sano, non era altro che un uomo magro, pallido e insignificante; e per un attimo credettero di capire perché non sapevano nulla di lui, così come egli non sapeva nulla di loro, e perché faceva sempre lezione con una voce del tutto priva di inflessioni, senza alti e bassi, una lezione probabilmente impeccabile, soltanto che essi, specialmente verso la fine dell'ora, erano sempre prossimi ad addormentarsi. Buon Dio del cielo, che noioso è mai quel Kandlbinder, aveva pensato Franz talvolta. E dire che è ancora giovane! La faccia è incolore, ma i capelli neri sono sempre n pò spettinati. Franz e tutti i suoi compagni per un certo periodo avevano osservato molto attentamente Kandlbinder, quando, dopo Pasqua, all'inizio del semestre, gli era stata assegnata la loro classe che passava in quarta, curiosi di vedere se si sarebbe trovato un allievo prediletto, oppure anche qualcuno che chiaramente non potesse offrire, ma erano passati quasi due mesi e l'insegnante aveva attentamente badato a non far notare nulla di simile. Soltanto nello scontro con Konrad Greiff è proprio uscito dai gangheri, pensò Franz. Quando durante la ricreazione o sulla strada di casa parlavano della prudenza di Kandlbinder, cosa che non accadeva spesso perché quel professore non risvegliava in loro grande interesse, c'era sempre qualcuno che osservava, alzando le spalle: «Quello vuol soltanto tenersi sempre fuori da tutto».
Il Rex si era voltato verso la classe: portava degli occhiali cerchiati d'oro dietro i quali gli occhi azzurri osservavano taglienti: l'oro e l'azzurro davano insieme un'impressione di scintillio, di vivacità, volta ora in gentilezza, in un'apparente propensione alla benevolenza, nel viso leggermente arrossato sotto i lisci capelli bianchi; ma Franz ebbe subito la sensazione che il Rex, sebbene sapesse darsi un'apparenza benevola, non fosse innocuo; della sua cordialità non c'era sicuramente da fidarsi, neppure ora mentre gioviale e corpulento, guardava i ragazzi seduti nelle tre file di doppi banchi.
«Dunque, dunque», esclamò «questa è la mia Quarta B ! Sono contento di vedervi.»
É davvero un Rex, pensò Franz, non soltanto un uomo i cui titolo nel ginnasio-liceo Wittelsbach, é stato abbreviato in questo modo. Anche negli altri licei di Monaco i presidi, Rektor, erano chiamati Rex, ma Franz non credeva che la maggior parte di loro avesse l'aria di re. Questo sì. Grigio-chiaro e bianco - sopra la camicia posava, impeccabile, una lucente cravatta blu - con quella visiera d'oro e d'azzurro leggermente convessa, egli si stagliava sullo sfondo della grande lavagna, e né Kandlbinder né gli studenti parevano scandalizzati per il atto ch'egli pensasse alla classe con quell'aggettivo possessivo. Sono io 1'unico, si domandò Franz, ad accorgersi che ci chiama così come se fossimo cosa sua? Si prefisse di domandare a Hugo Aletter, appena finita l'ora, se non trovava anch'egli arrogante che il Rex, solo perché era il preside della scuola, si ritenesse autorizzato a parlare della classe come se fosse cosa sua. Hugo Aletter, compagno di banco di Franz, non era il suo migliore amico in classe - Franz per la verità non aveva alcun amico intimo fra i compagni di scuola -, ma era l'unico a cui egli potesse fare una simile domanda, perché con Hugo poteva persino parlare di politica; ogni tanto parlavano insieme di politica, durante gli intervalli, in un angolo de cortile, usando un vocabolario rubacchiato dai discorsi dei loro padri, ferventi nazionalisti. E per questo - non per amicizia - si erano messi nel medesimo banco. Anche gli altri sentivano a casa quelle stesse frasi, di cui si componeva la chiacchiera politica della classe media monacense, ma vi restavano indifferenti; questi bambini, come Franz e Hugo perciò li chiamavano con disprezzo, non s'interessavano di politica. Ma neppure Hugo forse capirebbe, pensò Franz, che cos'è che non piace nel fatto che il Rex ci chiami «la mia Quarta»; per la verità non lo so esattamente neppure io, e non neanche una questione politica. D'improvviso gli venne in mente suo padre, che nella guerra passata era stato ufficiale, anche se soltanto della riserva; anche lui parlava sempre dei «suoi uomini», quando frugava nei ricordi del fronte. Eppure non mi sono ancora convinto, pensò Franz, che questo modo di esprimersi sia poi così ovvio, come quando io, parlando di mio padre dico: mio padre.
«Greco!» esclamò il Rex. «Spero che non vi riesca così difficile come a quelli della Quarta A!» Scosse la testa. «Quelli ne hanno tirate fuori delle belle! Tch, tch, tch!»
Con ciò faceva intende e di essere già stato a interrogare l'altra sezione della loro classe, e la cosa doveva essere appena avvenuta - adesso erano le undici - perché se egli fosse stato nella Quarta A il giorno precedente o anche soltanto prima della ricreazione, gli alunni della B lo sarebbero venuti a sapere dai loro amici della A, i quali avrebbero anche dato l'avvertimento d'obbligo: «Preparatevi al Rex!» Era quindi chiaro che il preside ci teneva a cogliere di sorpresa le sue classi, evidentemente sapeva come non far trapelare nulla delle proprie intenzioni agli insegnanti, perché neppur il Kandlbinder aveva previsto la sua visita durante la lezione, altrimenti non sarebbe apparso così sbalordito quando il Rex si era profilato sulla porta.