2. La crisi dei sistemi scolastici
a) Un modello in crisi
Se ritorniamo ora ai risultati del PISA, vale la pena soffermarsi su un altro dato significativo, la cui gravità mette in dubbio il lavoro svolto nelle scuole. La scuola contemporanea, con il suo sistema di gradi di istruzione, non è stata configurata in questo modo per caso, ma è stata costituita così per produrre e trasmettere conoscenze, in particolare quelle che non si potrebbero imparare da soli o quelle che esigono lunghe esercitazioni e verifiche, la presenza di esperti e l'accessibilità a strumenti costosi che non tutti possono permettersi. Il presupposto teorico alla base di questa concezione è diverso da quello del movimento progressivo secondo il quale un'istituzione come la scuola deve “solo coltivare il comportamento e le emozioni di una persona nei suoi modi espressivi originali e peculiari” piuttosto che “ trasmettere da una generazione all'altra le conoscenze culturali e il comportamento sociale” (Huberman, 1982 p. 404). Si potrebbe supporre che con un programma ispirato da questi principi la maggioranza degli studenti dovrebbe arrivare alla fine della scuola dell'obbligo con un forte desiderio di apprendere e continuare a perfezionarsi. Purtroppo, però, le scuole odierne non riescono a conseguire che in modo limitato e parziale questo obiettivo. Dai dati del PISA si evince che
una proporzione significativa di giovani di 15 anni ha un'attitudine negativa verso la scuola e l'apprendimento : più di un quarto di tutti gli studenti quindicenni non ha più nessuna voglia d'andare a scuola, tanto da non desiderare altro che smettere di frequentarla. La proporzione è del 42% in Belgio, del 38% in Italia, del 35% negli Stati Uniti. Questo non vuol dire che tutti questi studenti abbiano perso il gusto di studiare o il piacere di apprendere qualcosa : tra loro ci sono giovani che sono anche disposti ad apprendere, magari con perseveranza e sofferenza, ma non più nel contesto scolastico. In un'inchiesta svolta a Ginevra nell'autunno del 2001, tra i giovani di sedici anni e più appena usciti dalla scuola dell'obbligo, con grossi problemi d'orientamento e d'inserimento scolastico, solo il 7-8% ha dichiarato di preferire di entrare direttamente nel mondo del lavoro, senza nessun altro tipo di formazione, piuttosto che di continuare ad andare a scuola. La transizione diretta dalla scuola al lavoro, che era ancora comunemente praticata una cinquantina d'anni fa, non è più all'ordine del giorno. Questi giovani, che hanno alle spalle esperienze scolastiche difficili o disastrate, vogliono un percorso formativo qualificante, ma non lo trovano nell'istituzione che è abilitata a proporlo (SRED, 2003). Infine, la percentuale dei giovani che a quindici anni dice di leggere per piacere è bassissima. Nell'indagine del PISA, i paesi nei quali meno di un quinto dei giovani ammette che non prova nessun piacere a leggere sono solo cinque ( Brasile, Lettonia, Messico, Portogallo e Russia); in Giappone, dove per altro la media dei risultati nel test di lettura è elevata, la maggioranza dei giovani, il 55%, dichiara di non provare alcun piacere a leggere. L'indagine ginevrina appena citata rivela che un certo numero di studenti non legge mai un libro (in certi indirizzi preprofessionali uno studente su due). L'istituzione scolastica, sorta per insegnare a tutti a leggere e a scrivere, non riesce a conseguire questo obiettivo, oppure lo realizza male o solo parzialmente.