INTERVENTI DEL PUBBLICO   
3a SESSIONE  
6 MARZO 2004   

AVE MATILDE PONZIELLI
dirigente scolastico ITIS "Galvani" , Milano

Intervento

Ringrazio innanzitutto il prof. Marzuoli per l'illustrazione chiarissima dell'architettura giuridica entro la quale si muovono le competenze regionali in materia di istruzione, nei confronti delle quali molti di noi avevano non pochi dubbi.

Vorrei ora porre 3 domande in primo luogo alla Dott.ssa Balboni, ma anche al Dott. Vicini:

•  Nel fare il quadro dell'Emilia Romagna la Dott.ssa Balboni ha parlato di percorsi integrati e del conseguimento di una qualifica regionale spendibile sul piano nazionale. La qualifica regionale è riconosciuta anche a livello europeo?

•  La sperimentazione 2004-05 partirà dall'inizio dell'anno scolastico oppure in corso d'anno? Con il termine “in corso d'anno” intendo quando i ragazzi dimostrano difficoltà a proseguire e necessitano di un riorientamento. Nel caso in cui la sperimentazione parta ad anno scolastico iniziato, come si integra l'organico esistente? Mi spiego con un esempio: se dopo il primo quadrimestre o dopo un paio di mesi un certo numero di ragazzi del mio istituto tecnico dimostra di non farcela li dovrei togliere dalle classi e immettere in un percorso triennale. E' evidente che a questo punto ho bisogno di altri docenti, dove li prendo? Non solo, la Regione ha previsto oltre alle risorse professionali anche quelle strumentali specifiche per questo percorso sperimentale?

•  Infine, terza e ultima domanda: questi corsi triennali innestati negli istituti tecnici o nei licei, in cosa differiscono dai normali corsi triennali professionali che esistono già?

Replica

CRISTINA BALBONI
Direttore generale cultura formazione e lavoro
Regione Emilia Romagna

•  Valore delle qualifiche

L'Emilia Romagna ha da tempo qualifiche riconosciute a livello europeo, perché i nostri corsi di formazione professionale sono allineati agli standard comunitari. Finora, poiché non c'era un sistema di standard nazionali, vivevamo questo paradosso: le nostre qualifiche regionali erano riconosciute negli altri Paesi europei, ma non nelle altre Regioni italiane! Ora, in base all'accordo del giugno 2003 sono stati finalmente previsti standard minimi nazionali, da cui discende il riconoscimento nazionale delle nuove qualifiche. In conclusione si può già dire, anche se occorrono ancora atti formali di recepimento delle intese, che ci sarà il riconoscimento nazionale delle qualifiche, mentre in Emilia Romagna il riconoscimento europeo c'è da tempo

•  Periodo d'inizio dei percorsi triennali e organici

La programmazione dell'offerta formativa in Emilia Romagna è articolata, come ho illustrato nella relazione, in 2 possibilità:

•  l'attivazione dall'inizio dell'anno scolastico di un percorso integrato per un'intera classe tempestivamente inserito nel POF. Se il numero delle iscrizioni al percorso sperimentale consente la formazione di una classe, sulla base dei canoni statali, questa viene attivata dall'inizio dell'anno scolastico e i docenti sono calcolati,come per le altre classi, all'interno dell'organico di diritto o di fatto.

•  L'attivazione di un percorso modulare, rivolto a gruppi di studenti, anch'esso programmato nel POF. Anche questo percorso, che può essere attivato ad anno scolastico iniziato attraverso il raggruppamento di alunni di diverse classi, non pone problemi di organico. E' inserito nel POF e riceve dalla Direzione scolastica regionale le risorse necessarie, stanziate dal MIUR. La Regione per parte sua si fa carico dell'integrazione con la formazione professionale, ma anche questa parte, bisogna per onestà dire, è finanziata dallo Stato, che assegna alla Regione fondi finalizzati a questo scopo

•  Le iscrizioni all'istituto tecnico.

E' bene chiarire che il ragazzo che si iscrive al percorso integrato in un istituto tecnico non è svantaggiato rispetto agli altri, ma ha una possibilità in più, quella di poter conseguire una qualifica al termine del triennio, senza precludersi la quinquennalità degli studi. L'accordo con l'Ufficio scolastico regionale prevede infatti che ove i percorsi integrati riguardino gli iscritti agli Istituti tecnici, il progetto formativo deve garantire la possibilità di proseguire gli studi nell'indirizzo prescelto, e contemporaneamente dare la possibilità a chi ne fa richiesta, di conseguire la qualifica professionale, attraverso il passaggio all'istruzione professionale o alla formazione professionale regionale con il riconoscimento dei crediti acquisiti e certificati.

•  Le differenze fra gli attuali percorsi sperimentali e quelli dei normali istituti professionali

Prima di questi ultimi accordi, in Emilia-Romagna non esistevano qualifiche triennali nella formazione professionale, il nostro sistema era organizzato con l'obbligo scolastico fino a 15 anni e con qualifiche biennali nella formazione professionale. Ora abbiamo garantito la triennalità della qualifica, ma con la specificità definita dalla nostra legge regionale: in Emilia Romagna almeno il primo anno di formazione integrata dopo la scuola media deve svolgersi dentro la scuola.

Replica

ROBERTO VICINI
Direzione Istruzione e Formazione
della Regione Lombardia

•  Valore delle qualifiche

Gli standard nazionali sono il punto di riferimento per la sperimentazione in tutte le Regioni, pertanto esistono garanzie fin da ora che le qualifiche saranno riconosciute a tutti i livelli.

•  Percorsi sperimentali e organici

In Lombardia non c'è integrazione fra scuole e CFP, noi stiamo impostando percorsi di tipo nuovo svolti autonomamente sia dagli istituti scolastici sia dai centri di formazione, ma tutti impostati sulla base degli standard nazionali . Tutti i corsi cominciano dall'inizio dell'anno scolastico, hanno pari dignità e non devono essere considerati la sacca di recupero di chi va male. Gli istituti che hanno ricevuto le iscrizioni per i percorsi sperimentali hanno già avuto la disponibilità delle dotazioni organiche dall'Ufficio scolastico regionale.

Replica

TIZIANA PEDRIZZI
Presidente ADi Lombardia

• Coinvolgimento degli istituti tecnici

L'intervento della collega Ponzielli esprimeva una certa riluttanza al coinvolgimento degli istituti tecnici in questa sperimentazione. A questo proposito è opportuno considerare che ci sono situazioni molto diverse sul territorio . Per esempio in determinate aree gli istituti tecnici sono gli unici istituti presenti, in quel caso, non potendosi dislocare l'utenza su altre realtà, è opportuno che l'istituto tecnico si attrezzi anche con i percorsi triennali di qualifica. Se invece c'è accanto un istituto professionale che partecipa alla sperimentazione dei nuovi percorsi, la presenza di un'offerta formativa di questo genere dentro all'istituto tecnico diventa probabilmente pleonastica.

SILVANO NATALIZI
insegnante di italiano
ITIS “A.Volta” - Perugia

Intervento

Vorrei porre tre diverse domande:

•  La prima domanda è rivolta all'ADi: è possibile aprire un gruppo di discussione su internet in modo che su questi argomenti così importanti ci sia la possibilità di continuare a confrontarsi?

•  La seconda questione è un po' provocatoria. Mi sembra che non sia emerso con chiarezza il ruolo della scuola in questa progettazione di percorsi d'istruzione e formazione professionale. Chiedo: la scuola deve essere organizzata in base a ciò che esiste sul territorio, ed essere pertanto una variabile dipendente, oppure può essere essa stessa elemento propositivo di programmazione e innovazione? Mi spiego con un esempio. Se in un territorio ci sono 100 industrie elettroniche, alla scuola può essere acriticamente e passivamente assegnato il ruolo di formare un certo numero di periti elettronici. Si tratta di una “variabile dipendente”. Ma si può ragionare anche in maniera opposta. Si può reputare necessario creare ex novo sul territorio delle industrie elettroniche, e la scuola può porsi come elemento attivo della programmazione, decidendo in anticipo di istituire corsi di elettronica. Vorrei sapere se si intende dare alla scuola anche questo ruolo attivo oppure no.

•  In riferimento ai corsi sperimentali triennali all'interno degli istituti scolastici la Dott.ssa Balboni ha prospettato una suddivisione del curriculum in un 15 % e in un 85 %. Le chiederei di spiegare meglio questa ripartizione.

Replica

ALESSANDRA CENERINI
Presidente Nazionale ADi

Apertura di un forum

Solo due parole per dire che raccogliamo come ADi la sollecitazione del collega, e, dopo la pubblicazione degli atti di questo seminario sul sito dell'ADi, ci attiveremo per aprire un Forum su queste stesse tematiche.

Replica

CRISTINA BALBONI
Direttore generale cultura formazione e lavoro
Regione Emilia Romagna


Suddivisione del curriculum in 15% e 85%

Il 15% costituisce il massimo di flessibilità del curriculum stabilito dalla normativa statale sull'autonomia scolastica ( DM 234/2000 applicativo del DPR 275/ 1999 attuativo dell'autonomia scolastica). Utilizzando questa flessibilità noi introduciamo nelle scuole l'integrazione con la formazione professionale. Ho anche aggiunto, però, che il restante 85% del curriculum non rimarrà invariato, perché saranno introdotte innovazioni metodologiche sull'insieme del curriculum.

Funzione della scuola

Le due funzioni indicate non sono in contrapposizione fra loro . Abbiamo bisogno da una parte di anticipare figure professionali, se non lo facessimo saremmo sempre in ritardo, perché il completamento di un percorso educativo richiede molto tempo e non può essere lasciato alla mercé delle domande contingenti delle imprese;abbiamo d'altra parte l'esigenza di guardare anche ai bisogni del territorio.

Ma vorrei dire che il primo essenziale obiettivo da perseguire, è il superamento di una visione dell'istruzione tecnica e professionale come formazione di serie B , come percorso relegante. E' una grande battaglia culturale che va combattuta, e che potrà forse essere vinta solo se sapremo dare dignità culturale a questi percorsi.

Replica

ROBERTO VICINI
Direzione Istruzione e Formazione
della Regione Lombardia

• Funzione della scuola

La Regione Lombardia intende dare agli istituti scolastici e ai centri di formazione un ruolo attivo. Questo significa due cose:

1) l'istruzione e la formazione devono per parte loro uscire dall'autoreferenzialità,

2) alla costruzione dei percorsi formativi devono concorre soggetti diversi : gli istituti scolastici, gli enti di formazione, il mondo del lavoro, gli enti locali ( in particolare le Province che hanno un importante ruolo programmatorio). Questo tipo di “rete” fra le varie istituzioni, enti ed agenzie, è già attiva in Lombardia. Si stanno attualmente mettendo a punto tutti i nuovi profili, attraverso commissioni tecniche alle quali partecipano in modo permanente i diversi soggetti interessati: i CFP, gli istituti scolastici, il mondo del lavoro, le parti sociali, gli Enti Locali ecc.

Per fare un esempio, posso citare la sperimentazione della formazione edile, che ha visto un fecondo scambio fra mondo dell'edilizia e i geometri nella definizione delle nuove figure professionali e dei relativi percorsi.

CALOGERO BELLAVIA
dirigente scolastico Scuola Liceo Scientifico Statale "Giotto Ulivi"Borgo San Lorenzo (FI )

Intervento

Vorrei porre una domanda al Prof. Marzuoli che riguarda il ruolo dei dirigenti scolastici e la tutela della loro funzione.

Se l' autonomia scolastica è costituzionalmente riconosciuta, noi dirigenti scolastici dovremmo essere i garanti di alcuni principi fondamentali, quali il diritto all'apprendimento e la libertà di insegnamento. Questa nostra funzione è però ancora incardinata in una struttura ministeriale di controllo. Noi veniamo valutati da un funzionario ministeriale, il direttore scolastico regionale, il quale non solo ci valuta ma ha anche il potere di assegnarci all'una o all'altra scuola. Non voglio dire che siano poteri arbitrari, ma sono comunque insindacabili, nel senso che Il Direttore regionale deve motivare i suoi provvedimenti, ma questi rimangono insindacabili. È legittimo tutto questo? E se non è legittimo è sufficiente una tutela contrattuale o ci vuole una tutela legislativa?

Replica

CARLO MARZUOLI
Ordinario di Diritto Amministrativo Università di Firenze

• Tutela legislativa o contrattuale?

Potrei considerare la domanda del Prof Bellavia una provocazione, dato che da tempo sostengo che nel nostro assetto costituzionale c'è almeno una norma, l'articolo 97, che esige ed impone che alcuni aspetti relativi alle funzioni pubbliche siano disciplinati con legge. E molto di quanto esposto dal Prof. Bellavia è materia di legge, come in parte lo è già.

Non c'è bisogno di dire che i sindacati sono un pilastro dell'ordinamento democratico della Repubblica, ma in materia di organizzazione e di rapporto di lavoro nell'amministrazione pubblica, il sindacato non può avere lo stesso spazio che ha nei rapporti fra privati. E questo per una ragione banale e semplicissima: l'amministrazione è di tutti, non ha un padrone e non lo deve avere. La riserva di legge è scritta nell'articolo 97 della Costituzione. Fra l'altro per la scuola ci sono motivi ulteriori che impongono il ricorso alla legge: nella scuola si “maneggia ” un valore costituzionale: la libertà di insegnamento. Ed è in virtù di questo principio che la scuola non può essere, ad esempio, dominio delle famiglie. Ma se non può essere dominio delle famiglie non può nemmeno esserlo del sindacato. Al sindacato spetta la contrattazione, importantissima, ma che copre un aspetto di tutto il complesso che si chiama scuola. Mi sorprende, anzi non mi sorprende affatto, che il sindacato, compreso quello degli imprenditori, non sembri gradire il ricorso alla legge per la definizione di alcune parti fondamentali della professione docente e dirigente. Il ritrasferimento alla legge è la sottrazione di un'eccessiva invasione di poteri privati, e che questi poteri privati siano il sindacato dei lavoratori o il sindacato degli imprenditori, non mi interessa. il problema è che entrambi sono soggetti privati, che debbono stare al loro posto. L'amministrazione è guidata dall'indirizzo politico che si forma con la legge nelle assemblee parlamentari elettive.

Valutazione e controllo del dirigente scolastico

Nei confronti della figura del dirigente scolastico il problema della valutazione e del controllo è particolarmente complicato. Si tratta da una parte di una figura che è incardinata in un'istituzione autonoma, una figura quindi che va garantita, perché attraverso di essa non può e non deve essere indirettamente pregiudicata l'autonomia dell'istituto scolastico. Ma da un'altra parte si tratta di una figura che, in nome dei principi dell'imparzialità e del buon andamento dell'amministrazione scritti nell'art. 97 della Costituzione, deve giuridicamente rispondere delle proprie responsabilità. In ogni caso le norme non sono così complesse da scrivere. Giuridicamente non c'è nulla di difficile e impossibile, è sicuramente più difficile per un ingegnere costruire il ponte sullo stretto di Messina che per un giurista fare lo stato giuridico del dirigente scolastico. Ci vuole la volontà politica di farlo. Una cosa è certa, come ha sottolineato il prof. Bellavia, la disciplina attuale non va bene, non è conforme ai principi costituzionali, perché il dirigente scolastico è esposto in modo eccessivo a un potere di controllo e di indirizzo ministeriale che fra l'altro è in palese contraddizione con la regionalizzazione del sistema. Ma, di nuovo, bisogna volerla la regionalizzazione del sistema, per risolvere anche quest'argomento.

NELLA MANCA
dirigente scolastico Istituto professionale , Oristano

Intervento

Il Prof. Marzuoli ci ha fatto un quadro molto esauriente della confusione ed incertezza giuridica in cui ci troviamo per la mancata applicazione non solo del Titolo V della Costituzione ma anche del decreto n. 112 del 1998.

Ora vorrei chiedere al Prof. Marzuoli fino a che punto la regionalizzazione potrà salvaguardare la qualità nazionale dell'istruzione , senza creare disparità tra una regione l'altra.

E ancora fino a che punto la scuola dell'autonomia , che deve essere un soggetto attivo nello sviluppo della programmazione territoriale, non sarà compressa da una parte dallo Stato e dall'altra dalla Regione. Io, l'ho già detto ieri, dove le Regioni sono forti e forte è la collaborazioni tra enti locali e scuola questo rapporto sarà proficuo e si potrà andare verso livelli qualitativi elevati, dove invece il rapporto langue, la regionalizzazione sarà a scapito della qualità dell'istruzione.

Replica

CARLO MARZUOLI
Ordinario di Diritto Amministrativo Università di Firenze

Regionalizzazione e garanzia della qualità nazionale del servizio istruzione

Io credo che la qualità del servizio si garantisca attraverso l'esercizio di ciò che spetta allo Stato, le norme generali sull'istruzione e i livelli essenziali delle prestazioni . Naturalmente questo non significa che si avrà un' effettiva qualità delle prestazioni in ogni scuola della Repubblica, non è possibile, è un'altra dimensione del problema. Questo però non mi sembra un ostacolo decisivo alla regionalizzazione, perché se scorro un po' di statistiche devo dire che il sistema scolastico accentrato non ha affatto impedito disparità terribili della qualità e della quantità dell'istruzione sul territorio nazionale. Non dobbiamo, allora, dimenticare da dove veniamo, così come non dobbiamo dimenticare che la riforma del Titolo V non è stato il parto di 3 o 4 giuristi. E' stato invece un modo con cui si è cercato di interpretare bisogni effettivi della popolazione, e di far fronte ad una situazione in cui la macchina amministrativa accentrata (non solo nella scuola ma in tutti settori) si dimostrava e si dimostra sempre più allo sfascio. Il Titolo V non nasce dal nulla, nasce sull'insuccesso del precedente modello di amministrazione e quindi non mi spaventerei del fatto che possano esserci disuguaglianze, per quanto si debba fare di tutto per contrastarle. D'altra parte abbiamo avuto per oltre 40 anni un sistema sostanzialmente accentrato di attività pubbliche volte alla promozione dello sviluppo economico e sociale del meridione e delle aree depresse, vi chiedo: ha ottenuto lo scopo? No, quindi l'equazione strutture politico istituzionali accentrate uguale realizzazione dei diritti sociali è un'equazione falsa , assolutamente falsa. Io non so dire se sarà meglio con la regionalizzazione, certamente la gestione accentrata non funziona più, è la storia che ce lo dimostra. E non funziona probabilmente perché occorre una maggiore responsabilizzazione di coloro che devono essere protagonisti della loro emancipazione. Non li si emancipano esclusivamente con sistemi accentrati, dico esclusivamente , non dico che non ci vogliano anche misure nazionali. E infatti nella scuola abbiamo le norme generali e i livelli essenziali delle prestazioni . Mi auguro che tutto questo funzioni, ma il rischio è ineliminabile, perché l'alternativa a questo rischio è l'immobilismo. Io della situazione attuale ho una pessima opinione e ritengo che debba essere assolutamente cambiata , ma questo è solo un giudizio.

BIANCA RITA NOBILI
docente ITC “Rosati”, Foggia

Intervento

Sia il Dott. Vicini che la Dott.ssa Balboni hanno parlato di una commissione congiunta fra Ufficio scolastico regionale e Regione, per la programmazione dell'istruzione professionale. Vorrei sapere se a queste commissioni partecipa anche il personale docente e se sì in che modo viene reclutato ?

Replica

ROBERTO VICINI
Direzione Istruzione e Formazione
della Regione Lombardia

Commissioni regionali e partecipazione dei docenti

In Lombardia le commissioni sono due.

•  Il primo organismo si occupa della politica generale del nuovo sistema di istruzione e formazione professionale. Si tratta della Consulta regionale standard formativi , un organismo tecnico-istituzionale di partenariato, nel quale sono presenti tutti gli enti e i soggetti che ho prima nominato. La Consulta si sta attualmente strutturando in commissioni tecniche per aree o “ famiglie professionali ”.

•  L'altro organismo è preposto al governo della sperimentazione. Si tratta di un coordinamento generale di tutta la sperimentazione a cui partecipano referenti della regione Lombardia, dell'Ufficio scolastico regionale e dell'IRRE. Il coordinamento segue i vari progetti e sta anche cercando di mettere in comunicazione, su questioni concrete, tutti i soggetti coinvolti in modo da contaminare le varie esperienze e rompere l'isolamento. I Centri di formazione professionale si sono già dotati di gruppi di coordinamento e di progettazione, poiché in Lombardia hanno avviato la sperimentazione fin dal 2002-03, e hanno già reclutato e scelto i propri docenti e i propri coordinatori. Gli istituti tecnici e professionali, che hanno aderito quest'anno alla sperimentazione, si sono raccolti attorno a scuole capofila accorpate per aree professionali affini.

Replica

CRISTINA BALBONI
Direttore generale cultura formazione e lavoro
Regione Emilia Romagna


Commissioni regionali e partecipazione dei docenti

Una cosa analoga avviene anche in Emilia Romagna. Abbiamo:

•  comitati di progetto costituiti, su singoli progetti, dai docenti interessati delle scuole insieme ai formatori dei Centri di formazione

•  un comitato scientifico che supporta la sperimentazione, composto dalla Direzione scolastica regionale, dalla Regione e da esperti nominati dalla Regione

•  una conferenza regionale per l'istruzione e la formazione , nella quale devono essere presenti anche rappresentanti delle autonomie scolastiche, ma questo è un tema non ancora risolto. Attualmente, in attesa che le autonomie scolastiche scelgano le modalità della loro rappresentanza, il compito della scelta è assegnato al dirigente scolastico regionale. Non sono addentro ai i meccanismi della scuola, posso solo dirle che a noi le designazioni arrivano dalla Direzione regionale.

E' chiaro in ogni caso che rimane da risolvere in modo appropriato la questione da lei posta delle modalità di rappresentanza delle autonomie scolastiche. La Regione Emilia Romagna sta chiedendo con viva voce al mondo della scuola di affrontare e risolvere in qualche modo questo tema.

ROBERTO FARAOTTI
docente Istituito alberghiero “B.Scappi”, Castel San Pietro (BO)

Intervento

Il dott. Bertagna e la sua commissione vicina al ministro e anche alla realtà lombarda caldeggia la creazione dei così detti campus. Si tratta di grandi contenitori all'interno dei quali possono coesistere indirizzi e percorsi scolastici diversi, non escludendo affatto che possano convivere percorsi liceali con percorsi tecnico professionali. All'interno di questi campus ci sarebbero molte facilitazioni per lo studente di passare da un percorso a un altro in itinere. È un'idea molto affascinante di cui si é parlato in diversi convegni e che potrebbe essere la soluzione anche di tutte le problematiche oggi emerse.

Vorrei sapere dal Dott. Vicini se nei gruppi di lavoro, nei comitati che sono stati costituiti in Lombardia, una regione che credo rappresenti insieme al Piemonte un'esperienza pilota, si sta lavorando su questo progetto. Sono previste sperimentazioni almeno ispirate da questo modello ?

Replica

ROBERTO VICINI
Direzione Istruzione e Formazione
della Regione Lombardia

• La prospettiva di realizzare campus in cui coesistano diverse tipologie di istruzione secondaria, dai professionali ai licei

Attualmente questa prospettiva non è stata presa in considerazione, ma sarà sicuramente analizzata. Stiamo vivendo una situazione di transizione caratterizzata da molte incertezze, con molte questioni non definite sul piano normativo. Questo crea sicuramente dei problemi, ma contemporaneamente apre degli spazi, perché la mancanza di definitività lascia maggiori margini per sfruttare il grande potenziale esistente di creatività, per avviare esperienze innovative, per percorrere strade inesplorate. In questo quadro la proposta da lei ricordata sarà sicuramente presa in considerazione.

Replica

CRISTINA BALBONI
Direttore generale cultura formazione e lavoro
Regione Emilia Romagna


• La prospettiva di realizzare campus in cui coesistano diverse tipologie di istruzione secondaria, dai professionali ai licei

Brevemente posso aggiungere che mi sembra debba essere approfondito il fatto se il campus possa favorire o meno le passerelle. A noi in Emilia Romagna sembra che il modo migliore per garantire le passerelle fra i sistemi sia quello di mettere in relazione i soggetti che le devono predisporre: il mondo dell'istruzione e il mondo della formazione. Noi lavoriamo su questo fronte senza perdere mai di vista il mondo del lavoro, perché alla fine con quel mondo le qualifiche devono saper dialogare. Non saprei ora dire se i campus, dove convivono diversi ordini di scuole e diverse tipologie di istruzione e di formazione, siano un contenitore idoneo per le passerelle. In tutta franchezza avrei bisogno di analizzare più a fondo il problema e capire meglio.

ANGELA MARTINI
ricercatrice (Padova) IRRE Veneto

Intervento

Volevo riprendere la preoccupazione, espressa da Nella Manca, che la decentralizzazione determini differenze fra una Regione e l'altra, fra una zona e l'altra del territorio nazionale , una preoccupazione già sollevata ieri e che credo abbia indubbi fondamenti. Ritengo in ogni caso verissima l'osservazione che le differenze fra le Regioni esistono già, basti considerare che quando si vanno a disaggregare i risultati nazionali ottenuti dall'Italia nelle comparazioni internazionali ( ad esempio IEA-TIMMS o PISA ) emerge chiaramente che i risultati delle Regioni settentrionali sono superiori a quelli del centro e quelli del centro sono superiori a quelli del sud. Questo naturalmente non significa che la scuola del sud non valga nulla, per il semplice fatto che i risultati di questi test non riflettono mai soltanto l'efficacia del sistema scolastico ma sempre anche il contesto culturale ed economico che sta intorno al sistema scolastico.

Io sono comunque convinta che ci siano delle condizioni alle quali le differenze, che pure già esistono, possano essere superate. Queste condizioni sono, secondo me, tre:

•  la chiarezza e la coerenza del quadro normativo

•  il fatto che tutti gli attori coinvolti ( il centro, le regioni e le scuole) facciano la loro parte con responsabilità e, soprattutto, abbiano il coraggio di farla. E' noto, ad esempio, che tutta una serie di potenzialità insite nell'autonomia delle scuole non sono state sfruttate, perché è difficile uscire da percorsi precostituiti

•  la disponibilità di strumenti per esercitare le proprie responsabilità. Questa terza condizione è fondamentale. Non vi è dubbio, ad esempio, che il “centro” per esercitare le sue competenze debba poter contare su un valido servizio di valutazione. Questo punto è assolutamente dirimente, proprio per tenere sotto controllo la situazione nazionale ed evitare che si creino derive e differenziazioni non solo fra una regione e l'altra, ma anche all'interno di una stessa regione. Io credo che non si sia ancora compreso appieno quanto sia vitale poter disporre di un sistema di valutazione nazionale al massimo livello metodologico e tecnico possibile. Io dubito fortemente che si sia sulla buona strada per crearlo. Altri Paesi stanno facendo molto meglio dell'Italia. La Francia, ad esempio, ha istituito ) “ Le Haut conseil de l'évaluation de l'école”, al cui ultimo rapporto ha contribuito Norberto Bottani (" Eléments pour un diagnostic sur l'Ecole " N. Bottani, J.C. Hardouin, A. Hussenet, G. Septours, octobre 2003 ) . Per farlo bisogna da un lato investirci soldi e dall'altro dotarsi della migliore qualità tecnica possibile, che in Italia non c'è. Bisognerebbe avere la modestia e la lungimiranza di cercarli all'estero, almeno in parte e per un certo periodo.

Replica

CARLO MARZUOLI
Ordinario di Diritto Amministrativo Università di Firenze

Valutazione e controllo

Accentuerei anch'io il problema della valutazione e del controllo. Io sono un giurista e non riesco a pensare al funzionamento di un servizio senza valutazione e senza controllo. Quando mi si fanno presenti, peraltro con molta ragione, i motivi che, da un punto di vista sostanziale, tendono ad ostacolare sistemi di controllo nella scuola, mi sforzo di capirli, ma dal punto di vista giuridico non posso non continuare a pretendere controllo e valutazione. Ci deve essere. Non è concepibile una funzione pubblica che non sia assoggettata a controllo e a valutazione. La regionalizzazione fornisce ora un elemento ulteriore per rafforzare questi aspetti. Se il problema della valutazione è così centrale, mi chiedo perché le Regioni, anche se la valutazione ha certamente dimensione nazionale, non possano fare niente. Vorrei ricordare che nel nostro Paese gli Enti Locali, e parlo di Comuni e Province, sono diventati importanti perché hanno fatto cose importanti che lo Stato non faceva o faceva male, senza preoccuparsi troppo della circostanza che le dovesse fare lo Stato. Per esempio se lo Stato faceva poco e male i servizi sociali, li hanno fatti i Comuni, se lo Stato non istituiva le scuole dell'infanzia le hanno istituite i Comuni ecc.. Nulla impedisce alle amministrazioni degli enti locali di investire mezzi e risorse in determinati compiti, non è un problema giuridico, lo possono fare, e le Regioni ordinarie lo possono fare dal 1972. Ma questo naturalmente dipende dagli indirizzi politici regionali che si discutono in sede politica non giuridica. E' comunque importante che tutti si abbia consapevolezza che lo si può fare.

GIANFRANCO FLORIDI
dirigente scolastico ITIS “A.Volta”, Perugia

Intervento
Vorrei tornare sul caso dell'Emilia Romagna e della Lombardia e mi scuso se altri hanno già anticipato alcune cose. Sappiamo che l'Emilia Romagna è all'avanguardia per quanto riguarda ipotesi innovative. Con il 2003-04 avete definito una serie di offerte formative integrate o in alternanza, vorrei sapere come si pensa di realizzarle con il pieno coinvolgimento dell'istituzione scolastica, se contemporaneamente non viene ridefinito il ruolo della figura docente, che significa anche un contratto di lavoro e un riconoscimento economico adeguati. Se continuiamo ad affrontare il nuovo con una normativa vecchia, se ragioniamo ancora in termini di cattedre, di ore settimanali, di giorno libero ecc.., io credo che gli esiti attesi non saranno tali oppure, ed è quello che temo, forse si realizzeranno ma con un' emarginazione o marginalizzazione della scuola. Mi preoccupa, infine, nella sua definizione il riferimento ai moduli e alle unità formative capitalizzabili, che, a mio avviso, vanno ad incidere negativamente sull'unitarietà del sapere. A me non piacciono questi tipi di sigle (moduli, unità capitalizzabili) che considero più adeguati per l'educazione permanente degli adulti, per combattere l'analfabetismo di ritorno.

Replica

CRISTINA BALBONI
Direttore generale cultura formazione e lavoro
Regione Emilia Romagna

Ruolo dei docenti

Per quanto concerne il ruolo dei docenti posso condividere con lei le osservazioni fatte. Non sono purtroppo in grado di dare io, nemmeno come Regione, una risposta al problema, perché anche se in prospettiva le cose cambieranno, oggi la Regione non ha gli strumenti per intervenire.

Marginalizzazione della scuola

Rispetto al tema della marginalizzazione della scuola nei percorsi integrati, vorrei che rispondesse un istituto che lavora con noi, per capire se davvero l'esperienza è questa. In Emilia Romagna abbiamo 12 anni di esperienza di integrazione con la scuola, su base volontaristica all'inizio, ma poi chiesta a gran voce. L'adesione che abbiamo avuto sia ai percorsi messi in campo quest'anno sia alle richieste per il 2004-05 è, io ritengo, alta. Su una classe di età di 11.000 ragazzi ne abbiamo più di 1.400 in questi percorsi, vale a dire più del 10 %. Ciò significa che c'è interesse anche da parte della scuola a fare queste esperienze. Per questo preferirei che fosse la scuola stessa a rispondere se davvero esiste questo sentimento di emarginazione. Con ciò non intendo dire che sia tutto facile, nonostante 12 anni di attività insieme, c'è sempre più bisogno di supportare questi percorsi, di trovare i modi di condividere appieno finalità e obiettivi, perché diversamente non si lavora bene.

Unità formative capitalizzabili

Rispetto alle unità formative capitalizzabili , occorre precisare che in Emilia Romagna abbiamo un impianto di certificazione delle competenze che vale anche per le qualifiche. Intendo dire che la qualifica non la si acquisisce solo in un percorso triennale, la si può acquisire anche nel tempo attraverso l'accumulazione di certificazioni. C'è quindi bisogno di dare un nome tecnico a ciò che si certifica. Orbene, il termine “ unità formative capitalizzabili ”, è quello utilizzato nella metodologia corrente della certificazione. Le unità formative capitalizzabili servono a indicare l'acquisizione di quei crediti di cui si comporrà il futuro libretto formativo. Dobbiamo renderci conto che i percorsi dei ragazzi non sono tutti lineari e standard, per questo è necessario disporre di una metodologia che consenta, in modo omogeneo, di capitalizzare quello che si è acquisito o nel modo del lavoro o in quello della formazione o in quello dell'istruzione. Potranno esserci probabilmente altri metodi, questo è quello che noi utilizziamo.

DINA CIOGLI
docente distaccata MIUR, Roma

Intervento

Sono una docente comandata presso il MIUR. Vorrei fare una piccola annotazione sul tema dello stato giuridico . Il 26 febbraio è stata presentata una terza proposta di legge da parte dell'on. Angela Napoli. Il tema dello stato giuridico, che è stato per diverso tempo un argomento dibattuto solo nei convegni dell'ADi, sta assumendo sempre più rilievo. E' importante continuare ad intervenire nel merito, approfondire le proposte, anche per controbattere l'opposizione fortissima che proviene dai sindacati

Un'altra piccola annotazione, o meglio una grossa preoccupazione. Il prof. Marzuoli stamani ci ha mostrato come il decreto applicativo 59/04, abbastanza snello, sia poi stato accompagnato da 145 pagine di Indicazioni , emanate in modo non conforme alle leggi.
Ma la cosa non è finita, sta ora uscendo una circolare ministeriale applicativa di 30 pagine. Questa circolare interviene persino sul 15% di flessibilità del curriculum. Comprende tutto, non c'è spazio assolutamente per le Regioni, e la stessa autonomia scolastica viene fortemente penalizzata. Purtroppo il centralismo rimane fortissimo, basta leggere tutti i documenti redatti in perfetto stile burocratico, pubblicati sul sito del MIUR per rendersene conto. Così, nonostante tutto quello che ci ha giustamente detto il prof. Marzuoli, se le Regioni non si faranno valere, sarà davvero difficile che il centralismo burocratico si ritragga.

Replica

CRISTINA BALBONI
Direttore generale cultura formazione e lavoro
Regione Emilia Romagna


Ricorso dell'Emilia Romagna sul decreto 59/04

Ringrazio la Prof.ssa Ciogli per questa segnalazione e vorrei anticipare che sul decreto 59/04, che è stato pubblicato martedì scorso, la Regione Emilia Romagna farà senz'altro ricorso. Alla luce della sentenza 13/04 della Corte costituzionale, che ha definitivamente chiarito quali sono le competenze in materia di legislazione concorrente ( allo Stato solo i livelli essenziali delle prestazioni, le norme generali e i principi fondamentali e alle regioni tutto il resto), ci si chiede quale sia il senso del decreto 59 con annesse indicazioni e tantomeno quale sia il senso di una circolare applicativa. Sono strumenti che sono assolutamente incompatibili con il nuovo quadro di riferimento legislativo. Per tutto questo la Regione farà sicuramente ricorso.

Replica

CARLO MARZUOLI
Ordinario di Diritto Amministrativo Università di Firenze
Mi pare che abbiamo avuto una testimonianza rispetto alla quale c'è poco da aggiungere. Sono manifestazioni di centralismo reale e pratico, che rischiano di distruggere il sistema. Ci auguriamo che chi ha il potere di contrastare questi atteggiamenti e questi provvedimenti, prenda l'iniziativa e agisca.

BRUNA BARTOLINI
insegnate di elettrotecnica, ITIS, Piacenza

Intervento

Vorrei innanzitutto congratularmi con l'ADi per l'organizzazione del seminario e per la scelta del tema. Mi riconosco sicuramente in una visione federalista e sono anch'io favorevole alla regionalizzazione dell'istruzione, complessivamente intesa, non solo istruzione e formazione professionale.

Vengo ora alle osservazioni e alle domande che intendo porre alla Dott.ssa Balboni, premettendo che appartengo alla Regione Emilia Romagna e che in questa regione insegno, sono una docente di elettrotecnica.

Innanzitutto alcune osservazioni:

•  L'accordo che la Regione Emilia Romagna ha firmato riguarda solo l'integrazione . Quando io a suo tempo lessi quell'accordo e lo confrontai con quello della Lombardia, notai che in Lombardia le possibilità erano plurime, non una sola, e devo dire che, come docente emiliana, ci rimasi molto male. Non ritenni e non ritengo giusta la scelta dell'integrazione, e credo che questa tipologia di percorso debba essere ulteriormente chiarita, perché il termine “integrazione” utilizzato in un certo contesto ha una valenza positiva, mentre a mio avviso non è questo il caso. Qui si tratta di un partenariato con un centro di formazione professionale che ha dei formatori e giustifica in questo modo la gestione dei fondi sociali europei che sono cospicui. In realtà i docenti dei centri di formazione si sovrappongono ai docenti della scuola nello stesso orario scolastico, così fare integrazione significa semplicemente assegnare ai formatori pezzi di curricolo per i quali ci sono già nell'organico della scuola regolari docenti. Bene, io ritengo questa scelta molto limitata, e ci scorgo, forse malignamente, anche la volontà dell'Emilia Romagna di attuare l'alternanza scuola-lavoro solo attraverso l'integrazione con i centri di formazione professionale. Spero di avere inteso male. La scelta dell'Emilia Romagna è, a mio avviso, mortificante per i docenti degli istituti professionali e tecnici, a cominciare dagli insegnanti tecnico-pratici fino agli ingegneri ecc.. Mortificante perché questi docenti sono una risorsa, gente che ha professionalità, che sa comunicare con gli allievi, che conosce bene il mondo del lavoro, perché quando si insegna in queste scuole non se ne può fare a meno. Quindi mortificante per i docenti, ma anche per i giovani .

•  Il secondo punto è un commento, che forse potrei anche risparmiarmi, sull'impianto della legge Bastico n. 107 del giugno 2003 , un impianto che reputo ideologicamente superato. Ieri mattina ho ascoltato gli svizzeri, da tempo mi riconosco di più nel modello renano che non in quello latino. Di biennio unico ne sento parlare da quando sono entrata nella scuola, e per fortuna non tutti l'hanno attuato. Ora,di nuovo, si parla di biennio orientativo, il primo anno fortemente orientativo, il secondo orientativo , sempre con la paura di far scegliere ai nostri ragazzi. Poi l'altro aspetto, quello dell'obbligo scolastico. Secondo me sono cose vecchie, ci è stato detto ieri, e lo condivido pienamente, che sono stereotipi che producono solo una diatriba politica che non mi interessa. Ma questo è l'impianto di questa legge .

E adesso vengo alle domande

•  Perché con le capacità progettuali di cui dispone una regione ricca come la nostra non si investe direttamente sulle risorse della scuola e del territorio? Le risorse della scuola sono i docenti le risorse del territorio sono le imprese, non credo di proporre qualcosa di stratosferico, perché questa domanda si collega immediatamente alla successiva

•  Come si pensa di attuare l'alternanza scuola-lavoro ? Ho visto la bozza di decreto legislativo, nella quale si prevede un rapporto finalmente diretto fra la scuola e l'impresa. Questo rapporto diretto va valorizzato. Perché dobbiamo avere per forza l'intermediazione dei centri di formazione professionale? Perché dobbiamo sovrapporre loro a noi, creando squilibri e conflitti che non fanno bene a nessuno? Sarebbe molto interessante ritornare sul problema dell'alternanza scuola-lavoro, anche pensando a un modello di tipo renano, che non dice ti faccio socializzare e ti spiego cosa si fa, no, ti manda proprio a lavorare, a produrre in modo che anche l'allievo sia un investimento insieme all'insegnante, al quale pure non farà male un po' di attività lavorativa.

•  la terza domanda riguarda i fondi sociali europei, che sono la fonte, non l'unica ma certamente cospicua, di finanziamento. Sappiamo che questi fondi non dureranno all'infinito e che verranno orientati verso altri Paesi. Ora se questi fondi europei vanno verso l'estinzione come si manterranno i docenti degli istituti scolastici insieme ai formatori dei corsi di formazione professionale per fare le stesse cose nelle stesse ore?

•  Infine sono perfettamente d'accordo con il dirigente Floridi a proposito delle unità formative capitalizzabili. E' vero, questo linguaggio preso dall'ISFOL è utilizzato per la formazione continua dei lavoratori, mentre riferito ai giovani è molto riduttivo, in quanto tutto ciò che non si riesce a definire è come se non esistesse. Tutti sappiamo invece che nell'insegnamento ci sono moltissime cose che non sono catalogabili, ma che sono fondamentali ed educative. Senza contare che l'utilizzo esclusivo di questa metodologia limita fortemente la libertà d'insegnamento.

Replica

CRISTINA BALBONI
Direttore generale cultura formazione e lavoro
Regione Emilia Romagna


Integrazione, fondo sociale europeo, legge Bastico

Ho rispetto per l'opinione della signora e non intendo discuterla, ma sono disponibile, se crede, ad avere con lei un momento di confronto e di approfondimento perché sicuramente nella sua esposizione ha tralasciato molti punti e potrebbe essere interessante ragionare insieme.

La Regione Emilia Romagna ha fatto una scelta politica che si può condividere o non condividere. Dalla nostra parte abbiamo i risultati: siamo la regione che in Italia ha meno dispersione scolastica. Sarà che 10 anni di integrazione con la scuola hanno prodotto qualche cosa? Forse sì. Non credo che sia solo il fatto che da noi c'è un contesto positivo esterno. Sarà anche l'azione della pubblica amministrazione che ha fatto conseguire questo risultato? Può darsi di sì. Vedremo, stiamo sperimentando questa nuova legge regionale solo dal 2003-04, essendo entrata in vigore nel giugno 2003.

Per tranquillizzare la signora vorrei dire che l'integrazione del biennio la finanziamo con risorse nazionali, e solo se queste non saranno sufficienti utilizzeremo quelle del Fondo Sociale Europeo . In particolare il biennio integrato del 2003-04 è stato interamente coperto da finanziamenti nazionali, per il 2004-05, se si attiveranno tutti i percorsi, le risorse non saranno sufficienti, ma nell'accordo sottoscritto il MIUR si è impegnato a mettere a disposizione i fondi necessari. Vorrei anche ricordare che nel momento in cui questi percorsi diventeranno ordinamento (e lo saranno quando lo Stato avrà stabilito il diritto-dovere all'istruzione fino a 18 anni, o comunque fino al conseguimento di una qualifica) dovranno essere finanziati interamente dallo Stato. Il Fondo Sociale Europeo può intervenire dunque solo nella fase transitoria.

Per quanto concerne il modello sperimentale, è vero, noi abbiamo scelto solo l' integrazione , perché noi mettiamo in collaborazione i sistemi e non vogliamo farli competere. Nella nostra scelta ci sta anche il fatto che in Emilia Romagna abbiamo un sistema di formazione professionale nel quale crediamo e pensiamo che la diversificazione dell'offerta non possa essere realizzata quando c'è un solo soggetto che diversifica, ma quando diversi know how possono essere messi in sinergia fra loro. E' per questo che mutuiamo il linguaggio della formazione professionale. La formazione professionale è un sistema che ha un know how specifico, che vale per tutto l'arco della vita, e noi vogliamo affrontare la sfida di mettere la specificità della formazione professionale al servizio anche di questo segmento dell'istruzione. Noi crediamo infine che lavorare insieme possa aiutare a condividere, o se necessario a modificare, gli strumenti che si hanno a disposizione .

• Alternanza scuola-lavoro

Per quanto concerne l'alternanza scuola-lavoro , non intendiamo assolutamente farla con l'integrazione. Le ricordo che l'art. 4 della legge 53/03, istitutivo dell'alternanza, necessita di un decreto attuativo, e noi non abbiamo nessuna intenzione di anticiparlo. La nostra Regione attua le norme che ci sono, non anticipa quelle che non ci sono. Quando il decreto sarà stato emanato ( e ha bisogno dell'intesa con le regioni, per cui non sarà un decreto facile) ci comporteremo di conseguenza.

ANNA D'AMICO
docente, ITC “L.Sciascia”, Erice (Trapani)

Intervento

La mia domanda è :

“Quali sono le indicazioni riguardo agli istituti tecnico commerciali , come si collocano dal punto di vista giuridico , verso quale soluzione possono essere traghettati e con quali parametri?”

Replica

CARLO MARZUOLI
Ordinario di Diritto Amministrativo Università di Firenze

Destino degli Istituti Tecnico Commerciali

Credo che sia un dilemma che deve attendere ulteriori svolgimenti. Dal mio punto di vista lo considero un ulteriore motivo per regionalizzare tutto, intendo non solo l'istruzione e la formazione professionale, ma anche l' istruzione. In questo modo si eliminerebbero questioni di discriminazione di condizioni che non hanno motivo di essere.

GIANFRANCA CICOLETTI
dirigente scolastico istituto professionale e liceo scientifico
“Paolo Belmesseri , Marciano (Perugia)

Intervento

Vorrei fare una domanda molto precisa:

"E' possibile che un istituto scolastico sia accreditato dalla Regione come un centro di formazione? Siccome l'Umbria, la mia regione, è politicamente molto simile all'Emilia Romagna sono particolarmente interessata alla risposta della Dott.ssa Balboni. Le regioni e le province accreditano i centri di formazione professionale che hanno determinate caratteristiche, ora una scuola può o non può essere considerata centro di formazione? Perché varie regioni, tra cui la mia, non riconoscono la terza area degli istituti professionali? Perché le regioni non riconoscono il diploma che dà la scuola e riconoscono invece il diploma regionale? Questo non dovrebbe essere materia di studio da parte regioni e stato?"

Replica

CRISTINA BALBONI
Direttore generale cultura formazione e lavoro
Regione Emilia Romagna


Riconoscimento dei titoli

Per prima cosa devo dirle che la Regione riconosce tutti i titoli di studio rilasciati dallo Stato perché sono nazionalmente riconosciuti. Per quanto concerne la qualifica regionale stiamo tentando di avere il riconoscimento nazionale, ma è un percorso iniziato ora con la sperimentazione che si sta svolgendo in tutta Italia.

Accreditamento

Rispetto all'accreditamento , la Regione Emilia Romagna ha fatto una scelta di specificità e di missione dei sistemi, riconoscendo al sistema dell'istruzione una specificità e una missione e al sistema della formazione una diversa specificità e missione. In questa ottica si accredita chi ha la specificità e la missione della formazione professionale. La regione non sta dunque accreditando le scuole, perché riconosce alle scuole una specificità e una missione diversa da quella della formazione professionale. Che cosa faremo quando ci sarà assegnata l'istruzione professionale , è un film che ancora non abbiamo visto.

Replica

ROBERTO VICINI
Direzione Istruzione e Formazione
della Regione Lombardia

Accreditamento

Anche da noi in Lombardia attualmente è così. Si possono accreditare solo certi enti che hanno determinate caratteristiche e tipologie. Come sarà a regime è una questione su cui stiamo ragionando. A noi pare che la prospettiva debba essere quella del superamento della separazione. Attualmente noi abbiamo fatto partire la sperimentazione in un regime doppio, ma dobbiamo studiare tutte le possibili evoluzioni.

FABIANO PENOTTI
IPSIA Ala Ponzone Cimino - Cremona

Intervento

Ho due domande da porre:

•  Rosario Drago ha descritto come erano i professionali e come sono stati licealizzati. Mi chiedo perché quando adesso si parla di formazione professionale sul campo, del bisogno di tornare a lavorare sulle cose e non solo sui libri, la si propone come una novità? Perché parliamo di novità e non di ritorno a ciò che già c'era e che magari ha anche funzionato bene? A me sembra che l'unica novità in questo momento sia l'introduzione della Regione come ente di intermediazione nei confronti delle scuole che già sanno fare il loro mestiere

•  La seconda domanda nasce dal mio curriculum. Io ho insegnato negli istituti professionali, negli istituti tecnici e anche nei CFP privati. Quello che rende le scuole pubbliche profondamente diverse dai CFP sono i criteri di reclutamento del personale . Criteri fra loro assolutamente incompatibili. Ora al di là della possibilità di istituire forme di collaborazione, mi chiedo come sia possibile creare un'integrazione programmata e istituzionalizzata nel lungo periodo tra elementi così diversi fra loro e per molti aspetti incompatibili.

•  Infine riporto un'esperienza relativa all'istituto tecnico in cui lavoro. Nella mia scuola queste integrazioni sono presenti da vari anni. Bene da almeno da tre anni un intero corso, che rappresenta circa il 30% di tutto l'istituto tecnico, rifiuta questi corsi integrati , non tanto per problemi organizzativi, ma perché si pongono in alternativa alle ore curricolari, costituendo un serio disturbo allo svolgimento dei programmi

Replica

TIZIANA PEDRIZZI
Presidente ADi Lombardia

Nuovo corso, non ritorno al passato

Intendo rispondere al collega come rappresentante dell'ADi. Non siamo d'accordo che le elaborazioni che si vanno facendo sull'istruzione e formazione professionale siano un ritorno al passato.

Cercherò di spiegarmi, indicando con delle lettere le varie fasi. Chiamiamo il passato remoto A e la fase della licealizzazione B. Ora quello che stiamo vivendo non è un ritorno ad A, è C. In Italia la fase A è stata caratterizzata da una formazione di tipo molto addestrativo, la fase B dalla necessità di un elevamento della cultura generale, intesa però come la somministrazione della stessa cultura tradizionale di tipo licealistico in dosi più ridotte, in toni più sbiaditi: rosso sangue al liceo classico, rosso tenue al liceo scientifico, rosso rosato all'istituto tecnico, rosa pallidissimo all'istituto professionale. La cultura generale e la cultura di base di cui oggi abbiamo bisogno sono tutt'altra cosa. Non dobbiamo né tornare all'addestramento della fase A (non lo demonizzo, corrispondeva a bisogni diversi), né alla cultura generale formato Bignami della fase B, dobbiamo andare oltre, impostare una solida formazione di base con caratteristiche diverse dal passato e che tenga conto delle trasformazioni nel frattempo intervenute nei modi di apprendere delle giovani generazioni.

Replica

CRISTINA BALBONI
Direttore generale cultura formazione e lavoro
Regione Emilia Romagna


La Regione non è un ente di intermediazione ma di programmazione

Direi che l'affermazione secondo cui la regione sarebbe un ente di intermediazione è infondata, dal momento che fin dal 1998 il decreto legislativo 112 ha assegnato alle regioni la competenza in materia di programmazione dell'offerta formativa e che molto più recentemente la sentenza della Corte costituzionale ha ben chiarito le competenze regionali in materia sia di programmazione dell'offerta sia di organizzazione delle risorse. Dunque non siamo un ente di intermediazione ma di programmazione. La regione Emilia Romagna intende rispettare l'autonomia delle istituzioni scolastiche, ma vuole però svolgere il ruolo di programmazione dell'offerta formativa sul territorio che le compete, anche con le risorse che dovranno esserle assegnate , poiché non si può programmare se non si ha nemmeno conoscenza delle risorse delle quali si può disporre, come oggi avviene.

Diversità dei contratti dei docenti e dei formatori

Rispetto al contratto e alla questione del reclutamento lei ha fatto un appunto molto significativo. Noi ci stiamo lavorando, ed è proprio dell'altro giorno un'intesa con le forze sociali che noi abbiamo sollecitato perché consideriamo un punto nevralgico la diversità delle condizioni di lavoro dei vari soggetti impegnati nella formazione. Abbiamo fatto un accordo per riallineare tutti i contratti presenti nel sistema della formazione professionale. Ora gli enti di formazione hanno tempo fino alla fine di settembre per adeguarsi a questo accordo e a questo adeguamento sarà legato il mantenimento dell'accreditamento regionale. E' anche questo un modo per avvicinarci di più e dialogare meglio con il mondo della scuola.

Replica

ROBERTO VICINI
Direzione Istruzione e Formazione
della Regione Lombardia

Diversità dei contratti dei docenti e dei formatori

In Lombardia è stata fatta la stessa cosa. Rimane comunque da analizzare come potrà avvenire in un sistema unitario l'integrazione fra le diverse figure professionali e la possibilità di passaggio fra i sistemi. E' uno scenario ancora da prefigurare.


Ringraziamenti

ALESSANDRA CENERINI
Presidente Nazionale ADi

•  Dovrei fare le conclusioni, ma, considerata l'ora, ho abbastanza sensibilità per non trattenervi oltre, dopo queste due giornate intensissime di lavori. D'altra parte mi sono riservata l'introduzione iniziale proprio perché so come si arriva “stremati” alla fine dei nostri seminari.

•  Un minuto solo per ringraziare tutti voi che siete venuti da ogni parte d'Italia e avete così vivacemente animato queste due giornate, e per esprimere la profonda gratitudine mia e dell'ADi a tutti i relatori che in modo competente e chiaro ci hanno condotto attraverso i meandri dell'istruzione e formazione professionale, indicandoci gli scenari futuri e le vie più efficaci per portare la grandissima maggioranza dei nostri ragazzi al diploma e ai più alti livelli di istruzione e formazione. Infine un ringraziamento particolare ai coordinatori delle tre sessioni che hanno splendidamente gestito il seminario: Norberto Bottani, Enzo Morgagni e Carlo Marzuoli.

•  E a Carlo Marzuoli cedo la parola per il saluto conclusivo.

Saluto conclusivo

CARLO MARZUOLI
Ordinario di Diritto Amministrativo Università di Firenze

•  Visto che la Presidente ha preso atto della conclusione di fatto del seminario senza necessità di conclusioni formali, a me non resta che ringraziarvi per la vostra qualificata partecipazione e il vivissimo interesse dimostrato.

•  Farò tesoro di tutti i vostri contributi e vi assicuro che mi avete dato spunti per lavorare sull'istruzione e formazione professionale per i prossimi dieci anni!