Intervista a François Dubet

“Il tema della “cultura comune” deriva dalla volontà di uguaglianza relativa” 

(dal Café Pedagogique del 27-05-06)

Lei ha fatto parte dalla Commissione Thélot incaricata di definire lo zoccolo comune. Pensate che il progetto del ministro G. de Robien sia fedele alle riflessioni della Commissione?

E' fedele nel senso che il principio di questo zoccolo - io avrei preferito chiamarlo cultura comune - è ormai acquisito. Constato che la maggior parte dei protagonisti della scuola vi si sta allineando, mentre solo qualche anno fa c'erano forti opposizioni.

Lo spirito della Commissione era quello d'aprire un'ampia riflessione politica su ciò che tutti devono apprendere a scuola, sulle competenze, sui principi che devono regolare la vita scolastica … Ora lo zoccolo pare subire una riduzione in termini tradizionalisti, come se non fossimo capaci di domandarci davvero quale scuola vogliamo.

Come spiegare questi cambiamenti?

In materia d'educazione, gli uomini politici di destra e di sinistra sono portati ad agire con estrema prudenza perché temono le reazioni “esplosive” del mondo della scuola. Inoltre, da noi il clima scolastico è conservatore, per non dire “reazionario”, e lo è in modo trasversale, non solo a destra, e il Ministro fa leva su questo clima.

Sull'idea stessa di zoccolo comune si sente dire di tutto. Si parla di livellamento verso il basso, di fumo negli occhi, di scuola al ribasso. Tuttavia numerosi Paesi europei sono impegnati in questa stessa direzione, per esempio di recente la Svizzera. Come si spiega questa convergenza?

Tutti i Paesi devono affrontare due problemi inevitabili.

Da una parte, la scuola di massa porta con sé il rischio di una selezione molto precoce, una sorta di “canalizzazione” dove i bambini non apprendano più niente di comune. Il tema della cultura comune deriva allora da una volontà di uguaglianza relativa.

D'altra parte, tutte le società europee fronteggiano una forte immigrazione e diventano sempre più multiculturali. Ogni società è dunque tentata di definire in modo più netto la cultura comune, lo zoccolo di una scolarità comune. Vi è a questo riguarda grande convergenza tra i Paesi, sia quelli centralizzati , come la Francia, dove sono dominanti i valori della Repubblica sia quelli più decentralizzati, e con una cultura di tipo più “comunitarista”, come la Svizzera e la Gran Bretagna.

Finora l'obiettivo è stato la scuola elementare e media (in Francia collège di 4 anni anziché 3 , ndt) unica per tutti i bambini. Fare passare l'idea di un “zoccolo comune” non è sotterrare ufficialmente questa concezione della scuola e accettare il ritorno ad a una scuola differenziata socialmente come era nella prima metà del ventesimo secolo?

Io penso invece il contrario. Il collège era, e resta, una contraddizione insormontabile.

Da un lato è la scuola di tutti, quella della scolarità obbligatoria. Dall'altro,è una sorta di ginnasio nei programmi e nei metodi. E' pensato in termini di “eccellenza per tutti” che è una formula paradossale che conduce di fatto alla marginalizzazione dei più deboli. I principi che guidano l'idea della cultura comune ,trasferiscono le priorità della scuola da un' obbligatorietà univoca a una cultura condivisa da tutti prima che cominci la selezione e l'orientamento. Di fatto, è la scuola di oggi che produce differenziazione e che si dibatte in una contraddizione insormontabile.

Oggi il ministro parla di zoccolo comune a tutti i giovani francesi. Voi pensate che gli “apprendisti junior”(nota1) ,per esempio, abbiano la possibilità di raggiungere il livello definito dallo zoccolo?

Io sono ostile all'apprendistato a 14 anni, perchè è, di fatto, il rifiuto di una cultura comune. Inoltre questo anticipo bolla l'apprendistato come percorso destinato a chi fallisce a scuola , la quale, in questo modo, riesce a disfarsi di chi le crea problemi.

Ma è possibile fare riuscire tutti gli allievi?

Fare riuscire tutti gli allievi non significa che tutti devono andare all'università. Vuole piuttosto dire che tutti devono apprendere ciò che si considera essenziale. Questo è l'obiettivo della scuola elementare, bisogna che ciò sia anche l'obiettivo del collège. Ma una volta acquisita questa cultura comune, è certo che tutti gli allievi non avranno lo stesso rendimento. Fare riuscire tutti significa che la scuola non si rassegna all'emarginazione e al fallimento endemico di una parte degli allievi.

Nella prospettiva attuale di diminuzione dei finanziamenti non c'è il rischio serio che il tema dello zoccolo sia utilizzato semplicemente per diminuire le spese?

Una diminuzione dei finanziamenti non è mai una buona cosa. Ma bisogna anche smettere di credere che tutto sia questione di bilancio e di finanziamenti. Negli ultimi trenta anni, i mezzi economici sono notevolmente aumentati senza che i risultati siano migliorati. A che cosa serve dare più mezzi se è per fare qualcosa che non funziona? Io temo che l'argomento dei finanziamenti non sia altro che una maniera per rifiutare ogni cambiamento. Richiediamo dei mezzi per cambiare la scuola non per mantenere lo status quo.

Lo zoccolo comune si accompagna all'idea del pilotaggio del sistema educativo attraverso la valutazione: valutazione degli istituti sulla base dei risultati, valutazione sistematica degli allievi in rapporto allo zoccolo. Ritiene che questa sia una maniera efficace di dirigere la Scuola? Non si rischia che gli allievi vedano trasformarsi le valutazioni in altrettanti esami e di ritrovarsi alla fine con un tasso di fallimento ancora superiore?

Sicuramente, c'è il rischio di vedere le valutazioni trasformarsi in esami. Ma non si può continuare a pilotare la scuola sulla base degli obiettivi e delle intenzioni che manifesta e dell'ambizione dei suoi programmi. Bisogna sapere quello che la scuola fa e non quello che ha intenzione di fare. E' la cosa più giusta e più efficace, anche se può essere sgradevole per un'istituzione che ha l'abitudine di rendere conto solo a se stessa. E poi, per evitare rischi del pilotaggio tecnocratico, perché non richiedere che gli insegnanti, i genitori e gli allievi, siano associati nella valutazione del sistema. Dopo tutto, potrebbe essere un avanzamento democratico.

Vorrei dire infine che, anche se io non ho grande fiducia nel ministro attuale, tutte queste obiezioni suonano come rifiuti ostinati al cambiamento, come la difesa di un sistema che tutti dicono essere ingiusto e inefficace, salvo che per quella parte di popolazione che ne ha accesso privilegiato.


nota1 Per “apprendisti junior” si intendono i ragazzi che iniziano l'apprendistato a 14 anni, anticipandone l'ingresso di un anno, secondo la possibilità offerta da una norma varata nel febbraio 2006
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