Pasolini
Pier
Paolo |
Scrittore,
saggista e regista (Bologna, 1922 - Roma 1975). Durante la guerra con sua
madre aprì una scuola a Versuta, in Friuli, insegnò lettere nella scuola
media di Valvasone e poi a Roma. Tracce della sua attività e della sua
autentica vocazione pedagogica si trovano in molte opere, saggi e articoli
(Vedi: Dal diario di un insegnante,
in Naldini, 1995): A
Versuta c’era una ventina di ragazzi che non potevano a causa dei
pericoli, frequentare la scuola di san Giovanni. Io e mia madre divenimmo
i loro maestri; con che tremore, con che reale
interesse mi accinsi a quell’avventura! Ricordo le prime ore di scuola,
così soffuse di un acre e quasi languido senso di verginità, in cui io
già incominciavo a manovrare con astuzia il mio candido entusiasmo,
facendo della «emozione» qualcosa come una figura retorica di nuova
specie, con cui minare il mio discorso di pause, di riverenze, di
esclamativi segreti. Ne lievitava un pacato tono di scandalo, di
rivelazione, che determinava in tutto il ragazzo uno stato di curiosità
per tutto quello che dicevo. La mia emozione si comunicava agli scolari,
che sentivano allora per la prima volta l’ambiguo sapore dell’ironia e
insieme l’attendibilità dei fatti e delle deduzioni stringenti.
(pag.273). Recentemente
(Meacci, 1999) sono state raccolte anche interviste e testimonianze dei
suoi studenti: Il
suo metodo era quello dell’«insegnamento totale»; non c’erano i
blocchi definiti delle materie. Quando leggevamo l’Iliade
si faceva anche geografia, il discorso si ampliava. “Dov’è Troia”.
Allora lui ci indicava la zona dei ritrovamenti sulla cartina. Aravamo
entusiasti… Ci fece subito capire, e amare, il suo metodo di
insegnamento. Pensi che lo andavamo a prendere quasi tutte le mattine,
alla stazione. Eravamo quattro o cinque. Mi ricorso… c’ero io,
Vincenzo Cerami, Giulio Roani… Lo vedevamo arrivare. E sin dalla
stazione cominciavamo a parlare con lui, con il
Professore, di quello che avevamo letto, di quello che avevamo fatto.
Nel momento in cui scendeva dal treno cominciava la lezione… Ad esempio,
non aveva un registro. Io non l’ho mai visto con un vero e proprio
registro. Aveva un foglio protocollo a quadretti coi nostri nomi, pieno di
croci, puntini. Segni suoi, particolari. Era molto rigoroso, però, non
creda. (pagg.94-95). |
Petruccelli
Alessandro |
Scrittore.
Insegnante di lettere di istituto superiore, è più volte ritornato nei
suoi romanzi sulla condizione dell’insegnante e della scuola,
melanconicamente rappresentata nel suo ultimo lavoro (Il
pensionando, 1999): Altre
stupefacenti innovazioni si annunciano e io vado via. Autonomia, statuto
degli studenti, riforma dei programmi, riordino dei cicli. Si prevede
anche di organizzare le scuole in modo piramidale, come i feudi nel
Medioevo. Inoltre si dice che il tema sarà sostituito con il riassunto o
con un ritrovato che potrebbe rivelarsi un’invenzione miracolosa per
giovani generazioni, già inclini allo spettacolo: la sceneggiatura. Io
vado via ma ribadisco: le riforme sono utili se contribuiscono a
rafforzare un principio basilare, cioè l’applicazione da parte degli
studenti. E’ il lavoro di assimilazione l’essenza della scuola. Se
esso manca, la scuola non esiste, i ragazzini crescono e la società si
indebolisce. Invece parecchi dei cambiamenti che ci sono stati negli
ultimi anni hanno portato a scardinare il lavoro di assimilazione, con il
ricorso a lavori più gradevoli e meno impegnativi. Come a dire: prima chi
voleva fare il geometra doveva imparare le regole per costruire i ponti,
ora è sufficiente che ne impari una o massimo due, purché partecipi a
qualche ricerca sul territorio o gareggi in qualche specialità sportiva
o, in ogni caso, non neghi il suo apporto alle manifestazioni della vista
scolastica. Sì, vado via, ma é come se lasciassi una persona cara povera
e malata. Più mi volto indietro più la vedo tendere le braccia e
chiedere aiuto
(pagg.131-132). |