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Notizie in breve ...

Maggio 2008


Svezia: verso l'istituzione dell'Albo Professionale degli insegnanti

Il 27 Maggio 2008, Jörgen Ullenhag, Presidente della Commissione d'indagine sugli insegnanti istituita dal Governo, ha annunciato di avere consegnato il Rapporto sull'istituzione dell'Albo Professionale degli insegnanti, sui titoli e le autorizzazioni per l'iscrizione.
Lo scopo delle proposte presentate è quello di innalzare il livello delle competenze degli insegnanti per migliorare la qualità del servizio scolastico. Le stesse regole si devono applicare in modo identico per l'esercizio della professione docente in qualsiasi tipo di scuola, qualsiasi sia l'Ente gestore.
L'idea è stata esplicitamente attinta dal sistema scozzese, che contestualmente alla creazione del General Teaching Council, ha istituito l'Albo Professionale degli insegnanti, al quale devono obbligatoriamente iscriversi tutti i docenti abilitati se vogliono esercitare la professione, e dal quale le Autorità sono obbligate ad attingere per il reclutamento.

Nella presentazione alla stampa del Rapporto il Presidente della Commissione ha detto:

La Scozia possiede un ottimo sistema per garantire che gli insegnanti abbiano competenze adeguate e appropriate e per incoraggiare il loro continuo sviluppo professionale. Il sistema che noi proponiamo prevede l'iscrizione all'Albo professionale, per accedere al quale occorrono alti standard professionali e regole più rigorose per l'abilitazione, che corrispondono in larga misura a quelle in vigore nel sistema scozzese.”

Iscrizione all'Albo

Secondo le proposte della Commissione, per poter esercitare la professione docente, un insegnante dovrà essere iscritto all'Albo dopo aver conseguito una specifica abilitazione nel tipo di insegnamento che intende esercitare.
Eccezioni a questa regola saranno ammesse solo se ci si troverà in carenza di insegnanti abilitati e in casi assolutamente eccezionali. La decisione di deroga sarà assunta dal Consiglio di Istituto e varrà al massimo per un anno. L'iscrizione all'albo sarà richiesta, come avviene per altre professioni, anche a chi insegna privatamente o fa tutoraggio ai nuovi docenti durante il loro periodo di prova. Inoltre l'iscrizione sarà requisito necessario e indispensabile per l'assunzione stabile.

Requisiti per l'iscrizione all'Albo

Il rapporto propone che l'Agenzia Nazionale per l'Istruzione (l'Autorità amministrativa centrale del sistema scolastico pubblico svedese) abbia la responsabilità delle decisioni in merito all'iscrizione all'Albo. L'iscrizione richiederà il possesso di una laurea per l'insegnamento e l'aver superato l'anno di prova. Gli insegnanti laureati che hanno esercitato la professione per almeno due anni dal 2000 avranno, previa domanda, assicurata l'iscrizione senza che sia loro richiesto l'anno di prova.

Anno di prova

L'anno di prova servirà a due scopi: 1) predisporre un corretto avvio alla professione per i nuovi insegnanti, 2) valutare se l'insegnante è adatta/o alla professione. Durante l'anno di prova i nuovi insegnanti dovranno avere assistenza da parte di un tutor, e sia l'insegnante in prova che l'insegnante tutor dovranno avere a disposizione un tempo appositamente stabilito. Secondo il Rapporto, lo Stato dovrà ricompensare le scuole che organizzano e gestiscono l'anno di prova pagando il 10% della retribuzione dell'insegnante in prova e il 5% della retribuzione dell'insegnante tutor.

Progressione professionale

Per incoraggiare lo sviluppo professionale continuo, il Rapporto propone l'introduzione di “livelli professionali avanzati”. Dopo 4 anni di servizio valutato positivamente, un insegnante sarà eleggibile per diventare insegnante specializzato, se avrà intrapreso un ben documentato percorso di sviluppo professionale, o avrà acquisito un equivalente titolo di laurea.

Regole più chiare e rigorose

Le proposte del Rapporto prevedono che:

  • •  per insegnare nella scuola dell'obbligo, sarà richiesta una laurea ottenuta con 90 crediti nella materia di insegnamento e 60 crediti in altre materie
  • •  per insegnare materie teoriche nella scuola secondaria superiore saranno richiesti 120 crediti nella materia d'insegnamento e 90 crediti in altre materie

Avvio e costi
Secondo il Rapporto, il sistema di iscrizione all'Albo dovrebbe entrare in vigore entro il 2010 in due fasi.

Il costo stimato per lo Stato è di 782 milioni di SEK all'anno, per i primi otto anni, successivamente si stima che i costi diminuiranno a 725 milioni di SEK all'anno, dal momento che tutti coloro che non sono in possesso di laurea avranno regolarizzato la loro posizione.

LINK

•  Svezia: Comunicato stampa del 27 maggio 2008 sull'istituzione dell'Albo professionale degli insegnanti (in lingua inglese)

•  Descrizione del sistema scolastico svedese (in lingua inglese)

(28 maggio 2008)Torna home page


Il nuovo codice deontologico degli insegnanti scozzesi

Il 27 maggio 2008 il ministro dell'istruzione scozzese Fiona Hyslop ha lanciato il nuovo Codice deontologico della professione docente, elaborato dal General Teaching Councul, GTC, ossia dal Consiglio Generale della Docenza.

Una breve nota sul General Teaching Council. Nel 1965 la Scozia, di fronte a un preoccupante abbassamento dei livelli di apprendimento dei propri studenti, si diede come primo obiettivo di innalzare gli standard professionali dei propri docenti. A questo scopo il Governo istituì una Commissione che propose la costituzione del Consiglio Generale della Docenza, con lo scopo di dare più voce e più potere agli insegnanti nella gestione della loro professionalità. Nel 1966 fu istituito il General Teaching Council, che è diventato un punto di forza dei docenti scozzesi, ha elaborato gli standard professionali e ha contribuito a migliorare le loro condizioni di lavoro.

L'esempio del GTC scozzese fu seguito, anche se a notevole distanza di tempo, da altri, come la Columbia Britannica (1988), l'Ontario (1996), l'Inghilterra (2000), il Sud Africa (2001).

Il nuovo codice deontologico della professione docente in Scozia si compone di 4 parti:

  • Responsabilità verso la professione
  • Responsabilità verso gli allievi
  • Competenze professionali
  • Responsabilità verso i colleghi e i genitori

Il ministro Fiona Hyslop ha detto:

"Accolgo con grande soddisfazione questo Codice . Esso fornisce una guida chiara agli standard di comportamento degli insegnanti scozzesi. Il Governo scozzese è felice di sottoscriverlo".

L'ADi non può non ricordare che il suo primo atto è stato il varo del Codice deontologico della professione docente (16 aprile 1999), che in assenza dell'assunzione di un codice per tutti i docenti italiani, ha reso vincolante per tutti i suoi associati. Al codice l'ADi fece seguire poco dopo gli standard della professione docente (2000) elemento imprescindibile per qualsiasi valutazione degli insegnanti.

Ugualmente, in quello stesso periodo,l'ADi ipotizzò la costituzione del Consiglio Superiore della Docenza come strumento di riscatto e autonomia professionale.

Ma in Italia nulla di tutto questo è assurto a regola, poiché su tutto domina ancora la concezione dell'insegnante-impiegato e rimane ancora lontana la prospettiva del professionismo.

Allegato: Testo integrale del codice deontologico degli insegnanti scozzesi con commento (testo in inglese)

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Valentina Aprea e Guido Possa Presidenti delle Commissioni cultura di Camera e Senato

Mentre al MIUR, che di nuovo raggruppa scuola e università, è stato nominato un solo sottosegretario, Giuseppe Pizza, politicamente noto come segretario nazionale della “nuova” Democrazia Cristiana, alla Camera e al Senato sono state insediate le solite pletoriche Commissioni Cultura e Istruzione di 40 membri ciascuna.

Presidenti sono stati nominati rispettivamente Valentina Aprea (Bari,17 luglio 1956) per la VII commissione della Camera e Guido Possa (Milano, 15 gennaio 1937) per la VII Commissione del Senato.

Valentina Aprea è molto conosciuta nel mondo della scuola come attiva Sottosegretaria nel Ministero Moratti, meno conosciuto Guido Possa, anche se è stato viceministro nello stesso Ministero.

Divertente l'inizio della presentazione che fa Wikipedia di Guido Possa: “Laureato in ingegneria meccanica nucleare presso il Politecnico di Milano, amico fraterno di Silvio Berlusconi assieme al quale vendeva a domicilio scope elettriche”.

Nel discorso di insediamento l'On. Aprea ha sollecitato uno spirito bipartisan, e come la Presidente Marcegaglia ha invocato una semplificazione legislativa, ricordando che le leggi attualmente in vigore sono 21.691, gli atti normativi dai 65.000 ai 70.000 e le leggi regionali più di 30.000, raggiungendo così il primato (negativo) in Europa, seguiti dalla Francia, che ne ha 9.800 e dalla Germania, che ne ha 4.547. E meno male, ha ricordato Aprea, che c'è il Ministro Calderoli appositamente addetto alla semplificazione normativa.
Infine la Presidente, ricordando l'emergenza educativa, ha così concluso: “Siamo chiamati in questa Commissione a lavorare perché la scuola diventi, per davvero, la scuola di tutti. Ma perché questo accada, è necessario che diventi la scuola di ciascuno, capace di personalizzare i percorsi per raggiungere gli obiettivi comuni e riscattare i tanti talenti soffocati da un sistema di istruzione che ha rinunciato da tempo al merito inteso come leva reale di mobilità sociale nel Paese.”

Le due Commissioni:

CAMERA VII Commissione Cultura (numero dei componenti 44) – Presidente: APREA Valentina (POPOLO DELLA LIBERTA'); Vice Presidenti: FRASSINETTI Paola (POPOLO DELLA LIBERTA'); NICOLAIS Luigi (PARTITO DEMOCRATICO); Segretari: DE TORRE Maria Letizia (PARTITO DEMOCRATICO); GOISIS Paola (LEGA NORD PADANIA).

SENATO 7ª Commissione permanente Istruzione pubblica, beni culturali, ricerca scientifica, spettacolo e sport -
Presidente: POSSA Guido, PdL; Vicepresidenti: BARELLI Paolo, PdL; VITA Vincenzo Maria, PD. Segretari: MARCUCCI Andrea, PD; VALDITARA Giuseppe, PdL

Una curiosità: Il ministro Fioroni è finito nella Commissione Difesa.

ALLEGATO: Testo integrale del Discorso di insediamento di Valentina Aprea

(26 maggio 2008)Torna home page


Formazione, Scuola e Università nel discorso di insediamento di Emma Marcegaglia, nuova presidente di Confindustria

Riteniamo interessante riportare integralmente alcuni passaggi significativi del discorso di insediamento della nuova presidente di Confindustria, la quarantatreenne Emma Marcegaglia. Sono le parti che riguardano direttamente o indirettamente la formazione, la scuola e l'Università.

RIDURRE IL NUMERO DELLE LEGGI

Bisogna semplificare, ridurre il numero delle leggi, eliminare le incertezze di interpretazione.
Il nostro paese associa una singolare diffusione dell'illegalità a una pletora di regole spesso contraddittorie e incomprensibili, che governano minuziosamente la vita dei cittadini. La burocrazia è uno dei principali ostacoli agli investimenti in Italia.

PROCESSO FEDERALISTA

Il processo federalista è a metà del guado. Così com'è non funziona. Negli anni 2000, quando sono state iniettate dosi più consistenti di decentramento, le spese correnti delle amministrazioni locali sono esplose. La spesa sanitaria è salita di oltre il 50%. Nello stesso tempo non è stato posto alcun freno alle spese delle amministrazioni centrali. Un percorso insostenibile. E' invece possibile un federalismo virtuoso, come ci insegnano molti paesi europei.

Per l'Italia, il prossimo passaggio è il federalismo fiscale. Deve costituire un'assunzione di responsabilità e accompagnarsi ad un taglio di spesa frutto della guerra alle duplicazioni, alle sovrapposizioni, agli sprechi. Deve essere l'occasione per rivedere la distribuzione delle competenze a cui vanno commisurate le fonti di entrata.

Devono tornare al centro le materie connesse alle grandi reti nazionali di energia, trasporto e comunicazione. Può essere largamente decentrata la gestione di molti servizi pubblici: scuole, trasporti locali, servizi per l'immigrazione e l'integrazione.

FORMAZIONE SCUOLA E UNIVERSITA'

Un paese che voglia crescere deve investire nella formazione, nella scuola e nell'università. Innalzare l'istruzione ai livelli dei migliori paesi aumenta nel medio periodo il reddito pro capite del 15%.

Va cambiata la cultura che ha indebolito la scuola e l'università per un malinteso e dannoso egualitarismo.
Invece di spingere i ragazzi a studiare di più, è prevalsa l'idea di promuoverli più facilmente. Si è pensato che il titolo di studio, e non la qualità dell'istruzione, fosse la chiave della promozione sociale. Invece di valorizzare i talenti, si è appiattito tutto verso il basso.
Il risultato è che a 15 anni un ragazzo italiano ha già perso un anno di apprendimento rispetto a un suo coetaneo europeo. La selezione dei docenti è spesso degenerata: autogestione sindacale nella scuola, cooptazione baronale nell'università. Si sono ridotti gli investimenti pubblici, ma si è anche sprecato a piene mani.
Il finanziamento pubblico non premia le università migliori o più efficienti; quelle di bassa qualità continuano a illudere schiere di giovani con titoli di studio senza valore.

E' essenziale che la qualità dei docenti sia ricompensata con incentivi di carriera e premi economici.

Va promossa l'emulazione tra le scuole.

L'università ha moltiplicato le cattedre e marginalizzato la ricerca scientifica.
Abbiamo 94 atenei e 2700 corsi di laurea, alcuni dei quali decisamente stravaganti, ma le imprese non trovano abbastanza giovani con specializzazioni tecnico - scientifiche.

Vanno rivalutati gli istituti tecnici e professionali, devono moltiplicarsi le sinergie tra aziende e atenei per la ricerca applicata. Si può ripartire dai centri di eccellenza di alcuni politecnici per sviluppare anche la ricerca di base.

Dobbiamo investire sulla qualità, valutando a livello nazionale l'apprendimento nelle materie chiave.

Dobbiamo ricercare e promuovere i talenti.

Mentre da noi si teorizza l'uguaglianza nella mediocrità, in Gran Bretagna si è creato - con una selezione oggettiva e trasparente - un gruppo di scuole capaci di valorizzare i più bravi e preparare le classi dirigenti del futuro. Così si costruisce il futuro sulla base del merito e non con le promozioni di massa.

Mi rivolgo, come mamma di una bambina di 5 anni, a tutti i genitori. Dobbiamo assumerci la responsabilità di garantire ai nostri figli un'educazione ed una preparazione di qualità perché essi dovranno vedersela con un mercato dei talenti senza frontiere, dovranno confrontarsi con la concorrenza intellettuale degli immigrati di seconda generazione, fortemente motivati a salire nella scala sociale.

I nostri figli rispetto a noi avranno sfide molto più difficili. Dobbiamo dar loro una scuola esigente, selettiva, di eccellenza, che consenta di affrontare la competizione con le carte migliori.

QUATTRO IMPEGNI STRATEGICI

Voglio sottolineare quattro impegni, che considero strategici.

Il primo riguarda la sicurezza sul lavoro . (…)

Il secondo è l'impegno per gli investimenti in ricerca e innovazione .(…)

Il terzo riguarda i cambiamenti climatici , strettamente legati alla nostra sicurezza energetica.(…)

Il quarto impegno è il pieno rispetto delle regole, la lotta per la legalità e contro le mafie (…)

ALLEGATO: Testo integrale della relazione di insediamento di Emma Marcegaglia

(26 maggio 2008)Torna home page


In Inghilterra si invocano vacanze estive più corte

Un recentissimo Rapporto dell'IPPR (Institute for Public Policy Research) ha affermato che le capacità in lettura e matematica degli alunni diminuiscono a causa delle vacanze estive troppo lunghe. Il Rapporto è stato redatto dopo che l'Ofsted ha messo in evidenza come i livelli di apprendimento degli alunni inglesi, dopo un lungo periodo di costante miglioramento, siano giunti a una fase di stallo.

La relatrice del Rapporto, Sonia Sodha, ha detto alla BBC:“Se vogliamo seriamente continuare a migliorare gli standard di apprendimento di tutti i bambini dobbiamo fare una riforma che piloti il nostro sistema scolastico in funzione dei bisogni dei bambini e dei ragazzi
E ha aggiunto: “L'attuale calendario scolastico è un cimelio del passato, quando le famiglie dei contadini avevano bisogno di avere i figli a casa d'estate per aiutarli nel raccolto della frutta. Oggi ci sono due forti motivi a sostegno del cambiamento:
1) i bambini che presentano una maggiore regressione negli apprendimenti quando sono via da scuola sono quelli di condizioni socio economiche più svantaggiate.
2) Quelli che d'estate frequentano attività extrascolastiche sono solo quelli che se lo possono permettere. Noi sappiamo anche che episodi antisociali e di teppismo sono più numerosi durante le vacanze estive, specialmente verso la fine
”.

Il suggerimento dell'IPPR non è di accorciare la quantità complessiva delle vacanze, ma di distribuirle meglio durante l'anno. In particolare il Rapporto raccomanda di fissare le vacanze estive da metà Luglio a metà Agosto, alle quali dovrebbero seguire due bimestri prima di Natale. Dopo Natale l'anno scolastico dovrebbe essere diviso in tre bimestri, ciascuno separato da due settimane di vacanza.

“Quindi”, ha detto Sonia Sodha, “dovrebbe rimanere invariata la quantità complessiva di vacanze, sarebbero solo meglio distribuite nel corso dell'anno.”

L'IPPR ha affermato che questo dovrebbe anche aiutare i genitori che hanno difficoltà a tenere occupati i figli per le attuali 6 settimane di vacanze estive. Consentirebbe anche di fare vacanze in periodi diversi dell'anno, risparmiando potenzialmente soldi, poiché si potrebbero evitare i periodi di punta

Il sottosegretario Kevin Brennan ha detto che spetta alle autorità locali stabilire il calendario scolastico, anche se il governo raccomanderà l'adozione di uno schema standard.

Il Rapporto ha infine rivendicato un nuovo curricolo per la scuola primaria che consenta ai bambini di imparare di più attraverso il gioco.
Sonia Sodha ha affermato: “Il benessere dei bambini è fondamentale per il loro apprendimento. In Paesi come la Finlandia c'è molta più enfasi sul benessere come chiave per migliorare il rendimento, e a questo fine ci sono specifiche équipe e consiglieri in tutte le scuole

Articolo e Video in BBC News

(26 maggio 2008)Torna home page


Boston University: leggere ai neonati li rende più bravi a scuola

Si intensificano gli studi che dimostrano l'importanza della lettura. In Inghilterra il 2008 è stato lanciato come Anno della Lettura e il ministro Edd Balls ha invitato i genitori a trascorrere quotidianamente un po' di tempo a leggere a voce alta ai propri figli.

Ora uno studio della Boston University School of Medicine sostiene che bisognerebbe attivare questa pratica fin da quando i bambini hanno 6 mesi, perché è stato dimostrato che questo aumenta il loro patrimonio di parole, migliora il loro rendimento scolastico e alimenta l'amore per la lettura per il resto della loro vita.

Da La Repubblica 17 maggio 2008

Le fiabe ai bimbi già a sei mesi e a scuola saranno più bravi

di Elena Dusi

Leggere le favole ai bambini non serve solo a farli dormire. Secondo i pediatri americani, l'abitudine fin dai sei mesi di età farà diventare i figli più bravi a scuola e li lancerà verso il successo da adulti. I medici italiani aggiungono che l'ascolto di un libro sulle gambe di mamma o papà legherà piccoli e adulti in un abbraccio inossidabile. E gli esperti all'unisono fanno notare che arricchire il vocabolario dei più piccoli è sulla lunga distanza il mezzo più efficace per abbattere le barriere fra le classi sociali.
Uno dei primi riflessi del divario fra famiglie povere e agiate - hanno notato i pediatri della Boston University School of Medicine - è proprio la differenza nella ricchezza del vocabolario dei figli. I genitori delle classi medie e alte, scrivono Elisabeth Duursma e Barry Zuckerman su Archives of disease in childhood ADC, passano più tempo a leggere libri a voce alta, spiegando il significato delle parole difficili. Ai figli delle "tute blu" vengono invece descritte tutt'al più le figure.

Al momento di entrare a scuola, i primi avranno una capacità espressiva maggiore e otterranno voti più alti, con la fiducia in se stessi che accompagna le prime pagelle brillanti. I bambini che in prima elementare non hanno imparato ad amare i libri, sottolineano poi Duursma e Zuckerman, rimarranno dei lettori riluttanti durante tutto il corso dei loro studi, a differenza di quelli che hanno ricevuto l'imprinting "lettura uguale amore di mamma e papà".

Lo studio della Boston University sfrutta i risultati di uno dei più radicati programmi di educazione alla lettura, quel "Reach out and read" ROR che dall'inizio degli anni '90 suggerisce ai genitori i libri più adatti per ogni età e il modo migliore per stimolare il linguaggio nei bambini. In Italia l'iniziativa è portata avanti dal programma Nati per leggere, promosso dalla Onlus "Centro per la salute del bambino" CSB, dall' Associazione italiana biblioteche AIB e dall'Associazione culturale pediatri ACP.
Sia negli Stati Uniti che nel nostro paese i pediatri hanno suggerimenti ben precisi su come leggere le favole ai bimbi già a partire dai sei mesi di età. E non importa se in un primo momento non tutti i dettagli della storia verranno fissati nella memoria.

"Spegnere la tv, creare l'atmosfera giusta, sfruttare anche il contatto fisico con i propri figli, tenendoli in braccio" consiglia Alessandra Sila del coordinamento nazionale di Nati per leggere. "E' bene usare - aggiungono i pediatri americani - uno stile interattivo, legando i particolari della storia al vissuto quotidiano del bambino, spiegando le motivazioni dei comportamenti dei personaggi e soffermandosi sulle parole nuove". Oltre a un'accelerazione dell'apprendimento da parte dei figli, i medici hanno notato anche un effetto collaterale sorprendente: l'aumento dei libri letti dai genitori, non solo di favole.

(18 maggio 2008)Torna home page


Successo di un programma di recupero di lettura nelle scuole inglesi

Una recente indagine svolta su 500 alunni ha decretato il successo di un programma intensivo di recupero di lettura (Intensive Reading Recovery) svolto in alcune scuole inglesi e rivolto ai bambini di 6 anni.

Si tratta di un insegnamento individualizzato, un insegnante/un alunno, realizzato con personale specializzato, per mezz'ora al giorno per ciascun bambino per un periodo che va dalle 12 alle 20 settimane.

Attualmente ci sono circa 5.000 bambini che svolgono programmi di recupero di lettura in Inghilterra, e il ministero vorrebbe arrivare a 30.000 per il 2010. Fra i vari programmi attualmente in essere questo si è dimostrato molto migliore degli altri. Lo studio mostra che le scuole potrebbero mettere in grado quasi ogni bambino di leggere e scrivere in modo appropriato per la loro età se tutti quelli che vanno male potessero seguire questo tipo di programma di recupero svolto in modo tempestivo e precoce.

Il programma costa 2.500 sterline per bambino, che corrisponde alla somma che ciascuna scuola primaria riceve per l'educazione di un bambino per un anno.

La ricerca ha valutato i progressi di 500 dei lettori più scadenti di 42 scuole dei quartieri più poveri di Londra. La capacità degli otto lettori peggiori di ciascuna classe è stata valutata all'inizio del primo anno della scuola primaria e alla fine del primo e del secondo anno. Circa 87 erano nel programma intensivo, mentre gli altri seguivano programmi di recupero diversi.

Dopo il primo anno, quelli inclusi nel programma intensivo avevano raggiunto gli standard del loro gruppo di età.

Alla fine del 2° anno l'86% degli alunni del programma intensivo ha raggiunto i livelli attesi per i bambini di 7 anni nei test nazionali. Questo risultato confrontato con il 57% di quelli che hanno seguito altri tipi di recupero e con la media nazionale dell'80% è clamoroso. E lo è tanto più se si pensa che quegli allievi facevano parte del 5% di alunni con le peggiori performance a livello nazionale.

Articolo e Video in BBC News

( 11 maggio 2008 )Torna home page


Buon lavoro al nuovo Ministro del MIUR Maria Stella Gelmini con l’indicazione di tre priorità

L’ADi esprime al nuovo Ministro del MIUR, Maria Stella Gelmini, auguri di buon lavoro con l’indicazione di tre priorità.
Non complessi provvedimenti organici, ma l’avvio di alcuni processi irrinunciabili, inizialmente concepiti dal centrosinistra ma poi da questi ostacolati:

1) Decentralizzazione alle regioni dell'amministrazione delle scuole
secondo il dettato costituzionale, cominciando con l’attuazione di quel famoso art. 28 del decreto 226/2005 relativo al 2° ciclo concordato con tutte le regioni:

“Con decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri, sulla base di accordi da concludere in sede di Conferenza unificata, sono individuati modalità e tempi per il trasferimento dei beni e delle risorse finanziarie, umane e strumentali necessarie per l'esercizio delle funzioni e dei compiti conferiti alle Regioni e agli Enti locali nell'ambito del sistema educativo di istruzione e formazione, secondo quanto previsto dagli articoli 117 e 118 della Costituzione

2) Stato giuridico del personale docente,
a partire dalla realizzazione dell’articolazione della carriera, con l’attuazione del comma 16 dell’art. 21 della legge 59/1997:

“Nel rispetto del principio della libertà di insegnamento e in connessione con l'individuazione di nuove figure professionali del personale docente, ferma restando l'unicità della funzione, ai capi d'istituto è conferita la qualifica dirigenziale.”

Come noto i capi di istituto hanno avuto la dirigenza, ma ai docenti è stata negata l’articolazione della carriera, in nome del persistente feticcio dell’unicità della funzione docente, qui ancora riproposta

3) Rilancio dell’istruzione e formazione tecnico- professionale
superando la deleteria scissione fra gestione regionale e statale, attraverso la decentralizzazione dell’amministrazione di tutte le scuole alle regioni.
E’ questo il solo modo di ricomporre tutta la gestione dell’istruzione e formazione tecnico professionale, abbattendo steccati, pur nella ricchezza e differenziazione dei percorsi, garantendo agli istituti professionali il mantenimento delle qualifiche e avviando una efficace alternanza scuola-lavoro.

( 10 maggio 2008 ) Torna home page


100 Statistiche per il Paese. Indicatori per conoscere e valutare

L'Istat ha diffuso la prima edizione di "100 statistiche per il Paese. Indicatori per conoscere e valutare", una pubblicazione che offre, in un'ottica di integrazione, un quadro d'insieme dei diversi aspetti economici, sociali, demografici e ambientali del nostro Paese, della sua collocazione nel contesto europeo e delle differenze regionali che lo caratterizzano.

Si tratta di un lavoro che arricchisce l'ampia e articolata produzione dell'Istat attraverso la selezione di alcuni indicatori, aggiornati e puntuali, raccolti in 103 schede e distribuiti su 17 settori di interesse che spaziano dall'economia alla cultura, al mercato del lavoro, alla qualità della vita, alle infrastrutture, alla finanza pubblica, all'ambiente.

Completa il quadro un focus dedicato ad alcuni servizi essenziali, come l'assistenza domiciliare agli anziani, gli asili nido, lo smaltimento dei rifiuti, la distribuzione dell'acqua.

Cosa dice l'indagine ISTAT sulla scuola (da La Repubblica 7-05-08)

Rimane elevato il tasso di abbandono scolastico: l'11,1% lascia al primo anno delle superiori

La metà degli italiani è ferma alla licenza media

Bassa anche la spesa per l'istruzione, al 4,4% del Pil contro una media Ue del 5,1%. E quella per i consumi culturali è al 6,9% contro la media Ue27 del 9,5%

ROMA - Quasi la metà della popolazione italiana è ferma alla licenzia media. Lo attesta l'Istat, nella prima edizione del rapporto "Cento statistiche per il Paese". Nel 2007 infatti il 48,2% della popolazione di età compresa tra i 25 e i 64 ann i aveva conseguito come titolo di studio più elevato solo la licenza di scuola media inferiore. Nel contesto europeo l'Italia presenta al 2006 un valore dell'indicatore pari al 48,7%, che posiziona il nostro Paese in fondo alla graduatoria insieme a Spagna, Portogallo e Malta.

L'Unione Europea a 27 Stati membri presenta una media degli abitanti in possesso solo del titolo di scuola media inferiore pari al 30% ed è bilanciata da Paesi come la Repubblica Ceca, la Slovacchia e l'Estonia che presentano invece un basso livello di popolazione adulta che ha conseguito un livello di istruzione inferiore (10%).

Per il Mezzogiorno l'Istat rileva inoltre un peggioramento : dal 2004 al 2007 le regioni del Sud hanno visto aumentare la popolazione in possesso della sola licenza media di 2,4 punti percentuali. Nell'analisi per regione emerge che Sardegna, Sicilia, Campania e Puglia presentano un maggior numero di abitanti fermi agli studi di scuola media inferiore, con quote intorno al 56-57%. Al Nord le situazioni in cui si rilevano le quote più elevate degli adulti che hanno conseguito solo la licenza media inferiore sono quella della provincia autonoma di Bolzano (52,6%) e della Valle d'Aosta (52,3%).

Nel nostro Paese rimane elevato anche il tasso di abbandono scolastico: nell'anno scolastico 2005/06 la quota di giovani che ha lasciato gli studi al primo anno delle superiori, senza completare dunque l'obbligo formativo, è dell'11,1%. Forti ancora una volta i differenziali territoriali: è il Friuli-Venezia Giulia la regione con la quota di abbandoni più contenuta (6,2%) mentre i valori più elevati si rilevano in Sicilia e in Campania, dove rispettivamente 15 e 14 studenti su 100 non completano il percorso.

Poco più del 75% dei giovani consegue un titolo di studio superiore, e pertanto il nostro tasso di scolarizzazione è inferiore a quello della media Ue27 (77,8%). Il miglioramento, comunque, c'è stato: +2,6% al Sud tra il 2004 e il 2007 e +4% al Nord. Quanto al passaggio all'università, si iscrivono a un corso poco più di 4 giovani su 10 diplomati (41,2%). Ma la tendenza è in crescita.

Mentre quella che si mantiene costantemente bassa è la spesa per l'istruzione: nel 2005, rileva l'istat, l'incidenza di questa voce sul Pil era pari al 4,4%, ampiamente al di sotto della media dell'Ue27 che era del 5,1% nel 2004.

E' bassa anche la spesa individuale degli italiani per la cultura: nel 2005, in media, è stato investito il 6,9% della spesa complessiva per i consumi finali, il 2,1% in meno rispetto all'anno precedente. I consumi culturali degli italiani sono decisamente inferiori non solo alla media dei paesi dell'Ue15 (il 9,6%), ma anche alle spese dei paesi di più recente adesione (9,5% per l'Ue27): nell'Unione Europea l'Italia si piazza al ventiduesimo posto.
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Competenze chiave per la vita
Londra 19-20 giugno

Come valutare le competenze chiave? Come riconoscere i risultati dell'apprendimento informale? In che modo la tecnologia può contribuire all'autonomia e alla riuscita del discente? Il convegno Key competences – skills for life 2008, organizzato da ElfEL (European Institute for E-Learning) e NIACE (National Institute of Adult Continuing Education), cercherà di rispondere a queste domande, e a molte altre.

Gli organizzatori del convegno hanno scritto:

“La sfida di assicurare a tutti i cittadini il possesso delle competenze necessarie a vivere e lavorare nel 21° secolo non è mai stata più pressante. I trend demografici, la competizione globale e i progressi tecnologici rendono indispensabile alzare il livello delle competenze e assicurare che queste tengano il passo con l'evoluzione dell'odierna società della conoscenza.”

Questo è il secondo convegno internazionale organizzato su questo tema. Il primo fu tenuto all'università di Londra nel luglio 2007; vi parteciparono 21 paesi con rappresentanti di istituti di ricerca, università, enti di consulenza, fornitori di tecnologie, ministeri dell'istruzione, scuole , college, industrie, sindacati.

Le principali domande e gli argomenti che allora emersero furono :
1) Si può trovare un accordo “ universale” su una serie di competenze chiave che siano leggibili e trasferibili?

  • Dobbiamo distinguere fra competenze di base e competenze chiave o fanno parte di un continuum?
  • Quali implicazioni può avere questo interrogativo sui modi con cui si sviluppano e misurano queste competenze?

2) Come si valutano le competenze chiave?

  • Integrate entro la valutazione del curricolo
  • Separatamente?

3) Come possono gli individui rendere visibili le loro competenze chiave?

4) Come riconoscere i risultati dell'apprendimento informale?

5) Come può contribuire la tecnologia all'autonomia e ai risultati di chi apprende?

Una delle principali conclusioni del convegno fu che non circolavano sufficienti informazioni su quello che si stava facendo nei vari paesi. Sorse così l'esigenza di avere una base comune di conoscenze e una comunità di pratiche.
EifEL ha raccolto questa esigenza, che questo secondo convegno vorrebbe soddisfare.
Le iscrizioni al convegno possono essere fatte a questo urlTorna home page


Paolo Ferri, La scuola digitale (02-05-08)

Da tempo l'ADi sottolinea l’esigenza improcrastinabile che la scuola assuma consapevolezza delle trasformazioni radicali avvenute nei modi di apprendere delle nuove generazioni con la diffusione di massa delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (TIC). Se questo non avverrà la scuola è destinata a soccombere.

Siamo entrati nella terza fase, per dirla con Raffaele Simone; la prima fu caratterizzata dall'invenzione della scrittura, la seconda dall'invenzione della stampa, la terza dall'invenzione delle TIC. Le nuove generazioni apprendono sempre meno dalla carta stampata e sempre più dallo schermo di un computer, da un iPod ecc…, e sempre più in modo interattivo. Tutto questo genera il passaggio dall' apprendimento simbolico-ricostruttivo ad esperienzale, da analitico-sequenziale a olistico e globale, da deduttivo a induttivo, e sempre più il rapporto fra docente e discente si fa orizzontale non più verticistico.

Questo libro di Paolo Ferri, La scuola digitale (sottotitolo “Come le nuove tecnologie cambiano la formazione”, Bruno Mondadori, 180 pagine, 12,50 euro), ci guida all'interno di queste trasformazioni, che coinvolgono in profondità anche gli spazi per apprendere, la stessa struttura fisica della scuola e delle aule.

Riportiamo parti di una presentazione del libro fatta da Piero Bianucci, a cominciare dal paragrafo in cui cita uno degli esempi illustrati da Paolo Ferri sui nuovi modi di intendere l'architettura scolastica.

“Prendiamo la scuola di Snaefellnes, in Islanda. L'edificio comprende un grande spazio aperto per l'apprendimento individuale e di gruppo, stanze di lettura, postazioni per scrivere al computer (1500 metri quadrati); una sala per discussioni, seminari e dibattiti, proiezioni; info-center e Internet Café accanto alla mensa; un'area per le attività artistiche e un'area per quelle sportive; uffici amministrativi e cucina. Addio aule, banchi, cattedre, polverosi laboratori di chimica e fisica, animali impagliati e sotto formalina. La conoscenza è nell'aria, portata dagli insegnanti e dal Wi-Fi che mette a disposizione di tutti Internet senza fili creando invisibili collegamenti con altri studenti, professori, scuole e università lontane.

Per Paolo Ferri questa è “La scuola digitale”. Docente di Teoria e tecnica dei nuovi media all'Università di Milano Bicocca e autore di saggi sull'e-learning, Ferri parte dal disastroso piazzamento degli studenti italiani documentato dalla ricerca PISA (Programme for International Student Assessment) svolta dall'Ocse sui quindicenni di 57 paesi: siamo al 36° posto, ben lontani dal G7 e sotto la media europea, battuti anche da Croazia, Macao e Taipei. Dei dati PISA, Ferri porta in evidenza il rapporto tra punteggio conseguito e familiarità con il mondo digitale. Posta a 500 punti la “sufficienza”, salta fuori che l'85% degli studenti che hanno accesso a computer e a Internet da casa totalizza 514 punti; il 15% che non usa il computer a casa totalizza solo 435 punti. Ecco perché la scuola deve fare tesoro delle risorse del mondo digitale.

Ma la riforma Moratti non parlava proprio di informatica a scuola? Sì, peccato che lo facesse prescrivendo come contenuto didattico la tecnologia e non il suo uso. L'esito, osserva Ferri, è grottesco: ragazzi che ogni giorno scaricano musica, mettono filmati su You-Tube e chattano talvolta pericolosamente finendo nelle trappole dei pedofili, secondo quei programmi scolastici avrebbero dovuto studiare “i principali componenti del computer: pulsante d'accensione, monitor, tastiera, mouse e usare il computer per eseguire semplici giochi, anche didattici” (!) progredendo poi verso “la videoscrittura e la videografica”.

No, non è questo che la scuola deve fare, dice Ferri. I ragazzi oggi nascono già digitali, si tratta di usare la rete in modo interattivo, sul modello di Wikipedia. L'ambiente di studio e di lavoro creato da software di tipo Wiki (e più in generale tutti i software open source) è sinonimo di condivisione, dialogo, confronto critico in uno spazio grande come il pianeta. Questa è l'aula virtuale del futuro, ed esige che si ridisegnino sia l'aula fisica sia l'insegnante.”

(da Piero Bianucci, Addio aule e cattedre il sapere è on line, La stampa 12-04-08)

Su YouTube potete vedere la presentazione che lo stesso Paolo Ferri fa del suo saggio

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Rapporto sull'immigrazione in Italia

Il 29 aprile 2008 il ministro Amato ha presentato il primo Rapporto sull'immigrazione in Italia, curato da Marzio Barbagli, nonché i risultati della seconda ricerca dell'Osservatorio sociale sulle immigrazioni realizzata dalla Makno & consulting di Mario Abis.

Questo rapporto si aggiunge al Documento del MPI sulla situazione degli alunni stranieri in Italia dell'ottobre 2007.

Il primo dato che si desume dal Rapporto del ministero degli interni è che la popolazione straniera residente in Italia, nonostante il continuo incremento, rimane percentualmente fra le più basse d'Europa (v. grafico sotto), attestandosi al 5%, di cui più dell'88% è concentrata nel Centro- Nord, in particolare di questi ¼ si trova in Lombardia, seguita da Veneto, Lazio ed Emilia Romagna.

Il documento citato del MPI informa che nell'a.s. 2006-2007 nelle scuole italiane il 5,6% degli alunni è straniero , mentre dieci anni fa (1997/98) era lo 0,8%. Negli ultimi anni gran parte della crescita si è concentrata sull'istruzione secondaria di secondo grado (102.829 alunni, di cui circa l'80% in istituti tecnici e professionali). L'arrivo di alunni non italiani non è stato omogeneo tra le diverse zone del paese come d'altronde è accaduto per la popolazione straniera in generale: su 100 alunni non italiani 90 frequentano le scuole del Centro-Nord e solo 10 quelle del Mezzogiorno .Un altro elemento di complessità è dovuto alla diversità delle cittadinanze presenti: nelle scuole italiane, sono presenti 192 nazioni su 194 (mancano solo Lesotho e Vanuatu). Le nazioni maggiormente rappresentate sono l' Albania (15,5%), la Romania (13,6%) ed il Marocco (13,5%). Da questi tre Paesi proviene il 42,6% di tutti gli alunni stranieri.

Download

•  PPT del Rapporto del ministero degli interni sull'immigrazione 29-04-08
•  Documento del MPI su La via italiana all'intercultura 23-10-07

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