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LA LIBERTÀ DI INSEGNAMENTO
COME GARANZIA DEL SISTEMA PUBBLICO DELL'ISTRUZIONE
LIBERTÀ E SERVIZIO
Carlo Marzuoli
Testo della relazione tenuta al Seminario nazionale
dell’ADi
“Un nuovo stato giuridico per la professione docente”
svoltosi a Bologna il 30 novembre 2002
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1. Introduzione |
Le novità
istituzionali di recente introdotte (legge n. 62/2000 sulla parità
e nuovo Titolo V della Costituzione) stanno divenendo elementi di
confusione, anche se non per colpa loro.
Per provare a mettere ordine uno dei fili essenziali è la "libertà
di insegnamento", considerata non in sé, in modo isolato,
ma come garanzia del sistema pubblico dell'istruzione: la libertà
di insegnamento è il sistema pubblico dell'istruzione (e viceversa);
insieme stanno e insieme cadono.
Vi è però un sottotitolo: libertà e servizio,
per ricordare che accanto alla libertà vi è il servizio,
e che vi sono gli obblighi che ne derivano (come vedremo).
Nella prospettiva indicata mi soffermerò sui punti seguenti:
- fonti
di disciplina, contrattualizzazione e privatizzazione (si torna,
in parte, alla legge);
- configurazione
dell'ufficio docente, reclutamento, stabilità del rapporto
di lavoro (uno statuto identico per ogni protagonista del sistema
pubblico dell'istruzione, almeno come principio); datore di lavoro;
- dipendenza
funzionale (rapporti con l'istituto scolastico autonomo e con il
dirigente scolastico);
- non
solo il docente (la funzione docente, in quanto caratterizzata da
certi aspetti statutari, è funzione di molti, ma non necessariamente
di tutti i prestatori dell'attività nell'ambito del servizio).
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2. Istruzione e nuovo Titolo V |
Le
competenze di Stato e Regioni nella riforma costituzionale vigente
E' necessario ricordare le basi istituzionali del sistema quale risulta
a seguito del
nuovo Titolo V, per evitare fraintendimenti, agevolati da diffuse
rappresentazioni troppo originali.
In questo momento, ai sensi del Titolo V oggi già vigente:
a) allo
Stato spetta:
- di
dettare, in via esclusiva, le norme generali sull'istruzione (art.
117, c. 2, lettera n);
- di
determinare, in via esclusiva, i livelli essenziali delle prestazioni
(art. 117, comma 2, lettera m);
- di
stabilire, in via esclusiva, i principi fondamentali che la legislazione
regionale deve osservare nella materia dell'istruzione;
b) alla
Regione spetta:
- una
legislazione concorrente in materia di istruzione, fermi i principi
stabiliti con legge dello Stato, salva l'autonomia degli istituti
scolastici (art. 117, c. 3);
- una
legislazione residuale in materia di istruzione e formazione professionale
Per completezza,
è da aggiungere che, ai sensi dell'art. 116, possono essere
attribuiti altri spazi di autonomia a singole Regioni, su loro iniziativa,
con legge del Parlamento da approvare a maggioranza assoluta, sulla
base comunque di un'intesa fra la Regione e lo Stato. Di conseguenza,
sempre che si realizzino i necessari accordi, le Regioni potrebbero
avere ulteriori poteri in materia di istruzione in generale e altresì
in materia di norme generali sull'istruzione (art. 116, c. 3, prima
proposizione).
Il nuovo Ddl costituzionale: nessuno stravolgimento del vigente Titolo
V.
Veniamo
al disegno di legge costituzionale (c.d. "devolution") di
modifica dell'art. 117.
Il progetto si limita ad inserire nell'art. 117 un ulteriore comma,
che dunque non sopprime ma si somma a quelli esistenti sopra citati;
detto comma stabilisce che:
"Le Regioni attivano la competenza esclusiva per le seguenti
materie:
- assistenza
e organizzazione sanitaria;
- organizzazione
scolastica, gestione degli istituti scolastici e di formazione;
- definizione
della parte dei programmi scolastici e formativi di interesse specifico
della Regione;
- polizia
locale".
Qui interessa
l'istruzione e dunque limitiamo l'esame ai punti 2 e 3.
Questi sono i dati; vediamo come si debbono valutare.
Occorrono però due avvertenze.
- La
prima. Il giurista lavora con le parole di un testo giuridico (la
legge, la sentenza, l'atto amministrativo, il contratto, ecc.) ed
è vincolato al testo, altrimenti fa un altro mestiere. Ma
non deve essere vittima delle parole e dunque deve interpretare
il testo usando prudenza e ragionevolezza, senza seguire o ingigantire
o sopravvalutare quegli aspetti che sono frutto di non attenta formazione
e che purtuttavia pongono questioni agevolmente risolvibili con
la comune ragionevolezza e usando il metro della coerenza con i
principi del sistema. D'altra parte, il diritto si caratterizza,
come settore autonomo dell'esperienza umana (e come "scienza",
se è tale), perché ogni sua disposizione, ogni frammento,
deve essere interpretato alla luce dell'intero sistema: e proprio
questo può consentire di non indugiare su aspetti non significativi
(o significativi solo sul piano di una critica politica o di costume,
piano importante, ma non giuridico).
- La
seconda. La complessità di un sistema giuridico è
il riflesso di una società molto articolata e di un modello
di conformazione e regolazione giuridica particolarmente rispettoso
delle libertà della persona e delle autonomie istituzionali
e sociali. Dunque, la garanzia della libertà e dell'autonomia
esige e comporta complessità. E la complessità significa
un aggravamento del lavoro dell'interprete, ma è il suo compito.
Insomma, la certezza è un bene fondamentale del sistema giuridico,
ma solo in termini di obiettivo a cui si deve comunque tendere.
Bisogna esserne consapevoli per evitare di sottovalutare quegli
elementi, come i principi, che, per quanto (fatalmente) generali-generici,
sono l'unico mezzo per dare coerenza e dunque una relativa, ma possibile
certezza al sistema giuridico.
Allora,
se si fa attenzione ai significati ragionevolmente desumibili dalla
progettata norma , e
se si accantonano aspetti in effetti fonte di serie complicazioni,
come "l'attivazione" - ciascuna regione per proprio conto
- di una competenza "esclusiva", direi che:
- a)
la legislazione detta "esclusiva" riguarda l'organizzazione
scolastica e la gestione degli istituti scolastici e di formazione:
sono temi ampi, ma non esauriscono l'intera materia dell'istruzione;
- b)
in ogni caso, rimangono fermi questi limiti:
- 1-le
norme generali sull'istruzione, di competenza esclusiva dello
Stato;
- 2-
i livelli essenziali, di competenza esclusiva dello Stato;
- 3-
i principi della legislazione statale su tutto ciò che
non è "organizzazione scolastica" o "gestione
degli istituti scolastici e di formazione", cioè
su tutto il resto dell'istruzione, poiché la competenza
statale in materia di istruzione prevista dal terzo comma dell'art.
117 non è soppressa, ma è solo ridotta; infine,
per la ragione or ora indicata, rimane fermo anche il limite
del rispetto dell'autonomia delle istituzioni scolastiche (sempre
scritto nel citato terzo comma).
Si tratta,
in definitiva, di un ampliamento di competenze regionali già
spettanti sulla base del vigente Titolo V, in un contesto in cui rimangono
fermissimi sia il limite delle norme generali sull'istruzione sia
quello dei livelli essenziali delle prestazioni.
Naturalmente, si può essere favorevoli o contrari. Questo non
interessa; interessa invece sottolineare che la disposizione (per
le parti considerate) non stravolge il Titolo V.
La questione della competenza regionale sui curricoli
In realtà, l'unico aspetto che in qualche misura può
a prima vista colpire l'attenzione riguarda il potere regionale di
definire in parte i curricoli. E' però un elemento coerente
con l'impianto fondamentale del sistema costituzionale.
- Primo:
da sempre è al potere politico che spetta di determinare
in parte i curricoli, né è pensabile altrimenti (come
del resto si ricava, su un piano più generale, dalla recente
sentenza n. 282/2002 della Corte Costituzionale) per un'attività
che costituisce un servizio obbligatorio, di interesse primario
per la Repubblica, finanziato con i soldi di tutti i cittadini (art.
33).
- Secondo:
in una Repubblica quale quella configurata dalla Costituzione del
1948 e oggi con ulteriore accentuazione (ma non rivoluzione) i poteri
legislativi sono intestati allo Stato e alle Regioni: perché
mai dovrebbe essere allora escluso il potere regionale? Non si può
certo farlo per ragioni di principio di ordine pregiudiziale, ché
non vi sono.
- Terzo:
nell'istruzione - si dice - vi sono esigenze di tutela della libertà,
degli insegnanti e dei cittadini (e, in effetti, non è detto
che un potere decentrato sia più rispettoso delle libertà:
si ricordi che l'integrazione negli Stati Uniti si è fatta
con il potere federale), ed esigenze unitarie. Giusto, ma appunto
per questo vi sono: i livelli essenziali, che riguardano tutto,
le norme generali di istruzione, il rispetto dell'autonomia tecnica,
e soprattutto l'art. 33. Le obiezioni sono dunque da respingere.
La conclusione
è inevitabile: un potere come quello di cui si tratta è
già implicito nel testo costituzionale vigente, ne è
solo una coerente esplicitazione, e infatti (su questo punto in modo
del tutto corretto) il disegno di legge governativo di riforma dell'istruzione,
sin dal suo primo apparire, attribuisce alle Regioni detto potere
( art. 2 lettera l).
Peraltro,
dinanzi a chi volesse insistere nel prospettare irrimediabili contrasti
fra Titolo V vigente e ddl sulla "devolution", vi è
un argomento che pare difficilmente contestabile.
Ho già ricordato, che, ai sensi dell'art. 116, le norme generali
sull'istruzione sono uno degli oggetti su cui Stato e singola Regione
possono concordare condizioni più vaste di autonomia.
Ciò
vuol dire, secondo la Costituzione, che la "materia" "norme
generali sull'istruzione" non è di necessaria competenza
statale: è materia di cui Stato e Regioni possono consensualmente
disporre. Dunque, già a Costituzione vigente, è possibile,
con la procedura dell'art. 116, attribuire (in parte) alle Regioni
il potere di determinare i curricoli.
Non regionalizzazione dell’istruzione, ma compartecipazione
regionale al sistema nazionale dell’istruzione
La verità è che si è sempre reclamata e voluta
l'autonomia per aumentare le possibilità di partecipazione
politica e la responsabilizzazione dei cittadini; ma la partecipazione
politica dà spazio al diverso e produce differenziazione: sennò,
a che serve?
Problemi vi sono, ma di equilibrio, e si risolvono con il livelli
essenziali, con la libertà di insegnamento, ecc.; in poche
parole: si risolvono in parte con singole norme, come la lettera m
dell'art. 117, c.2, e in altra parte e comunque con i principi. Un'eccessiva
affezione alle prospettazioni qui criticate finisce perciò
solo per suggerire cattivi pensieri. Invero, fra tante dubbie questioni,
un punto fermo vi è e sta in ciò che, non la regionalizzazione
dell'istruzione, espressione fuorviante, ma la compartecipazione regionale
al sistema nazionale dell'istruzione, implica una grande assunzione
di responsabilità e grandi cambiamenti.
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3. La libertà di insegnamento come garanzia
del sistema pubblico dell'istruzione |
Il punto
di partenza: il sistema pubblico dell’istruzione.
Inizierei con un riferimento esemplificativo, potrò così
essere più breve.
Prendiamo la giustizia, il discorso è piano. La giustizia è
una funzione che si individua per specifici caratteri: terzietà,
indipendenza.
L'indipendenza della giustizia è l'indipendenza del giudice,
cioè del titolare della funzione. Per garantire l'indipendenza
del giudice si fanno almeno due cose:
- si
sottrae la professione del giudice, cioè la funzione, all'ambito
dei rapporti fra privati; è il potere pubblico che deve creare
tanti posti di lavoro quanti sono i giudici che servono; il mestiere
di giudice non dipende da logiche di mercato e non è un affare
privato;
- si
disciplina in un certo modo lo statuto giuridico di chi esercita
questa funzione, cioè il giudice.
Per arrivare al giudice, alla persona del funzionario giudice, siamo
partiti dalla giustizia, dall'attività che lo Stato deve
erogare attraverso il giudice, allo stesso modo si deve fare per
l'istruzione.
Che cosa
è dunque il sistema pubblico dell'istruzione? E' la domanda
di sempre, può creare divisioni, ma non si sfugge; bisogna
prendere posizione in modo chiaro, per evitare pasticci.
Il sistema pubblico dell'istruzione:
- costituisce
esplicazione di un servizio che il potere pubblico politico deve
mettere a disposizione dei cittadini, con finanziamento a carico
della collettività;
- deve
conseguire obiettivi definiti dal potere pubblico secondo certe
modalità;
- produce
delle utilità giuridicamente riconosciute nell’interesse
della società: i titoli di studio.
Tutto
qui, il sistema pubblico dell'istruzione? No, se così fosse,
non vi sarebbe spazio alcuno per la libertà di insegnamento;
l'istruzione pubblica e la libertà di insegnamento sarebbero
due entità separate e distinte.
Il servizio dell'istruzione, cioè l'attività d’insegnamento,
è pubblico innanzitutto perché deve essere neutro dal
punto di vista ideologico.
Siccome
non è possibile impedire alla gente di sentire e di pensare
(per fortuna), l'unica forma di neutralità attuabile sta nel
garantire la libertà di ogni tecnico dell'insegnamento. Ecco
la saldatura con la libertà di insegnamento: istruzione pubblica
e libertà di insegnamento sono la stessa cosa. Di più:
la libertà di insegnamento è la garanzia della libertà
del cittadino in relazione all'istruzione pubblica, perché
ogni cittadino, senza distinzione di sesso, di religione ecc.(art.
3 Cost.), deve poter entrare senza disagio in ogni scuola della Repubblica,
che esiste ed opera in suo nome e con le sue risorse.
Conclusione:
la regolazione pubblica è l'unica vera garanzia della libertà
di insegnamento: come per il giudice.
In verità, non è una grande scoperta: perfino l'impresa
privata, quella che - legittimamente - opera per il profitto (naturalmente
l'impresa dell'imprenditore corretto) lo ha da sempre capito; e infatti
il diritto comunitario, che nasce in nome della libertà economica
e per garantirla, ha prodotto un aumento e non una riduzione di regole:
la disciplina antitrust, legge n. 287/1990, oppure la normazione volta
ad evitare inganni, come quello di vestire enti sostanzialmente pubblici
con panni dichiarati formalmente privati per sottrarli ai necessari
controlli (è la normativa sugli appalti, e sull'organismo di
diritto pubblico).
Libertà
di insegnamento: libertà individuale o del corpo professionale?
Un altro punto, di cui oggi in specie si torna a discutere, è
se la libertà di
insegnamento sia una libertà individuale o una libertà
dell'insieme degli appartenenti alla professione come corpo.
Capisco - credo - le ragioni ed il problema, ma, a mio avviso, è
un modo pericoloso di impostare la questione.
La libertà o è individuale o non è: che vuol
dire "libertà del corpo professionale"? chi è
il corpo professionale: tutti, una maggioranza, una maggioranza semplice,
o qualificata, il 50% +1, o +2, o + 3, ecc.?
I corpi, questi corpi (molti lo sostengono fermamente, ad esempio,
a proposito della personalità giuridica delle organizzazioni)
sono entità fittizie.
A mio avviso, una prospettiva più adatta potrebbe essere questa:
qualsiasi portatore di una conoscenza tecnica ha bisogno di un riconoscimento/legittimazione
da parte dei portatori di quella medesima tecnica (uno è medico
perché è riconosciuto tale dai medici, ecc.). Dunque,
in relazione ad ogni tecnica vi è una dimensione di gruppo.
Ma essa si correla e si aggiunge a quella individuale: non la sostituisce.
Ciò da cui si deve partire è pur sempre la libertà
del singolo professionista; la dimensione collettiva organizzata,
in modo formale o informale, è solo un connotato di quella
libertà e non la libertà di un soggetto inesistente,
il corpo professionale.
La costruzione della dimensione collettiva deve essere compatibile
con la libertà del singolo. Tutto questo non impedisce di creare
organismi volti a dare un'identità alla professione, a garantire
i diritti di libertà, ecc.: ciò è opportuno,
ma a partire dal principio che la libertà è dei singoli.
Libertà
e servizio
Infine, libertà e servizio. Già in generale la libertà
non vive e non cresce in solitudine. Per di più, la libertà
di insegnamento è garantita perché è il pezzo
centrale del sistema pubblico dell'istruzione, e l'istruzione è
un servizio pubblico. Dunque la libertà di insegnamento è
necessariamente correlata al suo contrario: si debbono attuare finalità
da altri determinate. Insomma, nella docenza, vi è una parte
libera e una parte non libera: non può che essere così.
E' banale, ma va ricordato, perché troppo spesso ci si dimentica
dell'una o dell'altra.
In qualche modo, questo vale anche per il giudice. Il giudice è
libero quando decide come si deve interpretare la norma, ma non è
libero di fare la sentenza con la procedura che vuole: ad esempio
deve considerare gli argomenti delle parti, e deve motivare, ecc.;
neppure è libero di fare
la sentenza quando vuole: la legge deve prevedere una ragionevole
durata del processo (oggi art. 111 Cost., ma in precedenza alla medesima
conclusione si poteva giungere sulla base dei principi). L'organizzazione
e la pratica effettiva dell'esercizio della funzione giurisdizionale
non sempre realizzano questa dimensione (del servizio) e ciò
può finire per compromettere, agli occhi dei cittadini, il
valore della funzione e della sua libertà.
Bisogna evitare che altrettanto possa profilarsi per la libertà
della funzione docente. L'equilibrio fra libertà e servizio
è difficile, ma vale la pena di affrontare il tema con prospettive
adeguate, tanto più che si tratta di un servizio dell'Amministrazione
e per l'Amministrazione la Costituzione espressamente prevede il principio
di buon andamento (art. 97, c. 1).
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4. Funzione docente e fonti di disciplina: contrattualizzazione,
privatizzazione |
A chi compete determinare i contenuti essenziali della funzione docente
Chi deve giuridicamente determinare i contenuti essenziali della funzione
docente, dello statuto giuridico di chi è investito della funzione,
delle procedure per divenire titolari della funzione? La risposta
è nelle cose: il potere legislativo, come avviene per il giudice.
Naturalmente, il frequente confronto con la figura del giudice non
significa che il docente sia figura identica; basta intendersi: non
è identica nel suo complesso, ma è identica per certi
profili.
Sono da segnalare due ordini di problemi: il primo è il rapporto
con la privatizzazione e la contrattualizzazione dei pubblici dipendenti;
il secondo con la ripartizione delle competenze legislative fissata
dal Titolo V.
Privatizzazione,
contrattualizzazione
Pretendere che certi aspetti siano disciplinati con legge non vuol
dire né ripubblicizzare il rapporto di lavoro né de-contrattualizzarlo.
La storia della società ci dice che proprio i sindacati hanno
duramente (e giustamente) lottato per avere l'intervento pubblico
legislativo al fine di garantire i diritti dei lavoratori negli stessi
rapporti fra privati (si pensi alla legge n. 300/1970, statuto dei
lavoratori); quei rapporti erano e sono rimasti rapporti di lavoro
privato, non sono certo diventati rapporti di lavoro pubblico sol
perché per certi aspetti sono disciplinati dalla legge.
Quanto alla contrattualizzazione, qui sì in effetti vi è
(vi sarebbe) una novità, che però non consiste nell'eliminazione
della contrattazione, ma nella attribuzione alla contrattazione di
alcune cose e non di altre. Se la funzione docente è quello
che ho detto, non è concepibile che possa essere disciplinata
come un fatto che riguarda esclusivamente un datore di lavoro e le
associazioni dei prestatori di lavoro: ciò non è concepibile
per la funzione giurisdizionale, e non lo è per la funzione
docente.
Quale
legislatore
Il nuovo Titolo V attribuisce allo Stato in via esclusiva le norme
generali sull'istruzione.
Aspetto più generale di questo non ve ne è: la funzione
docente è l'in sé del sistema pubblico dell'istruzione.
Provvede dunque, per questi aspetti, la legge statale. E' il caso
di precisare che la norma sulla devolution, da questo punto di vista,
non incide in alcun modo.
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5. L'ufficio docente; il reclutamento dei docenti;
la stabilità del rapporto di lavoro; il datore di lavoro
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L’ufficio
docente
L'attività di insegnamento necessaria per erogare il servizio,
in termini pubblicistici, costituisce un ufficio. Un certo numero
di insegnanti riuniti in una scuola corrispondono ad un certo numero
di compiti o di funzioni da svolgere.
Occorre allora in primo luogo stabilire qual’è l'organizzazione
in cui si inserisce questo ufficio.
E' il sistema pubblico dell'istruzione, nella sua interezza. Oggi
esso comprende anche scuole private, le scuole paritarie (legge n.
62/2000). Dunque l'ufficio docente di cui parliamo coincide anche
con l'ufficio docente delle scuole paritarie.
Voglio dire: in via generale, è la fisionomia della funzione
docente ad assicurare l'autentica pubblicità del sistema pubblico
dell'istruzione; pertanto, l'ufficio docente non può che essere
unico e identico in ogni componente del sistema, scuola pubblica o
privata che sia. Anzi, questo è l'unico modo per inserire il
privato nel sistema pubblico dell'istruzione: che la funzione docente
abbia una medesima garanzia di libertà.
Questo precisato, ne deriva che la legge n. 62/2000 è costituzionalmente
illegittima: è tale non perché affianca scuole private
a scuole statali, bensì perché introduce scuole di tendenza
ideologica, dove la funzione docente ha uno statuto giuridico non
adeguatamente garantito. Al di fuori del sistema pubblico ciascuno
fa quello che vuole (fermi i divieti del codice penale), ma non dentro.
Reclutamento
Il reclutamento va fatto per concorso, senza ombra di dubbio: il carattere
della funzione non permette che ci si debba convertire per avere un
posto di lavoro. Ovviamente, si dovrebbero utilizzare tecniche concorsuali
adatte allo scopo, prive di poco utili formalismi: ma sempre un concorso,
e non una cooptazione.
Inutile aggiungere che il reclutamento avviene per lo statuto giuridico
di docente del servizio pubblico dell'istruzione e dunque si dovrebbe
poter essere assegnati sia a scuole pubbliche "ordinarie"
(quelle che si definiscono "statali") sia a scuole paritarie.
Stabilità
del rapporto
Il problema neppure si pone (dal mio punto di vista): non può
che essere un rapporto a tempo indeterminato.
Quanto detto costituisce un elemento di rigidità del sistema.
Ma si può ridurre, per rendere un servizio migliore e dunque
per giustificarne il finanziamento a carico dei cittadini. Per un
cenno rinvio al successivo “Il buon andamento del sistema”.
Identità
del datore di lavoro
I docenti sono in grandissima parte personale statale. Non mi soffermo
sui problemi che ne derivano, a cominciare dalla semplice buona amministrazione,
mi limito ad alcune notazioni.
La gestione del personale non è affare normativo, ma di amministrazione.
In materia di istruzione, la gestione del personale, in base al principio
di sussidiarietà verticale, non è di competenza dello
Stato.
Mi pare infatti difficile, specie considerato che l'attività
di insegnamento deve essere organizzata in strutture locali, oggi
per di più entificate (le scuole dotate di personalità
giuridica), giustificare una presenza dello Stato quale datore di
lavoro.
A rigore, sulla base del Titolo V esistente, il personale docente
deve essere trasferito dallo Stato ad altra amministrazione.
Quale amministrazione?
Come noto, molti propongono i singoli istituti: non è soluzione
congrua. La garanzia della libertà della funzione richiede
l'appartenenza ad un datore di lavoro con ampia capacità di
assorbimento
in modo che si possono compensare la vicende delle singole strutture
(gli istituti): sono così più limitate le ipotesi in
cui possa risultare necessario procedere, in ragione della eventuale
soppressione dei posti, a licenziamento; e la garanzia di stabilità
è strumento essenziale per l'esercizio libero della funzione,
come si è detto.
Dunque, non rimane che l'Amministrazione regionale: potrebbe essere
un pertinente datore di lavoro, specie alla luce dei poteri ad essa
spettanti in materia di organizzazione complessiva del sistema di
istruzione.
L'eventuale, e giuridicamente doverosa, a mio avviso, regionalizzazione
non deve spaventare: si regionalizza il datore di lavoro, non la funzione
docente e i caratteri essenziali del suo statuto giuridico, che rimangono
affidati alle norme generali sull'istruzione dello Stato.
Certo, si dovrà riorganizzare il sistema della contrattazione,
ma non è un problema difficile, in punto di diritto.
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6. La dipendenza funzionale (docente: collegio
dei docenti, dirigente scolastico, consiglio di circolo o di istituto |
Docenti
e collegio docenti
L'istruzione è un servizio che richiede un esercizio organizzato
e finalizzato di più funzioni docenti.
L'equilibrio fra la libertà della funzione di insegnamento
e le esigenze di un insegnamento organizzato e unificato può
essere realizzato in modo accettabile attraverso la scomposizione
dell'attività da svolgere fra parti riservate esclusivamente
al singolo docente e parti attribuite ad un collegio che sia espressione
della dimensione collettiva della tecnica di cui sono portatori gli
insegnanti.
L'istituto scolastico è la sede in cui avviene detta unificazione.
Da questo punto di vista, l'istituto scolastico dovrebbe coincidere
con il collegio dei docenti. Qui è la fisionomia essenziale
dell'istituto scolastico: è l'organizzazione della dimensione
necessariamente ultrasoggettiva della singola funzione docente.
Il punto è se la funzione docente possa tollerare di essere
in qualche modo indirizzata o condizionata, per la parte non di spettanza
individuale, da organismi non composti esclusivamente dai titolari
della funzione docente.
Con questo si investe il tema del dirigente scolastico e del consiglio
di circolo o di istituto.
Docenti
e dirigente scolastico
Dirigente scolastico: presenta i maggiori dubbi proprio in relazione
all'autonomia dell'organismo a cui è preposto e alla libertà
della funzione docente.
L'autonomia della funzione attribuita all'insegnamento nella dimensione
individuale e collettiva dovrebbe precludere un qualsiasi intervento
sul piano didattico di non appartenenti alla categoria.
Al tempo stesso però, vi è la necessità di salvaguardare
gli aspetti di regolarità del servizio, di resa, di definizione
di prospettive, di indirizzo. A questo fine, specie in un ambito di
attività di grandi dimensioni, che coinvolge milioni di persone
(fra addetti e utenti), vi è la necessità di personale
che abbia una autorità e una responsabilità che non
gli derivano da un'investitura ad opera della stessa corporazione
(ad esempio i docenti dell'istituto) la cui attività è
sottoposta per certi aspetti al suo indirizzo, coordinamento, controllo.
Il dirigente scolastico potrebbe essere il mezzo giuridico per comporre
queste opposte esigenze. Peraltro, se questa è la logica che
può giustificare la figura, essa dovrebbe avere una
disciplina più specifica e più corrispondente a tale
premessa. In particolare, pare essenziale il reclutamento nell'ambito
dello stesso personale docente, cioè in una categoria consapevole
del valore intrinseco della libertà di insegnamento, ma i requisiti
debbono essere costruiti non in relazione al docente in quanto tale,
bensì al docente con capacità di direzione e di organizzazione.
La responsabilità dovrebbe inoltre essere disciplinata in modo
diverso e non più nei confronti del dirigente dell'apparato
ministeriale (come è oggi), ma direttamente nei confronti dell'autorità
politica di governo territoriale. Inutile aggiungere che dovrebbe
porsi particolare attenzione alle garanzie: il dirigente scolastico
si trova ad esercitare un potere direttivo sull'organismo in cui in
concreto vive la libertà di insegnamento e dunque, in mancanza
di adeguate garanzie giuridiche, rischiano di essere travolte sia
la sua autonomia, sia quelle dell'istituto e dei singoli docenti.
Insomma:
incarichi di direzione a tempo determinato, con una congrua durata,
sulla base di appropriate valutazioni tecniche, e meccanismi seri,
ma con procedure garantite, per far valere le responsabilità.
Non è invece proponibile la nomina fiduciaria. Non si può
fare di tutta l'erba un fascio. Le funzioni pubbliche non sono tutte
eguali: alcune hanno un'intrinseca esigenza di libertà, e dunque
debbono avere uno statuto più garantito, o totalmente garantito;
altre invece no, e può essere corretto che al mutamento del
governo possa corrispondere quello del titolare dell'ufficio che costituisce
l'interfaccia fra politica e amministrazione. Nel caso che interessa
siamo in un contesto in cui vi è da garantire uno spazio di
libertà e dunque non vi è spazio per aspetti fiduciari.
Ma, con questo, il problema non può considerarsi esaurito.
Basti ricordare l'art. 21 della legge n. 59/1997, c. 16, dove è
stabilito che la qualifica dirigenziale ai capi di istituto è
conferita "in connessione con l'individuazione di nuove figure
professionali del personale docente". La posizione assunta dal
legislatore è corretta e congrua.
Non vi è dubbio che, per poter guidare in modo efficace ed
efficiente un'organizzazione complessa quale è l'istituto scolastico
autonomo, la dirigenza deve contare su una fascia docente di alta
professionalità, con funzione trainante, che sia di stimolo
e di sostegno ai processi di innovazione e di miglioramento dell'insegnamento-apprendimento.
E' il momento di mantenere la promessa: l'istituzione di questa figura
professionale deve essere realizzata con legge, all'interno di un
nuovo statuto dell'intera funzione docente.
Docenti
e Consiglio di circolo o di istituto
a)
superare la cogestione
La funzione docente non può invece sopportare la cogestione/confusione
con i genitori e gli studenti.
Genitori e studenti sono gli utenti del servizio. E' orientamento
generalizzato quello di attribuire agli utenti diritti di partecipazione
in ordine al servizio di cui usufruiscono.
La tendenza
è in sé ineccepibile, ma occorre distinguere fra tipo
e tipo di partecipazione e, poi, tener conto della natura del servizio,
dell'identità dell'utente, della necessità di non mischiare
la responsabilità per la gestione del servizio.
Genitori e studenti hanno una particolare fisionomia, che li configura
in modo nettamente diverso dagli utenti, ad esempio, del servizio
ferroviario o dallo stesso utente del servizio sanitario o di un servizio
assistenziale. Lo studente (ed anche il genitore, sia pure indirettamente)
è destinatario della prestazione, ma al tempo stesso è
soggetto sottoposto a controllo ad opera dell'amministrazione: basta
pensare al dovere di apprendimento, che vale anche nei gradi più
alti dell'istruzione come corrispettivo alla richiesta della prestazione
di istruzione, o alla valutazione dell'apprendimento.
La conclusione, per me, è chiara, come ho già ricordato
più volte. L'organo generale di indirizzo è il consiglio
di circolo o di istituto. Ne fanno parte (in modo posizione non secondaria,
si pensi al presidente) rappresentanti dei genitori e degli studenti.
I genitori e gli studenti sono controinteressati rispetto alle finalità
generali di interesse pubblico che l'istituzione persegue. E' dunque
un sistema in cui si confondono poteri e responsabilità e in
cui è sacrificata la libertà e la tecnicità della
funzione docente. Di più: in questo contesto il piano dell'offerta
formativa può essere (è) il mezzo per far valere orientamenti
ideologi di tendenza (quelli dei genitori o degli studenti) e dunque
si pregiudica il valore fondamentale del servizio pubblico dell'istruzione
(il pluralismo).
b)
garantire a genitori e studenti strumenti e modalità di
partecipazione diretta e di tutela
Non vorrei essere frainteso: accantonare la partecipazione organica
(la cogestione) non significa sopprimere la partecipazione; vorrei
solo evitare che genitori e studenti finiscano per essere al tempo
stesso danneggiati, perché vittime del cattivo funzionamento
del servizio, e beffati, perché corresponsabili.
Il servizio
è una cosa ed i suoi utenti un'altra, cosicché ogni
commistione non favorisce, ma pregiudica gli interessi degli utenti.
Altri
sono i piani su cui debbono essere garantiti genitori e studenti.
- Il
primo è costituito da strumenti diretti (di partecipazione
"diretta"): mi riferisco, a poteri e diritti di conoscenza,
di proposta, di consultazione, di assemblea, di critica, che debbono
previsti e conferiti nella misura più ampia.
- Peraltro,
la delicatezza dei rapporti fra genitori, studenti e docenti è
così particolare e così marcata che il quadro non
può limitarsi a detti poteri, ma deve essere completato dalla
creazione di un apposito organo "garante", che svolga,
in riferimento ad un'istituzione scolastica, o ad un insieme di
istituzioni scolastiche, un ruolo di "difesa civica" specializzata.
- L'altro
piano è costituito dalle insostituibili garanzie di tipo
indiretto, cioè dai poteri di indirizzo e di programmazione
che spettano ai pubblici poteri e, con il nuovo Titolo V, agli enti
locali territoriali. Invero, la libertà di insegnamento e
l'autonomia delle scuole riguardano ambiti determinati, non possono
e non debbono riassumere tutti gli aspetti concernenti l'organizzazione
del servizio e le modalità per la sua erogazione. Si pensi
ad esempio agli orari della scuola dell'infanzia, all'istituzione
del tempo pieno nella scuola elementare, all'istituzione del tempo
prolungato, alla distribuzione dei diversi indirizzi della scuola
secondaria superiore, ecc. Ebbene, questi aspetti non possono essere
che essere decisi da chi ha la responsabilità politica del
servizio dell'istruzione, pertanto rientrano nella competenza degli
enti territoriali locali.
Ciò per due distinte e convergenti ragioni:
-
perché detti enti sono le uniche istituzioni legittimate
a rappresentare i cittadini, anche nei confronti della scuola
e dei docenti, la cui autonomia e libertà convive, non
si dimentichi, con l'esigenza di prestare un servizio per soddisfare
altrui bisogni (vedi quanto già accennato al punto “Libertà
e servizio”);
-
perché non è immaginabile, per evidenti ragioni,
di affidare la determinazione degli aspetti ora in questione
(che coinvolgono con immediatezza interessi propri dei protagonisti
del sistema, sia come singoli che come corporazioni) ad un confronto
frontale e diretto fra docenti e utenti, che potrebbe solo generare
esasperate conflittualità oppure più o meno mascherate
subalternità.
Dunque,
anziché attardarsi su vecchie o nuove (e più o meno
lottizzate) forme di cogestione, sarebbe il caso di procedere all'attuazione
del Titolo V. E questo è da dire, soprattutto, alle Regioni.
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7. Il buon andamento del sistema |
Una
duplice esigenza: il “dimensionamento” dei docenti stabili con “statuto
garantito” e l’introduzione di una fascia più elastica di “esperti”
Non possiamo
ignorare gli aspetti di efficienza e di buon andamento del sistema.
Dunque non è possibile attribuire a tutti coloro di cui vi
può essere bisogno uno statuto così garantito come lo
statuto docente. Dal punto di vista della qualità essenziale
del servizio, cioè della sua neutralità ideologica,
è indispensabile (a ulteriore svolgimento di una linea già
affiorata nel punto “ Libertà e servizio”) che vi sia
un nucleo di addetti con statuto particolarmente garantito, purché
il nucleo sia anche quantitativamente idoneo a caratterizzare l'intero
servizio. Per il resto, vi possono essere varie soluzioni. Bisogna
dunque differenziare e prevedere almeno due tipi di ufficio: uno docente
e un altro con uno statuto giuridico diverso, più elastico
(l'esperto).
La teoria e oggi anche l'esperienza sembrano dimostrare che non vi
sono molte alternative:
ferma la garanzia della libertà di insegnamento, nei modi e
con il rigore in precedenza indicati, o si dà spazio anche,
in qualche misura, a meccanismi in grado di assicurare la dimensione
del servizio, la sua economicità, efficacia, qualità,
oppure avremo un'istruzione sempre più delegittimata agli occhi
dei cittadini, e dunque destinata ad essere sempre più povera
e sempre meno libera.
Valutazione
e controllo
Non è possibile occuparsene qui, ma il tema deve essere messo
in agenda, per memoria, perché non è immaginabile alcuna
legittimazione di una qualsiasi istituzione pubblica in assenza di
adeguati e visibili meccanismi giuridici di valutazione e di controllo.
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8. Note Conclusive |
Un
organismo di autoidentificazione della professione
A mio modo di vedere, come risulta da quanto detto, la specificità
della funzione docente e la identità pubblica del sistema dell'istruzione
esigono interventi su aspetti diversi ma contestuali: quelli che ho
indicato, all'interno di un unico disegno. Pensare di risolverli per
la via tradizionale dell'ordine professionale non è ipotesi adatta,
come ho ricordato in un precedente incontro. Può invece servire
un organismo di autoidentificazione, di tutela della professione docente,
di partecipazione alla determinazione delle componenti tecniche del
servizio; un organismo espressione della categoria, con i compiti, in
particolare: di contribuire alla formazione degli insegnanti, di determinare
le componenti tecniche dell'istruzione pubblica, sia ai fini della programmazione
e dell'indirizzo sia ai fini del controllo; di definire principi e criteri
di carattere deontologico.
Come si vede, i problemi sono tanti, gravi e delicati, e lo sono da
tanto tempo. Però, nel settore dell'istruzione, non vi sono ragioni
per alzare i toni.
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