Ringraziamo vivamente Gabriele Boselli, per averci inviato in anteprima  la relazione - "Pedagogia e politica. Fenomeni esperibili e profili epistemologici" - che terrà al Convegno internazionale   "Educazione e Politica - SENSO DELLA POLITICA E FATICA DI PENSARE", promosso da Encyclopaideia, rivista di pedagogia, fenomenologia e formazione, che si svolgerà a Bologna, presso l’Aula Magna dell’Università, il 7-8-9 Novembre 2002.

home pageDella relazione pubblichiamo qui un’ampia sintesi

 

PEDAGOGIA E POLITICA

PER UN NUOVO PROGETTO DI SOCIETA’ E DI SCUOLA

(sintesi della relazione di Gabriele Boselli al Convegno internazionale

“ Educazione e Politica - SENSO DELLA POLITICA E  FATICA DI PENSARE

  Bologna, Aula Magna dell’Università, 7-8-9 Novembre 2002)

Da dove guardare

Nel titolo il termine pedagogia precede quello di politica non certo per una pretesa di supremazia ma solo per indicare il posto da dove si indirizza lo sguardo verso un altro luogo, quello della politica.  Sorge subito un problema: sino a poco tempo fa la politica  era il luogo, il punto da cui venivano stabiliti i valori di ogni attività. Oggi  il posto che fu della politica è passato all’economia; sono i titolari dei poteri finanziari, gli dèi della religione del denaro, a stabilire quel che può essere riconosciuto o valorizzato, quelli che - servendosi o meno della forma dei poteri ufficiali di qualche stato- dispongono della vita degli individui, delle nazioni e dei popoli. Disponendo di tutti gli strumenti del sistema informativo globale, possono far passare qualsiasi idea che loro convenga e far sparire ogni altra che contrasti con i loro interessi.

Ma noi che veniamo dai libri cerchiamo la verità e questa è in primo luogo dis-velamento. Vediamo dunque di togliere alcuni dei veli sovrapposti al pensare contemporaneo di massa che gli impediscono di costruire un’adeguata rappresentazione del mondo.

Fabbricare etiche e istituzioni utili

Se il politico vero non può essere del tutto indifferente alle ragioni della Politica , il mondo dell’economia, almeno nella sua parte di più larga intelligenza, intende l’etica come necessaria strategia di mascheramento “politicamente corretto” dei propri obiettivi e delle proprie strategie. Una parte ancor minore mantiene intenzioni etiche autentiche ma seppellite sotto metri di obbligate pratiche amorali e d’ideologia conseguente. L’economia “reale” genera con il tempo  deontologie di difesa del moralmente indifendibile, nella persuasione di poter ottenere un adeguamento del politico alle proprie esigenze economiche. Allo stesso modo si pretenderà che la scuola con i suoi saperi e tutte le istituzioni siano principalmente finalizzate all’interesse economico (privato).  Si sente, infatti, con sempre maggior rumore predicare che lo Stato -e non solo quello “sociale”- va ridotto e forse superato perché non sarebbe più uno strumento abbastanza efficace dell’economia.  Tutto questo -comprensibile come espressione d’interessi di parte- non può evidentemente proporsi come  un quadro accettabile dei rapporti tra economia e politica,  tra politica e pedagogia. C’é però il rischio che riesca ad imporsi come ideologia, sostenuto com’é da un’imponente massa di eventi: l’informatizzazione sempre più diffusa e invasiva di comunicazioni, il mercato unico mondiale delle culture, delle merci dei loro produttori, la sempre più sfacciata pretesa  di subordinare i luoghi dello spirito (prima tra questi la scuola) ai luoghi della produzione.

La politica o quel che ne rimane

Il nostro è dunque tempo di preoccupati interrogativi. Le logiche deterministiche dell’economia tardocapitalistica agiscono prepotentemente in tutto il mondo e ovunque va estinguendosi il pensiero pubblico e affermandosi quello privato. Ma allora, vi è ancora spazio per un pensiero della democrazia pensante  o solo per quello della plutocrazia?

Certo, il nostro ragionare alla periferia della politica non è tranquillo; viviamo  negli anni della privatizzazione non solo delle attività economiche ma anche di quelle istituzionali dello Stato. Da un punto di vista razionale non possiamo certamente ridurre tutto a una lotta fra il bene e il male, non possiamo demonizzare nessuno, nemmeno il demonio (non sarebbe politically correct). Ma è difficile ragionare senza prendere posizione. E anche il non prender parte non è forse iscriversi a un partito, quello della rassegnazione?

Una via d’uscita potrebbe essere quella di realizzare la virtù dell’astinenza (l’astinenza dei virtuosi nelle epoche di corruzione profonda) o quella Pedagogica, di coltivare l’Utopia. Il che naturalmente non vuol dire astenersi dal mondo ma solo dall’esposizione alle più intense, devastanti radiazioni della “macchina del consenso”, per coltivare forme di pensiero critico e creativo di conoscenza e di ethos.

Tuttavia, mentre i filosofi discutono,  il mondo è dominato da poteri che commissionano la produzione di saperi ingiusti, produttivi di risultati economici ad altissimi costi umani e ambientali. Tutte le scienze, pedagogia e politica comprese, vengono promosse come tecnologie produttive. La ricerca e l’insegnamento sono ormai promossi all’interno di una dimensione finanziaria e dunque dell’etica utilitarista, delle metodologie di tipo programmatorio  e dei sistemi valutativi oggettivanti.   Ora, mentre la rendicontazione è accuratissima in riferimento a obiettivi di ordine economico , non si rende conto di nulla rispetto ai grandi valori dell’umanità, ai costi spirituali delle trasformazioni economiche. Ne sono manifestazione in ambito scolastico il trionfo della competenza sulla conoscenza, del criterio di utilità sulla purezza (gratuità), del risultato sul principio, della didattica del dio Mercato sulla paideìa della tradizione ebraico-cristiana. L’approccio minimalista comporterebbe la rinuncia a trasformare il mondo, a sperare nella salvezza (propria e di chi altri voglia salvarsi).

Profili epistemologici

Pur nella tristezza dobbiamo pensare pensantemente (non pensatamente) , forse non tanto per il momento attuale ma per il tempo in cui politica e pedagogia torneranno a essere forme  relazionanti  e anche autonome e autorevoli di sapere.  L’apparentemente irresistibile trionfo dell’assenza di pensiero nel mondo contemporaneo non può essere un buon motivo per smettere di pensare, dunque di prestare attenzione ai fenomeni per ideare un quadro teorico che strappi il velo delle apparenze.   Si tratta dunque in primo luogo di disincantarsi, non per cadere in un altro oblio del pensiero ma per creare un pensiero che crei un nuovo mondo, e di compiere questo atto fuori, ma anche dentro, l’universo telematico. Finchè pensiamo come ci addestrano, le cose non possono cambiare, nulla di nuovo può nascere se un nuovo pensiero non nasce. Occorre un’idea perché si produca un nuovo mondo sulla scena degli eventi. Occorre una scienza della politica e della pedagogia  non integrate nel paradigma del successo, ma capaci di produrre progetti con qualche possibilità di divenire evento.  È teoria ciò che validamente ci spinge ad andare oltre, verso la sosta ove troveranno luogo le attuali direzioni di senso.

La cultura del Novecento e in particolare quella del Postmoderno hanno visto dissolversi i confini tra i presunti organi della certezza (matematica, economia e scienze “dure”) e le voci che da secoli hanno accettato il valore di pura testimonianza dei propri asserti (letteratura, scienze dello spirito, pedagogia e politologia europee). Nelle zone alte del sapere, guardare le stelle o volgersi al mondo e all’anima umana è essenzialmente denunciare le parvenze per affermare la propria presenza ai bordi dell’avvenire, dell’ignoto e del mistero; è condurre un discorso diverso per livelli di ambiguità ma che comunque si sa lontano (se non proprio altro) dall’inavvicinabile intrinseca realtà delle cose. Eppure gli incerti e precari nuclei di conoscenza che l’uomo nei millenni è riuscito a ideare sono il mondo “reale”, continuamente ricreato dal soggetto umano.

E’ una impresa difficile ma occorre tentare. Né la politica né la pedagogia possono concedersi il lusso del pessimismo. Fosse anche solo pessimismo della ragione: sarebbe complicità nella costruzione del peggio.

Indagini di senza-terra

Politica e pedagogia non possono dunque essere solo scienze della contingenza, ma saperi che analizzano l’incerto, il precario e poi ne fuoriescono per creare nuovi e più umani scenari di vita. Nella difficile impresa di immaginare il profilo di una teoria politica e pedagogica disincantata e impegnata, coraggiosa nella pars destruens quanto prudente in quella positiva, formulerei le seguenti linee di lavoro intellettuale. Possono sembrare affermazioni; sono solo inter-rogazioni.

La politica e la pedagogia come scienze sono prospettive ermeneutiche sulla condizione umana, forme di indagine teoricamente rigorosa che vengono dall’aver avuto una terra e dalla speranza di poterla riottenere . Il sapere di avere come una delle tante stirpi avuto una terra . ed essere vissuti sotto un cielo, il ricordare di aver attraversato altre terre e guardato altri cieli consente in queste due forme di attività intellettuale e spirituale di orientarsi e orientare, ne fa i tratti di un’ articolata e tendenzialmente unitaria paideia.

Modi di essere scienza

Il mondo si dà ma non è un dato; rappresenta una sorta di “testo” da interpretare. Come testo andrebbe letto liberamente senza griglie fisse o schemi precostituiti di lettura, perchè gli schemi precostituiti impediscono di prestare attenzione al singolo soggetto e annullano la capacità di stupirsi. E solo dallo stupore, come ci insegna una cultura bimillenaria, può nascere la conoscenza.

Quella scientifica non é attività di neutrale riproduzione di un oggetto ma conoscenza teorica, pratica e poetica (orientata a cercare l’armonia) condotta da un soggetto consapevole di essere/esser-ci e di stare dentro un campo di storie e di intenzionalità.

Con il sapere scientifico si entra in una dimensione quantitativo/qualitativa,  dove qualità è interrogazione perpetua  e quantità è studio del replicarsi di fenomeni.

Ogni affermazione e ogni confutazione sono provvisorie statuizioni del livello di affidabilità di una teoria, qualcosa che appare migliore di quel che precede (teoria antagonista) o comunque del nulla.

Organi di conoscenza intersoggettiva

Nella ricerca come nell’insegnamento delle scienze politiche e pedagogiche, noi costruiamo un’immagine del mondo più o meno consapevolmente collegata alle nostre attese, al nostro progetto, alla nostra linea di intervento, al nostro mondo estetico, cognitivo.  Occorre rendersene conto ed esplicitare agli interlocutori la formazione intersoggettiva  della conoscenza scientifica.  La soggettività intellettualmente, moralmente, esteticamente consapevole, esplicita, responsabile, non è qualcosa da evitare sul piano scientifico, ma è elemento prezioso. La conoscenza dell’universo politico e pedagogico nasce dall’incontro dell’io con il mondo, entro il campo della cultura e delle tradizioni di ricerca scientifica. Senza la compresenza efficace di questi tre termini non vi è conoscenza né insegnamento .

Interrogazioni sull’alterità

E’ importante mantenere nelle scienze politiche e pedagogiche e nel loro insegnamento un senso dell’intensità intenzionale e nel contempo della ristrettezza dei limiti, perché il mondo e l’Altro sono anche alterità tenuemente conoscibili, spesso lontane dalla superficie degli eventi.

Scienze dello spirito

Politica e pedagogia possono essere proposte come scienze dello spirito, saperi scientifici in quanto inerenti all’esperienza, ricchi di una tradizione di pensiero, relazionati al quadro globale delle scienze, dotati di quadri teorici rigorosi, di metodologie non standardizzate ma riprogettate in funzione degli argomenti specifici.  Saperi-laboratorio di produzione di significati e di sintesi disciplinari, luoghi di un impegno personale di studio, di presenza e di testimonianza.

Funzioni d’onda di un pensiero pensante e indagante

Il firmamento culturale delle masse è descrivibile con una linea di onde ad alta frequenza ma sempre più piatta.  Una valanga continua di non-pensiero si riversa sulla gente: è pensiero del sistema, della macchina mondiale dell’economia e dell’artefatto culturale.  Privilegia le valute sui valori. Apprezza e alimenta non le conoscenze ma le competenze, conoscenze seriali e servili,  pensieri utili in quanto rigorosamente destoricizzati, depersonalizzati, definalizzati e pronti a conseguire gli obiettivi di un mondo uniforme e artificiale.

Non di sola contingenza

Il pensiero d’inizio millennio appare un pensiero della contingenza e dell’emergenza. Ma possiamo accettare che la contingenza, ovvero il dominio del Mercato su tutto e tutti, l’abbia vinta? Accettare senza capire a fondo, senza reagire e senza progettare, o almeno sognare,  altrimenti?

Cominciamo intanto con il cercar di capire se il legittimo rifiuto del fondamento debba necessariamente risolversi nell’idolatria della contingenza (e la conseguente e devastante differenziazione funzionale delle persone e delle istituzioni) o possa invece far approdare  un’altra idea, ad esempio quella di fondazione.  Nuova fondazione può essere nel cercar di riposizionarci in una rete ipercomplessa di eventi che continuamente muta ma non cancella la loro stessa identità, .

Oggi più che mai penso che dovremmo considerare l’idea di fondazione in modo radicalmente anipostatico (che non sta e non deve a null’altro che a sè la propria esistenza), per farle guadagnare uno spazio proprio, un proprio piccolo territorio sovrano.

Saperi laici, narrativi, itineranti

In questa nuova epoca, contro la predicazione dei nuovi clerici formati dai managers e dai tecnici dobbiamo proporre una cultura come luogo di scienze “laiche”, non di categoria, non castali,  argomenti per un sapere personale indagante, aperto all’intersoggettività.  Siano scienze di un sapere non universale ma tratto da una terra, vissuto sotto un cielo, fondato nelle tradizioni culturali,  sul complesso storicamente sedimentato dei fenomeni e le loro connessioni, oltre che delle tradizioni di ricerca. Siano i luoghi teorici di attenzione critica ai valori correnti, e perenne tentativo di riconoscimento-costruzione. Pedagogia e politica sono allora in tal senso pensabili come non “scienze su”, epistemiche, ma saperi “da”,  “intorno a”, “attraverso”. Possono essere proposte come letture di gnoseologie regionali, interpretazioni complesse di complessità sospese inerenti sia all’una che all’altra, nel loro incontrarsi o allontanarsi.  ll tardomoderno pensa a saperi epistemici, che stanno sopra (e fuori) la relazione tra i soggetti e i fenomeni. Potranno invece essere discorsi-su condotti-da nel qui e nell’ora del loro concreto. Siano forme di sapere critico di fronte alle assiologie “vincenti” ma che si pongono pure il problema di una visione autentica dei fenomeni della realtà. Di una visione dei valori da additare ai giovani e ai loro maestri; di un orientamento valoriale “per radi cenni” che lasci spazio all’autonoma costituzione dello scenario assiologico generale e regionale.

Saperi della separazione e della distinzione

Ciò che urge è che Politica e Pedagogia siano saperi del nesso, della connessione: non connessione di un fenomeno (evento originario) a un altro (rappresentazione che lo ricrei intellettualmente) secondo la categoria della presunta consequenzialità necessaria, ma organi del far luogo al comprendere, attività dello spirito che vertono non solo sul dato ma anche sull’aspettativa, connessioni autentiche (non artificiose) di eventi interne/esterne ai vari soggetti del discorso.

Elaborazioni di una fenomenologia generale come può essere configurata stando dentro, attraversando, cercando di oltrepassare  la situazione politica ed educativa. Politica e Pedagogia come  scienze dello spirito non pretendano di registrare i fatti politici o  educativi o di coglierne il significato intrinseco ma siano attente  ai volti, ascoltino voci per trarne narrazioni, sintesi e nuclei di  orientamento per costruire la città ventura nel pensare, nel vivere e  nell’educare.

 

Biografia di Gabriele Boselli

Nato nel 1947 a Savignano sul Rubicone, si é laureato nel 1970 in Pedagogia presso l'Università di Urbino.

Le sue ricerche hanno fin dagli inizi riguardato l'assetto epistemologico delle scienze dell'educazione e i problemi della progettualità.

E' soprattutto, insieme ad Agostina Melucci e a Marina Seganti, l'ideatore della teoria della Postprogrammazione ("Postprogrammazione", La Nuova Italia, '98, 2.a).

Già maestro e direttore didattico, è ispettore presso l'Ufficio scolastico regionale di Bologna. Dal 96/97 è professore a contratto di Filosofia dell’educazione ed Educazione degli adulti presso l’università di Urbino. 
 

Bibliografia essenziale dell’Autore

G. Boselli "Postprogrammazione", La Nuova Italia, '91, Œ98 2.a ed. riveduta e ampliata)

G. Boselli "Riflessioni gentiliane. Per una teoria dell'atto in educazione" in "Pedagogia al passato  prossimo", La Nuova Italia, '91

G. Boselli "A phenomenological perspective on educational planning" in ANALECTA HUSSERLIANA LIX, 333-342, '98 Kluwer Academic Publischers, Netherlands

G. Boselli  "Dei saperi dell’antico mondo e del nuovo" in ENCYCLOPAIDEIA, N. 5, '99; CLUEB editrice in Bologna.

G. Boselli  (a cura di)  "Per la qualità della scuola" Conero editrice, Ancona 1999

Interviste a Gabriele Boselli sul tema sono state pubblicate da APPLE EDUCATION, Settembre '98 e da "IL QUADRANGOLO" n.4 Marzo 99

Dirige la rivista telematica www.cadnet.marche.it/postprogrammando/