George Orwell

George Orwell pseudonimo di Eric Arthur Blair (Motihari 1903 - Londra 1950), scrittore e giornalista britannico, è uno dei saggisti di lingua inglese più diffusamente apprezzati del XX secolo.
E' anche noto romanziere, soprattutto per due romanzi scritti verso la fine della sua vita, negli anni quaranta; l'allegoria politica de La fattoria degli animali e 1984, che descrive una così vivida distopia totalitaria dall'aver dato luogo alla nascita dell'aggettivo "orwelliano", oggi diffusamente utilizzato per descrivere meccanismi totalitari di controllo del pensiero.
Orwell condusse sempre la sua attività letteraria in parallelo con quella di giornalista e attivista politico. Rimase sempre d'ispirazione socialista ma la presa di coscienza, anche in seguito a tragiche esperienze personali, delle contraddizioni e degli orrori del comunismo realizzato in Unione Sovietica sotto Stalin lo portarono a essere antisovietico e antistalinista, scontrandosi così con una consistente parte di sinistra europea. Nel 1946 Orwell scriveva di sé: "Ogni riga di ogni lavoro serio che ho scritto dal 1936 a questa parte è stata scritta, direttamente o indirettamente, contro il totalitarismo e a favore del socialismo democratico, per come lo vedo io."
L'odiosa lacrima (1947)
Sambo era spronato da due grandi ambizioni. Una era di attrarre a scuola allievi di famiglie nobili, l'altra di tirar su scolari in grado di vincere borse di studio nelle public school e in modo speciale a Eton. Negli ultimi anni che io fui in quella scuola egli riuscì ad avere due ragazzi che appartenevano all'autentica nobiltà inglese. Uno, ricordo, era un miserabile mollusco, una specie di albino, che volgeva in giro i suoi deboli occhi e sfoggiava un lungo naso, in fondo al quale pendeva sempre una tremula goccia di rugiada. Sambo, quando menzionava questi due a una terza persona, non mancava di elencare i titoli che competevano loro e, nei primissimi giorni, giunse al punto di chiamarli Lord Tal dei Tali. Superfluo osservare che non si stancava di attirare su di loro l'attenzione di chiunque visitasse la scuola. Una volta, ricordo, al piccolo mollusco biondo si formò un nodo in gola mentre mangiava e dalla punta del naso cadde nel piatto del moccio. Fu uno spettacolo ripugnante. Qualsiasi ragazzo di minor prestigio sarebbe stato definito uno schifoso animale e costretto a uscire immediatamente. Ma con lui Sambo e Flip si limitarono a sorridere, quasi sottintendendo che i ragazzi sono ragazzi e che non bisogna prendere troppo sul serio le loro scappatelle.
Tutti i ragazzi molto ricchi erano, più o meno, apertamente favoriti. La scuola sembrava un vago ricordo dell'accademia privata vittoriana, con un certo numero di allievi a pensione presso la famiglia del preside e quando, più tardi, lessi una descrizione di una scuola di quel tipo in Thackeray, fui immediatamente colpito dalle rassomiglianze. I ragazzi ricchi, a metà mattina, avevano latte e biscotti e, una volta o due la settimana, prendevano lezione di equitazione. Nei loro confronti Flip sfoggiava le sue qualità materne, e li chiamava col loro nome di battesimo. Inoltre non venivano mai frustati. A prescindere dai sudamericani, i cui genitori vivevano a una distanza che li rendeva innocui, credo che Sambo non abbia mai frustato nessun ragazzo il cui padre avesse entrate molto superiori a 2000 sterline l'anno. Ma talvolta era pronto a sacrificare il profitto finanziario al prestigio scolastico e, di tratto in tratto, riduceva notevolmente la retta per ragazzi che dessero affidamento di riuscire a vincere una borsa di studio e ad accrescere così il lustro della scuola. Fu appunto in base a trattative del genere che io potei entrare in St. Cyprian. Altrimenti i miei genitori non sarebbero stati in grado di mandarmi a una scuola così costosa.
A tutta prima non mi resi conto che io ero uno studente a retta ridotta e fu solo quando mi avvicinai agli undici anni che Flip e Sambo cominciarono a rinfacciarmelo. Per i primi due o tre anni fui sottoposto all'ordinario tirocinio. Poi, non appena ebbi cominciato il greco (il latino si cominciava a otto anni, il greco a dieci), venni trasferito nella classe delle borse di studio che, almeno per quanto riguarda i classici, era sotto la diretta supervisione di Sambo. Per un periodo di due o tre anni i ragazzi che dovevano concorrere alle borse di studio venivano rimpinzati di scienza con lo stesso indifferente cinismo con cui si rimpinza un'oca per il pranzo di Natale. E quale scienza! L'idea di far dipendere la carriera di un ragazzo specialmente dotato da un esame competitivo, che si deve superare a dodici o tredici anni, è, nel migliore dei casi, un male. Ma sembra che ci siano delle scuole preparatorie che mandano studenti a Eton, Winchester ecc. senza abituarli a considerare tutto in vista dei voti che ottengono. A St. Cyprian non pensavano ad altro se non a insegnarci a compiere una qualche truffa americana. Voglio dire, il nostro compito era di imparare esclusivamente quelle cose che avrebbero dato a un esaminatore l'impressione che ne sapevamo assai più di quanto in realtà ne sapessimo e di evitare, per quanto possibile, di ingombrarci la mente con qualsiasi altra nozione. Materie che non erano importanti per la borsa, come per esempio la geografia, erano quasi completamente trascurate. Anche la matematica passava in sottordine per quelli che si dedicavano allo studio dei classici. Nessuno accennava mai alle scienze, che erano infatti così disprezzate da far severamente reprimere anche un leggero interesse per la storia naturale. I libri, che ci consigliavano di leggere nel tempo libero, erano scelti pensando alla composizione in inglese. Ciò che contava erano le due materie fondamentali dell'esame: il latino e il greco. Ma anche queste venivano deliberatamente insegnate per farci fare bella figura, non per farcele imparare. Per esempio non si leggeva mai un'opera intera di un autore greco o latino.
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I ragazzi che studiavano per ottenere la borsa non erano trattati tutti nello stesso modo. Se un ragazzo aveva dei genitori ricchi, per i quali il pagamento delle tasse non rivestiva grande importanza, Sambo lo spronava in modo relativamente paterno, prendendolo in giro, dandogli qualche colpetto nelle costole o addirittura un colpo di matita sulla testa, ma senza tirargli i capelli né frustarlo. Quelli che soffrivano erano i poveri, ma intelligenti. I nostri cervelli erano delle miniere d'oro in cui aveva investito del denaro e dai quali voleva a ogni costo cavare dividendi. Molto prima che afferrassi la natura dei miei rapporti finanziari con Sambo, ero stato informato che non mi trovavo sullo stesso piano degli altri ragazzi. Infatti gli allievi erano divisi in tre caste. C'era una minoranza costituita da rampolli dell'aristocrazia o dei milionari. Vi erano i figli di famiglie ricche, che costituivano la maggioranza della scuola. E poi c'erano pochi paria come me, figli di ecclesiastici, funzionari dell'amministrazione indiana, vedove povere e gente del genere. Questi paria erano scoraggiati dal seguire corsi facoltativi, come tiro a segno o carpenteria, ed erano umiliati nei vestiti e nella distribuzione degli attrezzi. Per esempio io non riuscii mai a ottenere una mia mazza per cricket, perché: "I tuoi genitori non possono permetterselo". Questa frase mi perseguitò durante tutti gli anni di collegio. A St. Cyprian non avevamo il permesso di trattenere i soldi che portavamo da casa. Dovevamo consegnarli al nostro arrivo e, di tratto in tratto, potevamo spenderli sotto il controllo dei superiori. Io e i ragazzi nelle mie condizioni non eravamo mai autorizzati a comperare giocattoli costosi come, per esempio, modelli d'aeroplani, anche se avevamo in deposito denaro sufficiente. Flip, in particolare, sembrava si fosse proposta lo scopo di inculcare modeste pretese nei giovani più poveri. "Credi che sia il tipo di giocattolo che un ragazzo come te dovrebbe comprare?" Ricordo che una volta disse a qualcuno, e davanti all'intera scolaresca: "Tieni presente che non avrai mai dei soldi a tua disposizione. I tuoi non sono ricchi. Devi imparare a comportarti assennatamente, a non desiderare più di quello che potrai avere".
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Flip mi scrutava con quei suoi occhi minacciosi (di che colore erano? Io me li ricordo verdi, ma nessun essere umano ha occhi verdi; forse erano nocciola) e cominciava con quel suo personale stile che mescolava preghiera e rimprovero, e riusciva sempre a superare ogni difesa e a toccare la coscienza di chiunque.
"Non mi pare che sia molto corretto da parte tua comportarsi così, non credi? Trovi che ti comporti bene con tua mamma e tuo papà a poltrire come fai una settimana dopo l'altra, un mese dopo l'altro? Vuoi proprio precluderti ogni possibilità di far carriera? Tu lo sai che la tua famiglia non e ricca, vero? Lo sai che non possono permettersi le stesse cose che i genitori d'altri ragazzi. Come faranno a mandarti a una buona scuola, se non ottieni una borsa? So che tua mamma è fiera di te, e tu vuoi darle una simile delusione?"
"Credo che non abbia più voglia di andare a una buona scuola," interloquiva a questo punto Sambo, rivolgendosi a Flip e pretendendo che io non fossi presente. "Credo che abbia abbandonato ogni idea di una simile scuola. Quello che vuole è diventare un impiegatuzzo da quaranta sterline l'anno."
A questo punto ero già stato colto dall'orribile sensazione delle lacrime imminenti, avvertivo un nodo in gola, una specie di prurito dietro il naso. Allora Flip tirava fuori il suo asso di briscola:
"E ti pare di comportarti bene nei nostri confronti ad agire in questo modo? Dopo tutto ciò che abbiamo fatto per te? Tu sai quanto abbiamo fatto per te, vero?" Il suo sguardo mi trafiggeva e, sebbene non dichiarasse mai in chiare parole ciò che avevano fatto per me, io lo sapevo benissimo. "Ti abbiamo tenuto qui tutti questi anni, ti abbiamo anzi fatto restare persino una settimana durante le vacanze, perché tu potessi studiare meglio sotto la direzione del signor Batchelor. Non vogliamo vederci obbligati a mandarti via e tu lo sai, ma non possiamo tenere qui un bambino che non sa far altro che mangiare, un anno dopo l'altro. Non mi pare che sia molto corretto il modo come ti comporti, non trovi?"
Io non ero mai in grado di rispondere altro se non un infelice "No, signora", "Sì, signora" a seconda dei casi. Certo non era corretto comportarsi come facevo. Poi, a un dato momento, l'odiosa lacrima scivolava dall'angolo dell'occhio, mi correva giù per il naso, cadeva per terra.
Flip non diceva mai chiaramente che io ero uno di quelli che non pagavano la retta intera, senza dubbio perché varie frasi del tipo "Tutto ciò che abbiamo fatto per te" possedevano un maggiore valore emotivo. Sambo, che non ci teneva a essere amato dai suoi allievi, si esprimeva brutalmente, sebbene, date le sue inveterate abitudini, sempre in modo pomposo. "Tu vivi della mia munificenza" era la sua frase preferita in queste occasioni. E almeno una volta udii esattamente queste parole tra una sferzata e l'altra. Devo aggiungere che queste scene non accadevano di frequente e che, tranne una volta, non si svolsero mai alla presenza di altri ragazzi. In pubblico mi si ricordava che ero povero, che i miei genitori non sarebbero stati in grado di permettersi questo o quello, ma non si accennava alla mia situazione speciale. Veniva riservata come un'estrema e imbattibile accusa, cui si ricorreva come a uno strumento di tortura, quando battevo la fiacca in modo eccezionalmente riprovevole.
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Odiavo Sambo e Flip, vergognandomi di odiarli e provandone rimorso, ma non mi occorse mai di dubitare della loro saggezza. Quando mi dicevano che dovevo vincere una borsa di studio o rassegnarmi ad andare, a quattordici anni, a fare il galoppino in un ufficio, credevo che quelle fossero le uniche inevitabili alternative che mi si aprivano davanti. E soprattutto credevo a Sambo e a Flip, quando mi assicuravano che erano i miei benefattori. Adesso naturalmente capisco che per Sambo io rappresentavo un buon investimento. Spendeva denaro per me, ma solo al fine di ricuperarlo sotto forma di prestigio per la scuola. Avessi mai fatto cilecca, come accade talvolta ai ragazzi promettenti, penso che si sarebbe liberato di me senza pensarci due volte. Invece, quando si giunse al dunque, io vinsi due borse di studio, che egli senza dubbio seppe sfruttare nelle sue circolari pubblicitarie. Ma per un bambino è difficile capire che una scuola è anzitutto un'impresa commerciale. Un bambino crede che le scuole siano state create per educarlo e che il preside lo punisca sia per il suo bene, sia per un bisogno di smaltire la sua prepotenza. Flip e Sambo avevano deciso di mostrarsi amici e questa loro amicizia si risolveva in sferzate, rimproveri, umiliazioni, tutti intesi al mio bene e a evitarmi uno sgabello in un ufficio. Questa era la loro versione e io ci credevo. Era perciò evidente che avevo contratto nei loro confronti un immenso debito di gratitudine. E invece non mi sentivo per nulla grato e lo sapevo benissimo. Anzi li detestavo tutti e due. Non riuscivo a controllare i miei sentimenti né potevo fingere di ignorarli. Ma non è segno d'animo malvagio odiare i propri benefattori? Così m'avevano insegnato e così credevo. Un bambino accetta le norme che gli vengono imposte, anche quando le infrange. Dall'età di otto anni, e forse anche prima, fui sempre conscio di vivere in stato di peccato, e se cercavo di sembrare indomito e ribelle, non si trattava che di un sottile velo, steso sopra un complesso di vergogna e terrore. Durante tutta la mia infanzia ebbi la profonda convinzione di non valere niente, di sprecare il tempo, di rovinare le mie doti, di dar prova di mostruosa stupidaggine, malvagità e ingratitudine - e ciò mi sembrava fatale, perché vivevo tra leggi assolute come la forza di gravità, ma che m'era impossibile osservare.