UN NUOVO STATO GIURIDICO
PER LA PROFESSIONE DOCENTE:
DALLA STORIA NAZIONALE ALLA PROSPETTIVA EUROPEA

Relazione tenuta al Seminario nazionale dell'ADi
Bologna 30 novembre 2002
Alessandra Cenerini
Presidente ADi


1. STATI GIURIDICI E RIFORME

Nei centocinquant'anni di vita del nostro Stato unitario, sono stati promulgati dai governi 5 stati giuridici:

  1. la legge Casati (Regio Decreto n.3725 del 13-11-1859);
  2. lo "Stato giuridico degli insegnanti delle scuole medie, regie e pareggiate" (Regio Decreto 8 aprile 1906);
  3. la legge Gentile (Regio Decreto n.1054 del 6-05-1923);
  4. il DPR n.3 del 1957 "Statuto degli impiegati civili dello stato";
  5. la Legge delega n. 477 del 1973 e il relativo DPR n. 417 del 1974, poi inserito nel Testo unico n. 297 del 1994.

In questi ultimi vent'anni ci sono state altre leggi che hanno inciso profondamente sulla condizione degli insegnanti:

  • la Legge n.93/1983, nota come legge quadro del Pubblico Impiego, a seguito della quale i docenti furono inseriti nel 6° e 7° livello impiegatizio, la funzione docente perse ogni specificità entro un comparto che impostava in termini omogenei la contrattazione di tutto il personale della scuola, dall'ausiliario al capo d'istituto, e recise definitivamente il legame con la docenza universitaria;
  • la legge delega n.421/1992 sul Pubblico Impiego che ha dato il via alla privatizzazione del rapporto di lavoro, distinguendo fra ciò che rimaneva riserva di legge e ciò che diventava contrattualizzato;
  • la legge 59/97 all'interno della quale è stata istituita l'autonomia scolastica e si è attribuita la dirigenza ai capi d'istituto, separando la loro contrattazione dal restante personale della scuola.
  • la legge n.3/2001 di riforma costituzionale che, come noto, coinvolge in maniera sostanziale l'istruzione.

Gli stati giuridici che hanno riguardato in modo specifico gli insegnanti sono stati sempre collegati, tranne quello del 1906, a processi più generali di riforma della scuola, riforma Casati, riforma Gentile, riforma degli Organi collegiali della scuola . Pur nella diversità profonda dei regimi politici, liberale, totalitario e democratico, in cui quegli stati giuridici sono stati emanati e delle condizioni economiche, sociali e culturali in cui sono maturati, un filo li ha comunque collegati fino ad oggi. È lo stesso filo che ha mantenuto la scuola in una condizione pressochè immutata, nel corso di centocinquant'anni, perfino di fronte alla svolta storica dell'istruzione di massa. Una continuità che è stata ben descritta da John Goodland nel suo A place called school del 1984, uno dei libri più dissacranti su questa istituzione: "Da quando si sono dotate di un tetto le scuole non sono più cambiate".
Oggi noi sosteniamo che quel filo si è logorato e sta per spezzarsi. Tutto questo sta avvenendo anche se non ne abbiamo ancora chiara consapevolezza, anche se le alternative non sono immediatamente né visibili né in larga misura praticabili. In questa situazione, e in presenza di due riforme importanti, quali quella costituzionale e quella della scuola, diventa necessario e urgente modificare lo stato giuridico degli insegnanti.

La richiesta che da questo seminario nazionale avanziamo è che all'interno della legge delega di riforma della scuola ci sia l'impegno, non solo del Governo ma di tutte le forze politiche, a riscrivere lo stato giuridico dei docenti.

Non è compito di questo seminario entrare nel merito della riforma della scuola, è però compito nostro chiarire perché e in che termini occorre mettere mano senza più indugi alla "questione docente". L'attuale Ddl 1306 contiene un solo articolo sugli insegnanti, quello relativo alla formazione. Non siamo d'accordo che si proceda in questo modo. Non si può più continuare a spezzettare questa professione, ad assumere provvedimenti parziali in modo dissociato, provvedimenti spesso in contraddizione gli uni con gli altri. Occorre impostare l'insegnamento in una visione di prospettiva che abbia come presupposto i bisogni dell'educazione delle giovani generazioni, che è, a ben considerare, il solo modo per valorizzare la nostra professione.

La relazione che presento a nome dell'ADi si articolerà in tre parti.

  • I. La prima metterà in evidenza che cosa, a nostro avviso, si è logorato della trama che ha collegato fino ad oggi i diversi stati    giuridici degli insegnanti.
  • II. La seconda tenterà di delineare entro quali scenari si inserisce una nuova condizione docente.
  • III. La terza tratterà singolarmente i punti che dovrebbero essere definiti in un nuovo stato giuridico.


2. LA FINE DI UN MODELLO

Che cosa va esaurendosi nel modello che fino ad oggi, nel bene e nel male, ha dato continuità alla scuola e alla funzione docente?
  • L'organizzazione scolastica fondata sull'apprendimento simbolico-ricostruttivo

Sta arrivando al capolinea quel modello di insegnamento-apprendimento fondato sul libro che ha dominato per secoli: il cosiddetto apprendimento simbolico ricostruttivo che ha plasmato tutta l'organizzazione scolastica. Mentre l'antica "bottega" fu l'ambiente idoneo all'apprendimento esperenziale, la scuola è stata l'organizzazione funzionale all'apprendimento simbolico-ricostruttivo. Un'organizzazione di supporto all'autoapprendimento tramite il testo, ha scritto Francesco Antinucci , costruita sulla innaturale sequenza: classi (rigidamente suddivise per età), programma, discipline, orario, lezioni, verifiche (uguali per tutta la classe). Oggi, sostiene Francesco Antinucci, il computer può riprodurre la realtà simulandola, in modo che se ne possa fare esperienza,

"Si può dire che come la stampa fa copie del testo utili a essere lette e la televisione copie della realtà utili a essere percepite da vista e udito, il computer fa copie della realtà utili ad agirci sopra".

Così è ipotizzabile che il risultato finale del lungo cammino tecnologico sarà la possibiltà di tornare a praticare il modo esperenziale di apprendere senza quelle limitazioni di accesso che spinsero ad abbandonarlo in favore del modello simbolico ricostruttivo diffusosi con l'avvento della stampa. E forse per la prima volta, dai tempi del precettore personale, si potrà dare vita ad un insegnamento individualizzato.

Ha affermato in un'intervista del 1999 Howard Gardner:

"Fra non molti anni la gente riderà di una pratica finora dominante secondo cui a tutti si insegna la stessa cosa nello stesso modo e nello stesso momento."

Questa pratica innaturale, alla quale molti ragazzi già si ribellano, di stare seduti ore su un banco in un'aula, secondo orari e scansioni rigide, secondo riti sempre uguali, tutto questo potrà essere profondamente rivisitato. Insieme alle tecnologie, l'esplosione delle conoscenze sul funzionamento del cervello e su come si costruisce l'apprendimento rivoluzioneranno convinzioni e impostazioni praticate per secoli. E' bene ribadire qui, comunque, che proprio i risultati raggiunti dalle neuroscienze ci indicano che l'utilizzo delle tecnologie presuppone non la sostituzione o una minore importanza della figura dell'insegnante, ma la necessità di avere docenti con più elevate e complesse conoscenze, competenze e attitudini, docenti capaci di sapere valorizzare pienamente gli aspetti emozionali, affettivi e motivazionali dell'apprendere.

  • La "compressione" dell'apprendimento negli anni della scolarizzazione

L'affermarsi del Long life learning, come dato intrinseco dell'economia e della società della conoscenza, modificherà l'attuale scansione dei curricoli rigidamente costruita negli anni della scolarizzazione, nei quali tutto il possibile doveva essere appreso. Non vi è più un tempo strettamente delimitato in cui si debba comprimere tutto ciò che si deve imparare. È un punto tutt'altro che irrilevante che ci aiuterà a capire come mettere in pratica le sollecitazioni che ci provengono dagli psicologi più accorti che si occupano di scuola: insegnare ai giovani ad organizzare le conoscenze e non ad accumularle, considerato che oggi un minuscolo palmare ci mette a disposizione in ogni momento e in ogni luogo, un'infinità di dati, fatti, informazioni. Dovremo davvero applicarci per capire cosa possa voler dire buttare a mare il 95% degli attuali curricoli come sostiene Howard Gardner o più realisticamente dimezzarli, come ci ha suggerito Tom Bentley. Un obiettivo che è meno folle di quanto di primo acchito possa apparire.

  • L'organizzazione centralistica dell'istruzione

È già superata, almeno sulla carta, l'organizzazione centralistica dell'istruzione. Vogliamo ricordare, qui da Bologna, che nel nostro Paese il modello centralistico dello Stato si è imposto (con l'estensione a tutto il territorio nazionale della legge amministrativa piemontese) sulla sconfitta delle proposte di organizzazione decentrata sostenuta dal bolognese Marco Minghetti. Ora, dopo quasi 150 anni, la legge costituzionale n. 3/2001, trasforma il nostro Paese in senso, se non propriamente federalista, quantomeno fortemente decentrato. È una legge che per la scuola presenta sicuramente alcuni limiti e contraddizioni, come ad esempio la separazione dell'istruzione e formazione professionale dal resto dell'istruzione, ma che non per questo va bloccata. Essa va applicata migliorandola.
Un nuovo disegno di legge varato dal governo e già passato al Senato, indica, fra l'altro, un più completo decentramento del sistema dell'istruzione. Il difetto di questa nuova proposta è, a nostro avviso, solo quello che essa si configura come aggiunta al precedente impianto, lasciando immutate alcune delle contraddizioni esistenti. Ci appare però assolutamente strumentale gridare all'attentato all'unità della nazione. Non è proprio il caso.

Per quanto riguarda l'istruzione forse è bene ricordare che da oltre 20 anni uno dei tratti caratteristici delle riforme di tutti i sistemi educativi dei Paesi dell'UE, e non solo, è stato il decentramento accompagnato da una dose più o meno elevata di autonomia alle scuole. Praticamente tutti i Paesi hanno introdotto nuove regole che hanno spostato gran parte del potere decisionale e di gestione dallo Stato centrale verso le autorità regionali, locali o municipali e verso gli istituti scolastici. Noi arriviamo buoni ultimi.
E' anche bene rilevare che negli altri Paesi decentramento e autonomia non sono stati appannaggio né della destra né della sinistra. Laddove queste riforme sono state impostate da governi progressisti sono state fatte proprie dai governi moderati che sono seguiti e viceversa. Basti ricordare che in Spagna tale riforma è stata avviata nel 1985 dal socialista Gonzales nell'ambito della riforma dello Stato e si è conclusa sotto il conservatore Aznar; in Inghilterra è stata realizzata dalla conservatrice Thatcher con l'Education Act del 1988 e proseguita senza soluzione di continuità dal laburista Blair; in Svezia è stata promossa dai conservatori tornati al potere nel 1976, dopo un periodo ininterrotto di 43 anni di socialdemocrazia, ed è stata approfondita e conclusa dai socialdemocratici di nuovo al governo nel 1985.
Un'ulteriore precisazione è però necessaria. Se all'interno di questi processi di riforma una differenza va rilevata fra lo schieramento progressista e quello conservatore è che il primo è portato a rafforzare i poteri delle autonomie locali, mentre il secondo a potenziare maggiormente l'autonomia delle scuole e a mantenere o riappropriarsi di responsabilità a livello centrale. Così fece la Thatcher e così sta facendo ora Aznar con la nuova Ley Organica sull'istruzione, che limita i precedenti poteri assegnati alle Comunità Autonome a favore di una maggiore autonomia scolastica e di maggiori poteri al Ministero dell'Istruzione. D'altra parte questa differenza è facilmente spiegabile. Una forte autonomia delle scuole, senza controlli democratici sul territorio, può portare a un'accentuazione delle disuguaglianze , a una maggiore ingiustizia sociale nella distribuzione delle opportunità educative , a un aggravamento delle disparità territoriali, a nuove forme di segregazione, come si è in parte verificato nei Paesi dove ci sono esperienze decennali di autonomia.
Per tutto questo la sinistra in generale tende a potenziare il controllo delle autonomie locali. In questo contesto l'opposizione al disegno di legge delega sulla devoluzione da parte del centrosinistra italiano si configura di fatto come un allineamento alle posizioni dei governi conservatori degli altri Paesi europei.

  • La funzione della scuola di organizzazione del consenso

L'avvio dell'autonomia delle scuole segna un forte ridimensionamento della funzione che la scuola ha svolto in tutti i Paesi fin dagli albori degli stati nazionali : la costruzione dell'identità nazionale, l'adeguamento morale e culturale delle giovani generazioni alle norme generali che regolano la società.
Ha scritto a tale proposito Norberto Bottani:

"Le modalità di funzionamento delle scuole, le tradizioni e le regole che si applicano negli istituti scolastici, i valori trasmessi dai docenti o dai manuali scolastici sono espressione della razionalità delle norme burocratiche concepite per governare la popolazione con la scuola, la cui funzione quindi non è solo quella di istruire [...]) ma quella di essere, come dicono Meyer e Rowan, un servizio educativo della società per la società. È questo schema di organizzazione del sociale che è entrato in crisi negli ultimi decenni in tutti i Paesi occidentali; una grossa fetta delle funzioni sociali che erano state attribuite alla scuola, come per esempio quella della legittimazione della stratificazione sociale in una società democratica, oppure quella della generazione del consenso tra i contraenti del patto sociale [...] non spetta più o spetterà sempre di meno alla scuola, come è avvenuto invece per più di un secolo. Le riforme imperniate sull'autonomia sorgono nell'ambito di queste trasformazioni e vanno lette in questa prospettiva"

Ci pare che sia proprio la relativizzazione, se non la fine, di questa funzione della scuola, che non viene né colta né adeguatamente analizzata dai sostenitori a oltranza della scuola statale. Si badi bene statale e non pubblica, convinti come siamo del valore tuttora fondamentale della scuola pubblica.


3. I NUOVI SCENARI

Se questi capisaldi del sistema istruzione stanno cedendo, o hanno già ceduto, entro quali nuovi scenari si colloca la funzione docente?
Cercare di analizzarli e comprenderli è importante per tentare di ridefinire questa nostra professione .
Innanzitutto non si può tacere che fra i vari scenari possibili a livello mondiale, è più che mai presente la prospettiva della "privatizzazione" dell'istruzione, della sua delega al mercato.
Senza profonde e chiare giustificazioni i sistemi educativi pubblici così come li abbiamo conosciuti potrebbero davvero essere spazzati via dalle nuove forze dell'economia globale.
Con la crescita delle economie, un numero crescente di genitori nei Paesi sviluppati si trova a godere di sempre maggiori disponibilità economiche. Questi potrebbero ben decidere, come scelta personale, di spendere parte delle loro entrate sui figli, acquistando, sì letteralmente comprando, un'istruzione a misura della loro visione del mondo. E se lo facessero non sarebbe poi così facile costringerli a pagare le tasse per l'istruzione dei figli degli altri. Questi dilemmi sono già acuti in alcune città americane: Filadelfia ne è un esempio.
Anche per questo l'istruzione non può più essere semplicemente assunta e giustificata come lo fu nel secolo scorso, ma deve essere ridefinita secondo un concetto assolutamente nuovo di istruzione pubblica.

Proviamo a individuare alcuni nuovi scenari che ci riguardano da vicino

  • Globalizzazione, unificazione europea, federalismo.

Ci troviamo rispetto al passato di fronte a una situazione del tutto nuova, che è contraddistinta da tre processi:

  1. la globalizzazione o mondializzazione, un processo unificatore sempre più accompagnato dal suo negativo: la balcanizzazione. Un mondo sempre più uno e interdipendente, ma sempre più diviso e conflittuale;
  2. l'approfondimento dell'unificazione economica, politica e culturale dell'Europa, con la consegna a istituzioni europee di una quota via via più ampia di sovranità nazionale ;
  3. una riforma costituzionale che se non può dirsi federalista, certamente avvia un forte decentramento

È all'interno di questi grandi rivolgimenti storici che dobbiamo individuare una nuova funzione della scuola e un nuovo ruolo degli insegnanti. Se la funzione fondamentale non è più quella dell'organizzazione del consenso, dell'adeguamento alla tradizione, quale etica può e deve essere oggi costruita nella scuola e attraverso la scuola ?
Ciò che oggi serve e su cui potremmo finalmente avere i giovani con noi, è la costruzione di un'etica della responsabilità che si apra a un mondo sempre più interdipendente; una realtà planetaria nella quale i giovani si sentono immersi e della quale percepiscono le enormi ingiustizie. L'etica della responsabilità che la scuola dovrebbe insegnare è quella che Morin chiama "antropo-etica", una responsabilità che faccia riferimento alla triplice condizione umana: all'uomo come persona, all'uomo come società, all'uomo come specie. Ciascuno di noi porta questa triplice realtà e questa va appieno e contestualmente sviluppata, con uguale convinzione e partecipazione. Quello che dovremmo fare è "promuovere lo sviluppo congiunto dell'autonomia individuale, della partecipazione alla propria comunità , e della coscienza di appartenere tutti alla specie umana" .
Il compito della scuola è innanzitutto di insegnare "l'identità terrestre", il destino ormai planetario del genere umano.
Oggi l'insegnamento ignora tutto questo. Dice Morin:

"La conoscenza degli sviluppi dell'era planetaria e il riconoscimento dell'identità terrestre devono divenire uno dei principali oggetti dell'insegnamento. È opportuno insegnare la storia dell'era planetaria che inizia nel XVI secolo con la comunicazione fra tutti i continenti, e mostrare come tutte le parti del mondo siano divenute interconnesse, senza occultare le oppressioni e le dominazioni che hanno devastato e ancora devastano l'umanità. Si dovrà indicare il complesso di crisi planetaria che segna il XX secolo, mostrando come tutti gli esseri umani, ormai messi a confronto con gli stessi problemi di vita e di morte, vivano una stessa comunità di destino".

Questo dovrebbe essere per il presente e per il futuro il compito della scuola: educare i giovani a indagare le grandi questioni che attengono la condizione umana. In questo senso si pone un problema culturale molto più complesso di quanto non lo si sia finora affrontato nel testo di riforma, che appare, anche sotto questo profilo, del tutto inadeguato. Dice il testo varato al Senato:

" I decreti di cui all'articolo 1 definiscono il sistema educativo di istruzione e di formazione, con l'osservanza dei seguenti princìpi e criteri direttivi: sono promossi il conseguimento di una formazione spirituale e morale, anche ispirata ai princìpi della Costituzione, lo sviluppo della coscienza storica e di appartenenza alla comunità locale, alla comunità nazionale ed alla civiltà europea;"

A parte l'ambiguo e per certi aspetti preoccupante affermazione "anche ispirata ai principi della Costituzione" ( ci sono solo due Carte sulla quale la scuola pubblica dovrebbe, a nostro avviso fondare i suoi valori, la Costituzione italiana e la Convenzione internazionale sui diritti dell'infanzia), a parte il passaggio dal termine "comunità" a quello di "civiltà" quando si cita l'Europa, e non è un limite di poco conto, noi vogliamo aggiungere che c'è un'altra appartenenza che dobbiamo fortemente sottolineare: siamo tutti figli, per dirla con Morin, della "terra patria", cittadini di una comunità planetaria.
E noi crediamo che l'opposizione, avrebbe dovuto chiedere un emendamento come questo: "Sono promossi… la coscienza storica e di appartenenza alla comunità locale, nazionale, europea, e alla "comunità di destino" planetaria".

È dunque, a nostro avviso, asfittica l'impostazione della maggioranza, ma lo è altrettanto quella dell'opposizione che grida al lupo al lupo solo perchι è stato inserito un comma che prevede l'intervento regionale su una piccola parte del curricolo.
Dice il ddl: "l) i piani di studio personalizzati, nel rispetto dell'autonomia delle istituzioni scolastiche, contengono un nucleo fondamentale, omogeneo su base nazionale, che rispecchia la cultura, le tradizioni e l'identità nazionale, e prevedono una quota, riservata alle regioni, relativa agli aspetti di interesse specifico delle stesse, anche collegata con le realtà locali ".
Non si capisce cosa ci sia in tale affermazione di tanto scandaloso; vorremmo ad esempio ricordare la riforma scolastica spagnola promulgata dal socialista Gonzales, la LOGSE, ha decretato che allo stato competa la definizione solo del 65% del curricolo, delegando il resto alle Comunità autonome (le Regioni). E sua intenzione non era disgregare lo Stato ma probabilmente tenerlo unito in modo più democratico.

La riforma della scuola richiede coraggio e una grande assunzione di responsabilità nel superare una duplice resistenza: verso il decentramento e verso l'allargamento dei limiti nazionali. Nell'uno e nell'altro caso non si tratta certo di cancellare l'identità di Stato-nazione, ma di relativizzarla, approfondendo da un lato la partecipazione alla vita della propria comunità e radicando dall'altro il senso di una maggiore appartenenza all'Europa e alla stessa comunità di destino planetaria.

  • Realizzazione del "successo formativo"

La realizzazione del "successo formativo" è un obiettivo che non possiamo più eludere.
Un buon sistema educativo è oggi considerato assolutamente importante non solo per lo sviluppo della moderna economia, ma anche per la creazione di una società più equa. Nel XX secolo forse nessun sistema educativo è riuscito a far raggiungere quegli standard educativi che questo obiettivo comportava. In realtà raggiungere quella meta ideale non era essenziale; c'era ancora un'ampia gamma di lavoro per manodopera non specializzata o semispecializzata. C'era cioè lavoro per quelli che non avevano raggiunto elevati standard di formazione.
Questo non è più vero.
Per di più la velocità del cambiamento sociale ed economico è diventata così accelerata che se anche un cittadino senza adeguata istruzione riesce a trovare lavoro oggi, non ha nessuna certezza di conservarlo anche domani.
Se nel XX secolo è stata spesso usata la retorica del "successo per tutti", ma la realtà era molto diversa, il secolo che si è aperto ha l'obbligo di realizzare questa finalità. Da questo punto di vista va cambiato l'approccio al problema.

Per la maggior parte del XX secolo la politica scolastica si è concentrata sul controllo e la standardizzazione delle situazioni di ingresso: numero delle scuole, qualificazione degli insegnanti, contenuto dei curricoli, numero di alunni per classe , ore di insegnamento settimanali, uniformità dei percorsi. In altre parole le costanti nella politica erano gli input. E non sorprende, data le diversità sociali e i diversi background degli studenti, che le conseguenze fossero che i risultati raggiunti, cioè gli output, fossero assolutamente variabili. La nuova sfida -alti standard per tutti- comporta che gli output siano il fattore da tenere sotto controllo e che gli input debbano variare.
Alcuni studenti necessitano di più tempo di studio di altri per raggiungere alti standard, e quel tempo deve essere dato. Alcuni hanno bisogno di un sostegno individualizzato, e deve essere dato. Quando diventano più grandi alcuni studenti apprendono meglio sul posto di lavoro che non a scuola, devono avere questa opportunità. Diversi approcci all'insegnamento e all'apprendimento si adattano meglio ai diversi studenti, gli insegnanti devono variare e adattare i loro metodi pedagogici.
Per raggiungere output omogenei, gli input devono essere variati.
Qualunque cosa sia necessaria. E questo comporta grandi investimenti.
Dobbiamo purtroppo constatare che la sensibilità, la cultura e la volontà politica di questo governo sono nulle nei confronti della necessità di investire nell'istruzione e nella ricerca.
Alcune nazioni hanno già profuso investimenti enormi e costruito ricerche specifiche a questo fine. Potremmo ad esempio citare le iniziative del governo inglese per elevare i livelli di alfabetizzazione di tutti nella lingua e nella matematica, attraverso appositi programmi, le National literacy and numeracy Strategies. Per realizzare queste strategie si sono costituiti centri di ricerca, si sono formati gli insegnanti, si è costruito materiale ad hoc, e si fanno costanti verifiche sui risultati (addirittura affidate ad esperti internazionali, come il canadese Michael Fullan). I risultati sono lusinghieri. Tutto questo in una situazione di diffusa multiculturalità. Gli strumenti per intervenire dunque esistono, occorre cultura e volontà politica per attivarli.

  • Autonomia delle scuole: tre importanti fattori per un suo equo sviluppo

La scommessa di fare dell'autonomia lo strumento per trasformare le scuole in istituti che garantiscano il raggiungimento di standard elevati per ciascun ragazzo, è una partita ancora tutta da giocare e da vincere. Per ora l'autonomia è essa stessa un problema, non la soluzione dei problemi. In Italia abbiamo sulla carta la legge forse più avanzata, ma siamo anche quelli in assoluto più indietro nell'applicarla. Il sistema burocratico è ancora imperante e profondamente radicato dentro di noi, nella stessa mentalità e nella stessa cultura di insegnanti e dirigenti scolastici, ma non solo.
Nei sistemi burocratici centralizzati quando sorge un problema, le scuole si chiedono cosa debba fare il governo, esprimendo tutta la propria dipendenza dal sistema. Ora dovrebbero essere capaci di chiedersi che cosa esse possano fare e che tipo di nuove relazioni, recisa quella burocratica, debbano costruire.
Il tema della creazione di nuovi sistemi di relazioni è importante, è importante che le scuole autonome riescano ad evitare l'isolamento e a tessere forme collaborative con le altre scuole , con gli enti locali, con le università e con altri possibili partner. Il miglioramento non avverrà, come tanto si è teorizzato, sulla base della "competizione", ma piuttosto su quella dell'"emulazione collaborativa". In altre parole il miglioramento delle scuole autonome dipenderà sempre più da forme di collaborazione, sostenute dalla tensione a emulare chi fa meglio, e ispirate alla fiducia.

Ci pare che tre fattori siano importanti per fare decollare l'autonomia scolastica.

  1. Il primo è la promozione e lo sviluppo di elevati livelli di fiducia dentro la scuola, fra dirigente e insegnanti, fra questi e gli studenti e i genitori, e fuori di essa con i livelli tecnici intermedi e i possibili partner. Ci sono ricerche a sostegno di questa tesi, ed è oggi un passo avanti essere passati dall'intuizione alla dimostrazione dell'importanza del fattore fiducia nei confronti dei buoni risultati degli studenti.
  2. Il secondo fattore è l'accesso costante delle scuole alle cosiddette best practice (migliori pratiche didattiche), e lo stimolo a spartire le proprie conoscenze con il resto del sistema. È questo secondo fattore che deve anche costituire il tipo di legame intermedio fra le singole scuole e le autorità centrali, un legame non più burocratico, ma di tipo tecnico-scientifico, volto a sostenere e diffondere le pratiche migliori , a valutare, aiutare e intervenire laddove occorre.
  3. Tutto questo richiama il terzo fattore, la valutazione. Autonomia e valutazione sono infatti due facce della stessa medaglia. L'autonomia richiede non solo la pratica costante dell'autovalutazione come strumento insostituibile di regolazione e miglioramento delle attività della scuola, ma anche valutazioni esterne di sistema, che analizzino i risultati delle scuole, il loro "valore aggiunto" in primo luogo, a sostegno dell'equità dell'istruzione, per evitare l'approfondirsi delle disuguaglianze e vere e proprie forme di segregazione scolastica. "L'autonomia senza valutazione è suicida e la valutazione che non si prefigga di sostenere l'autonomia , lo sviluppo della comunità professionale dei docenti, è puro velleitarismo" ha ripetutamente e autorevolmente sostenuto Norberto Bottani (opera citata).


4. LA PROSPETTIVA DELLA PROFESSIONE DOCENTE

La docenza: una professione
Questo, a noi pare, sia lo scenario nuovo in cui collocare il futuro della professione docente. In realtà lo stesso termine "professione" costituisce di per sè il futuro, poiché la docenza non è ancora riconosciuta nel nostro Paese come "professione". Eppure quell'obiettivo fu autorevolmente posto dall'UNESCO fin dal lontano 5 ottobre 1966, data che è oggi rimasta a celebrare la "giornata mondiale degli insegnanti". Quel documento, tanto fondamentale quanto ignorato, è "La Raccomandazione sullo status degli insegnanti", una raccomandazione costruita attorno alla tesi che la docenza deve essere considerata una "professione" fondata su alti standard professionali e su un proprio codice deontologico, entrambi da costruire insieme agli organismi rappresentativi dei docenti.
La strada per ottenere tale obiettivo è complessa, oggi più di un tempo, e richiede di intervenire su più piani. C'è stata, e lo diciamo senza alcuno spirito polemico, un'invasione indebita dell'intervento sindacale su questa professione, invasione resa possibile dalla costante latitanza del governo, del parlamento e da una sorta di subordinazione delle stesse associazioni professionali nei confronti dei sindacati. Noi crediamo che sia davvero ora di ristabilire le diverse responsabilità, pena la dissoluzione di questa professione.
La legge delega 421/1992 nell'avviare la privatizzazione del Pubblico Impiego aveva stabilito con chiarezza cosa spettasse alla contrattazione e cosa alla legge, di lì occorre ripartire. Va anche aggiunto, però, che la necessità di un nuovo stato giuridico degli insegnanti, trova una motivazione forte anche e soprattutto nel fatto che la docenza non è un generico impiego pubblico, è una professione specialissima tutelata dalla costituzione attraverso la garanzia della libertà d'insegnamento.

La trasformazione della docenza in vera e propria "professione" richiede anche di intervenire su di un terreno quasi inesplorato nel nostro Paese, che è quello che compete all'autonomia del corpo professionale.
Si dovrebbe pertanto correttamente procedere su tre piani: quello della legge (lo stato giuridico), quello della professione (la definizione e il rispetto degli standard professionali e del codice deontologico, attraverso un proprio organismo di autogoverno da definirsi per legge), quello della contrattazione (retribuzione, orario di servizio ecc..).
Appare logico sostenere che quest'ultimo piano, quello contrattuale, dovrebbe discendere dal riconoscimento della docenza come professione, dalla definizione del suo status e delle sue caratteristiche professionali e non precederle come oggi avviene.

La nostra associazione si è finora occupata degli ambiti che le sono più propri, ossia degli aspetti professionali -standard professionali e codice deontologico- oggi intendiamo dare il nostro contributo alla definizione di un nuovo stato giuridico degli insegnanti e tratteremo pertanto quegli aspetti della condizione docente che dovrebbero essere stabiliti dalla legge, ribadendo la nostra richiesta che l'impegno per la formulazione di una nuova condizione giuridica dei docenti sia contenuto nella legge delega di riforma della scuola.
Svilupperemo il nostro ragionamento e le nostre proposte sui singoli punti di stato giuridico, ma c'è una questione generale che non possiamo tacere.

Una questione che ci divide dall'Europa: l'esubero di docenti
Nella maggioranza dei Paesi sviluppati il tema della professione docente viene oggi affrontato a partire da un dato nuovo e preoccupante: un numero sempre minore di persone si dedicano all'insegnamento. Molti governi dei Paesi dell'UE, ma non solo, si trovano a dover ridefinire strategie per sopperire alla crescente drammatica mancanza di insegnanti.
L'OCSE ha avviato un'indagine dal titolo "Attirer, former et retenir des enseignants de qualité" (24 marzo 2002), che intende fare il punto sulla situazione prima indicata e analizzare le possibili soluzioni. Il solo titolo "Attirare, formare e trattenere insegnanti di qualità" ci fa comprendere la distanza che da questo punto di vista ci divide dagli altri Paesi. Noi abbiamo alcune centinaia di migliaia di aspiranti insegnanti inseriti nelle graduatorie permanenti e nelle graduatorie d'istituto. Va aggiunto però che in un futuro molto prossimo la situazione per quel che riguarda i docenti di discipline scientifiche e tecnico-scientifiche è destinata anche da noi a uniformarsi al trend generale, e quindi quelle indicazioni e quelle analisi vanno comunque tenute nella dovuta considerazione.

Scrive il documento dell'OCSE:

"Gli studi degli ultimi dieci anni sull'educazione hanno dimostrato l'importanza di investire sugli insegnanti per ottenere dei cambiamenti significativi nell'apprendimento degli studenti. Pertanto tenuto conto delle nuove esigenze della società della conoscenza, di una popolazione scolastica sempre più diversificata e multiculturale e del profilo demografico degli insegnanti che lascia intravvedere una possibile mancanza di insegnanti di qualità capaci di perseguire questa missione, le politiche volte ad attirare, trattenere e formare gli insegnanti sono diventate una preoccupazione centrale".

Il documento OCSE ricorda anche che :

"I ministri dell'istruzione hanno attribuito grande importanza agli insegnanti, nel comunicato dell'aprile 2001, intitolato 'Investire nelle competenze per tutti'".

Essi hanno dichiarato:

"Noi abbiamo esaminato alcuni orientamenti per le nostre scuole. La prospettiva più ottimistica potrebbe essere compromessa da una grave penuria di insegnanti. Noi dobbiamo esplorare insieme le strategie che ci permetteranno di attirare e trattenere insegnanti e capi d'istituto di qualità"
(Investir dans les compétences pour tous, p. 4.)

Esiste dunque un notevole fermento e attenzione sulla questione docente, che ci fa sperare che in un futuro non troppo lontano gli insegnanti dei Paesi dell'UE miglioreranno il loro status, e la situazione italiana potrà esserne positivamente influenzata.


5. I PUNTI CHE QUALIFICANO UN NUOVO STATO GIURIDICO

Vediamo ora di esaminare quegli aspetti della condizione docente che dovrebbero essere demandati alla legge, cioè ad un nuovo stato giuridico.
Consideriamo che le voci fondamentali siano le seguenti:

  • Professione docente e organismo di autogoverno
  • Dipendenza funzionale
  • Funzione docente
  • Diritti e doveri fondamentali degli insegnanti,
  • Formazione iniziale e continua,
  • Reclutamento,
  • Valutazione
  • Carriera e leadership professionale.
  • Dirigenza

Alcuni di questi temi, come la valutazione, non saranno trattati qui, per essi rinviamo nostre precedenti elaborazioni


a) Professione docente

Chiediamo che venga esplicitamente indicato che la docenza è riconosciuta come professione e in quanto tale deve per legge essere dotata di un proprio organismo di autogoverno, indipendente dall'amministrazione e autonomo dai sindacati, con il potere di definire gli standard professionali, di sovrintendere alla formazione iniziale ed in servizio, di intervenire sulle norme di accesso all'insegnamento, di gestire l'Albo professionale, di stabilire e fare rispettare il codice deontologico. Gli standard devono descrivere che cosa devono sapere e saper fare gli insegnanti. Essi sono l'elemento fondante dell'identità professionale e costituiscono la base indispensabile per la formazione iniziale ed in servizio, per il reclutamento, per la valutazione e autovalutazione dei docenti. Esistono standard generali della professione e standard specifici per le diverse aree disciplinari e per i diversi gradi scolastici. Esistono standard per la formazione iniziale, per il reclutamento e il superamento del periodo di prova, standard per l'accesso alla leadership professionale, alla dirigenza scolastica e alla carriera di ispettori. Insieme agli standard, il codice deontologico, distinto per docenti, dirigenti scolastici e ispettori, favorisce la costruzione dell'identità professionale, aumenta il senso di appartenenza alla propria comunità professionale e scientifica, e costituisce esso stesso un importante riferimento ai fini della valutazione e autovalutazione dell'attività educativa. Il codice deontologico è lo strumento che contempera l'"autonomia professionale" con i bisogni degli allievi e con i più generali interessi della società. Per essere efficaci, sia gli standard che il codice devono avere alcune caratteristiche. Devono essere espliciti, pubblici, specifici. Devono avere carattere relativo ed evolutivo, essere cioè aperti alle sollecitazioni della concreta pratica professionale, della ricerca, della cultura e della domanda sociale, flessibili e dinamici, cioè continuamente aggiornabili e aggiornati


b) Dipendenza funzionale

Consideriamo fondamentale che, definite con legge le caratteristiche fondanti della docenza, la dipendenza funzionale dei docenti sia attribuita alle Regioni e alle singole istituzioni scolastiche autonome. Il principio che ci guida è quello da un lato di superare definitivamente il centralismo e i danni che esso ha generato, e dall'altro evitare la frammentazione che deriverebbe dall'assegnazione di eccessivi ed esclusivi poteri alle singole scuole autonome. Con il passaggio alla dipendenza funzionale delle Regioni verrebbe anche a cessare la distinzione fra docenti appartenenti all'"istruzione e formazione professionale" e all'"istruzione", operata dalla riforma del Titolo V della Costituzione. Sarebbe inoltre completato il processo avviato con il decreto legislativo n.112 del 31 marzo 1998, che ha già attribuito alle Regione le competenze "di programmazione dell'offerta formativa e della rete scolastica", mentre sono rimaste agli Uffici scolastici regionali, di diretta emanazione ministeriale, quelle della programmazione e della gestione degli organici del personale. Tali Uffici dovrebbero ovviamente diventare parte dell'amministrazione regionale. In sintesi, si tratta, a nostro avviso, di affidare alle Regioni, insieme alla programmazione delle istituzioni scolastiche, la programmazione degli organici, degli interventi sulla formazione continua dei docenti e sulla valutazione.


c) Funzione docente

a) Finalità
L'attuale stato giuridico così definisce la funzione docente: "La funzione docente è intesa come esplicazione dell'attività di trasmissione della cultura, di contributo all'elaborazione di essa e di impulso alla partecipazione dei giovani a tale processo e alla formazione umana e critica della loro personalità" (Testo unico, Dlgs 297/94, art. 395, primo comma). Questo testo è stato poi rivisitato, impropriamente perché non era suo compito, dal contratto nei seguenti termini:

"4. La funzione docente si fonda sull'autonomia culturale e professionale dei docenti; essa si esplica nelle attività individuali e collegiali e nella partecipazione alle attività di aggiornamento e formazione in servizio"
"5. In attuazione dell'autonomia scolastica i docenti, nelle attività collegiali, elaborano, attuano e verificano, per gli aspetti pedagogico-didattici, il piano dell'offerta formativa, adattandone l'articolazione alle differenziate esigenze degli alunni e tenendo conto del contesto socio - economico di riferimento. 6. Il profilo professionale dei docenti è costituito da competenze disciplinari, pedagogiche, metodologico-didattiche, organizzativo- relazionali e di ricerca, tra loro correlate ed interagenti, che si sviluppano col maturare dell'esperienza didattica, l'attività di studio e di sistematizzazione della pratica didattica. I contenuti della prestazione professionale del personale docente si definiscono nel quadro degli obiettivi generali perseguiti dal sistema nazionale di istruzione e nel rispetto degli indirizzi delineati nel piano dell'offerta formativa della scuola
."( art.38 del CCNL 1994-1997 ridefinito dall'art.23 del CCNL 1998-2001).

Pur nutrendo una qualche affezione a questo testo, avendo contribuito a scriverlo nel lontano 1995, non posso non ribadire qui che non spetta assolutamente al contratto la definizione della funzione docente, ma essa deve essere stabilita per legge nelle sue caratteristiche fondanti, e precisata nei contenuti (gli standard professionali) dall'organo di autogoverno della docenza.

Noi crediamo che il punto di partenza per definire la funzione docente debba essere costituito dalle sue finalità, dalla "visione" che vogliamo delineare dell'insegnamento. Indichiamo tre finalità, tutte ugualmente importanti, ma non neghiamo che siamo particolarmente affezionati alla prima, peraltro già indicata nella nostra Dichiarazione dei diritti e dei doveri degli insegnanti, quella cioè di contribuire alla "felicità" delle giovani generazioni. Pare a noi che questa finalità tutte le ricomprenda. Felicità assunta nell'accezione socratica di condizione che si accompagna all'esercizio rigoroso della ragione, felicità come coincidenza con la virtù.
Le tre finalità che a nostro avviso definiscono la funzione docente sono le seguenti:

  1. contribuire alla felicità delle giovani generazioni
  2. perseguire traguardi formativi elevati per ciascun allievo tenuto conto delle diverse situazioni individuali e delle sngole personalità
  3. educare i giovani all'etica della responsabilità, attraverso l'acquisizione della consapevolezza che ciascuno di noi è a un tempo individuo, parte di una società e parte della specie umana

b) Libertà d'insegnamento
Lo stato giuridico del 1974 nelle Norme Generali all'art. 1 recita:

"1. Nel rispetto delle norme costituzionali e degli ordinamenti della scuola stabiliti dal presente testo unico, ai docenti è garantita la libertà d'insegnamento intesa come autonomia didattica e come libera espressione culturale del docente. 2. L'esercizio di tale libertà è diretto a promuovere, attraverso un confronto aperto di posizioni culturali, la piena formazione della personalità degli alunni. 3. E' garantita l'autonomia professionale nello svolgimento dell'attività didattica, scientifica e di ricerca"

Riteniamo che la norma costituzionale vada esplicitamente indicata nello stato giuridico dei docenti e insieme interpretata.
La funzione docente si fonda sulla libertà di insegnamento, che è la garanzia prima del sistema pubblico dell'istruzione, una libertà non a tutela di un interesse (legittimo, ma individuale) dell'insegnante, bensì di un inderogabile interesse pubblico: un insegnamento in condizione di libertà. E', cioè, la disciplina della funzione a regolamentare le condizioni di chi la esercita e non il contrario. Questo significa, ad esempio, che essendo la funzione docente libera, il rapporto di lavoro del docente deve essere disciplinato in modo compatibile con questa caratteristica di libertà.
Su questo tema Carlo Marzuoli, che in questo seminario approfondirà il tema della connessione fra libertà e servizio, ha scritto in un precedente saggio pubblicato sul sito dell'ADI "La libertà di insegnamento è l'altra faccia del servizio di istruzione pubblica".
Nel nostro sistema costituzionale l'istruzione pubblica deve essere esercitata in condizioni di neutralità ideologica. L'unico pluralismo possibile è quello contestuale, perché mette a confronto e dunque materializza e ricorda l'esistenza del diverso (quanto al pensiero, ai costumi, ecc.). Il punto è fuori discussione: la legge, ad esempio, n. 176/1991 (di esecuzione della convenzione delle Nazioni Unite sui Diritti dell'Infanzia, New York 1989) è chiarissima, anche se un po' semplicistica:

"gli Stati parti convengono che l'educazione del fanciullo deve avere come finalità: (….) b) di inculcare al fanciullo il rispetto dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali e dei principi consacrati nella Carta delle Nazioni Unite".

l pluralismo si può avere solo se ogni insegnante può operare in condizione di libertà (di insegnamento). Da questo punto di vista possiamo dire che la libertà di insegnamento è strumento per il servizio di istruzione pubblica.

Questi principi devono valere in uguale misura sia per le scuole statali (o regionali o comunali che siano) sia per le scuole paritarie. Esattamente allo stesso modo. Solo così peraltro potrà essere affrontato e risolto il problema del finanziamento delle scuole paritarie. Una posizione che abbiamo ufficialmente assunto nel documento finale del primo Congresso dell'ADI. Così non è ora.
La legge 62/2000 ammette fra le scuole paritarie anche le scuole di tendenza, nel senso di ideologiche. Il terzo comma dell'art. 1 della legge 62/2000 afferma:

"(nelle scuole paritarie) Il progetto educativo indica l'eventuale ispirazione di carattere culturale o religioso".

Si concede dunque la parità anche a scuole che non operano in condizioni di neutralità ideologica, e nelle quali l'attività educativa può essere ispirata ad una specifica fede religiosa. In queste condizioni è chiaro che anche la scelta degli insegnanti sarà condizionata conseguente conseguentemente, e quindi del tutto in contrasto con la libertà di insegnamento, con quei criteri di imparzialità e trasparenza, che, se presenti, renderebbero invece possibile anche forme di reclutamento omogenee e la mobilità dall'una all'altra istituzione ( statale o paritaria).

c) Diritti e doveri

    I docenti hanno diritto:

    1. al riconoscimento di pari responsabilità e dignità con i docenti universitari nello svolgimento della formazione iniziale e in servizio degli insegnanti e della ricerca didattica
    2. alla garanzia dell'autonomia didattica e professionale, che si sviluppa attraverso il confronto e la collaborazione con i membri della propria comunità scientifico-professionale
    3. a svolgere la propria attività entro un'organizzazione scolastica che favorisce l'apprendimento continuo, la raccolta, sistematizzazione e diffusione delle "buone pratiche" e del sapere professionale attraverso l'istituzione e l'utilizzo di reti locali e globali
    4. a usufruire di una propria leadership professionale, che si ponga da "guida" al miglioramento dell'insegnamento-apprendimento
    5. a godere di risorse, condizioni normative e opportunità formative che favoriscano il proprio continuo sviluppo professionale
    6. a lavorare in scuole di dimensioni "umane" e con tempi distesi, che rispettino e valorizzino gli elementi relazionali ed "emozionali" dell'attività educativa
    7. a disporre in ciascuna aula per ciascuno studente di un computer collegato in rete, strumento necessario e indispensabile per
      l'individualizzazione dell'insegnamento, base del successo formativo.
    8. a usufruire di periodi sabbatici per il proprio aggiornamento culturale e professionale

     

    I docenti hanno il dovere di:

    1. svolgere la propria attività di insegnamento, praticando tutte le strategie idonee a portare ciascun allievo ai più alti standard formativi rispetto a quelli fissati nazionalmente e dall'istituzione scolastica, tenuto conto delle situazioni individuali e delle singole personalità
    2. sviluppare negli allievi l'etica della responsabilità, della solidarietà e della comprensione fra gli uomini attraverso la consapevolezza che ciascuno è a un tempo individuo, parte di una società e parte della specie umana
    3. collaborare al processo di orientamento scolastico, universitario e professionale degli allievi
    4. partecipare e contribuire alla promozione delle attività complementari all'insegnamento, dentro e fuori la scuola, programmate dagli organismi collegiali della docenza
    5. perseguire e mantenere i più alti standard professionali e culturali nell'assolvimento della propria attività anche attraverso l'adempimento di modalità obbligatorie di formazione in servizio
    6. contribuire a costruire la comunità scientifica e professionale degli insegnanti, attraverso la conoscenza, la divulgazione e la sistematizzazione delle migliori pratiche, lo sviluppo della ricerca didattica, la sperimentazione delle più innovative teorie dell'apprendimento e degli usi più efficaci delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione
    7. rispettare le norme che regolano il rapporto di lavoro e il codice deontologico definito dagli organismi di autogoverno della docenza
    8. impegnarsi affinchè le attività scolastiche si sviluppino in un clima di rispetto, di tolleranza, di partecipazione e di libertà così da promuovere negli allievi i valori della Costituzione italiana
    9. costruire relazioni collaborative con i genitori improntate alla fiducia e al rispetto
    10. contribuire alla creazione di una rete di reciproci scambi con l'ambiente sociale e culturale del territorio
    11. verificare e valutare in modo sistematico l' attività di insegnamento e rendere conto dei risultati dell' azione educativa


d) La formazione iniziale degli insegnanti

La formazione nel Ddl 1306

Il Dddl 1306 passato al Senato prevede all'art.5 che i decreti dettino

" norme sulla formazione iniziale dei docenti della scuola dell'infanzia, del primo ciclo e del secondo ciclo nel rispetto dei seguenti princìpi e criteri direttivi:
a) la formazione iniziale è di pari dignità per tutti i docenti e si svolge nelle università presso i corsi di laurea specialistica, il cui accesso è programmato (…..)sulla base della previsione dei posti effettivamente disponibili, per ogni ambito regionale, nelle istituzioni scolastiche;
b) con uno o più decreti, (…….) sono individuate le classi dei corsi di laurea specialistica, anche interfacoltà o interuniversitari, (…)Per la formazione degli insegnanti della scuola secondaria di primo grado e del secondo ciclo le classi predette sono individuate con riferimento all'insegnamento delle discipline impartite in tali gradi di istruzione e con preminenti finalità di approfondimento disciplinare. I decreti stessi disciplinano le attività didattiche attinenti l'integrazione scolastica degli alunni in condizione di handicap(…)
c) l'accesso ai corsi di laurea specialistica per la formazione degli insegnanti è subordinato al possesso dei requisiti minimi curricolari, individuati per ciascuna classe di abilitazione (…) b) e all'adeguatezza della personale preparazione dei candidati, verificata dagli atenei;
d) l'esame finale per il conseguimento della laurea specialistica di cui alla lettera a) ha valore abilitante per uno o più insegnamenti (…)
e) coloro che hanno conseguito la laurea specialistica di cui alla lettera a), ai fini dell'accesso nei ruoli organici del personale docente delle istituzioni scolastiche, svolgono, previa stipula di appositi contratti di formazione lavoro, specifiche attività di tirocinio. A tale fine (…)le università(…), definiscono (…)apposite strutture di ateneo o d'interateneo (…) cui sono affidati(…) anche i rapporti con le istituzioni scolastiche;
f) le strutture didattiche di ateneo o d'interateneo di cui alla lettera e) promuovono e governano i centri di eccellenza per la formazione permanente degli insegnanti (…)
a) le strutture di cui alla lettera e) curano anche la formazione in servizio degli insegnanti interessati ad assumere funzioni di supporto, di tutorato e di coordinamento dell'attività educativa, didattica e gestionale delle istituzioni scolastiche e formative.

A questo articolo si aggiungono alcuni specifici ordini del giorno, il primo dei quali impegna il governo a:

"a mantenere la formazione degli insegnanti della scuola secondaria inferiore e superiore nell'ambito delle lauree specialistiche di riferimento per le rispettive discipline (in storia per i futuri insegnanti di storia, in filosofia per i futuri insegnanti di filosofia, e così via);a non attivare alcun tipo di laurea specialistica a carattere didattico-pedagogico quale percorso comune di formazione degli insegnanti" Questa richiesta è motivata dal fatto che "vi sono proposte di vario genere miranti alla istituzione di una laurea specialistica didattico-pedagogica quale unico titolo per accedere all'insegnamento".

Come si vede è ancora "grande la confusione sotto il cielo".
Noi siamo assolutamente d'accordo che non siano istituite general-generiche "lauree specialistiche a carattere didattico-pedagogico", ma ugualmente non vogliamo che si ricada nell' impostazione gentiliana sintetizzabile nelle proposizioni: "Chi sa, sa insegnare" e " Non c'è migliore preparazione professionale di una rigorosa preparazione scientifica". Col che Gentile negava tout court l'esistenza di una specifica professione docente. Infatti perchè l'insegnamento sia una professione esso necessita di un "proprio specifico sapere professionale", esattamente come avviene per qualsiasi altra professione.

La formazione degli insegnanti nei Paesi dell'UE

Il problema della formazione degli insegnanti continua ad essere questione problematica anche negli altri Paesi dell'UE., nonostante molti abbiano già realizzato specifiche riforme. Ci sono studi molto interessanti al riguardo. Ricordiamo l'indagine avviata da Eurydice, di cui esistono già due documenti mentre altri due saranno prodotti tra breve.Si tratta di: "The teaching profession in Europe:profile,trends and concerns: initial training and transition to working life of teachers in general lower secondary education " (settembre 2002) Report I, Report II .
Un altro importante rapporto è il "Green Paper on Teacher Education in Europe" redatto dal TNTEE (Thematic Network on Teacher Education in Europe) del 2000. Il dato comune più preoccupante che si rileva è l'impreparazione delle università a svolgere questo ruolo. La domanda ancora priva di adeguata risposta a livello europeo è :"Chi forma i formatori degli insegnanti?"
Si è infatti in un circolo vizioso: il bassissimo prestigio sociale e professionale degli insegnanti si estende ai docenti universitari che si occupano della loro formazione. Un lavoro di serie B, insomma, al quale pochi aspirano, se non i docenti delle facoltà di scienze della formazione. Senza affrontare qui la questione di fondo -che cosa si debba e si possa fare per innalzare la considerazione sociale, culturale e professionale dei docenti- crediamo che una prima risposta sia quella di non assegnare la formazione degli insegnanti alla sola competenza universitaria. Un grande spazio va dato alle scuole, al sapere professionale degli insegnanti, un sapere che deve essere capitalizzato e diffuso, con l'aiuto sempre più determinante delle nuove tecnologie. Noi affermiamo che nel campo della formazione degli insegnanti e della ricerca didattica va assegnata ai docenti delle scuole pari dignità con quelli dell'università.

E' interessante, nella prospettiva di una sempre maggiore integrazione europea, esaminare come avviene la formazione dei docenti negli altri Paesi dell'UE, e come, in particolare, si combinino studi accademici e preparazione pratico-professionale.
I modelli fondamentali esistenti sono riconducibili a quattro:

  1. "modello contestuale" (concurrent model), nel quale le due componenti della formazione (culturali e professionali) sono studiate e apprese in parallelo.
  2. "modello modulare" ("modularised model"), nel quale, in molti casi, gli stessi studenti possono decidere la sequenza delle varie parti del curricolo.
  3. "modello consecutivo" ("consecutive model"), nel quale gli studi accademici precedono la preparazione professionale
  4. "modello integrato" ("integrated model"), che è centrato sullo studio integrato, teorico e pratico, di temi di rilevanza professionale e di problemi significativi per l'insegnamento ( per esempio "apprendimento fondato sui problemi" o approcci "tematici".)

Purtroppo non sono ancora disponibili ricerche che ci dicano quale/i di questi modelli consegua i migliori risultati.
In tutti i modelli e in tutti i Paesi dell'Unione permangono comunque problemi . Per quanto concerne i docenti della scuola secondaria viene spesso denunciato il fatto che:

  • gli obiettivi relativi agli aspetti professionali della formazione rimangono vaghi.
  • i curricoli, nella maggioranza dei casi, sono organizzati attorno alle strutture delle discipline accademiche, mentre le discipline scolastiche non vengono debitamente analizzate.

Per quanto riguarda la formazione degli insegnanti della scuola primaria, che pure nella maggioranza dei casi risente ancora dell'impostazione delle "scuole normali", le riforme realizzate in alcuni Paesi tendono semplicemente ad introdurre adeguamenti nella direzione del modello tradizionale di formazione dei docenti della secondaria, con l'introduzione dello studio accademico di un certo numero di discipline (v. la Germania) .

Una formazione ispirata a "un nuovo professionismo"

Al di fuori del nostro Paese va comunque messa in rilievo la tendenza in atto da tempo, e dall'ADi sempre sostenuta, che vede la formazione ispirata a un "nuovo professionismo" della docenza. Questa tendenza alla "professionalizzazione" può essere riscontrata nelle riforme degli anni Settanta in Germania, Inghilterra e Galles, in Francia all'inizio degli anni Novanta con l'introduzione degli Instituts Universitaires de Formation des Maitres (I.U.F.M.), nella riforma permanente realizzata negli ultimi vent'anni in Finlandia, nonché nelle innovazioni attuate in alcuni altri Paesi nordici e recentemente nel Portogallo.
Sviluppi simili si possono osservare anche negli Stati Uniti. I principali elementi di questi programmi di formazione professionalizzante vengono così indicati nel Libro bianco ( Green Paper) redatto dalla TNTEE nel 2000:

  • studi nelle scienze della professione docente (quali scienze dell'educazione, didattica e didattica delle discipline, psicologia dell'educazione, sociologia dell'educazione)
  • collegamento di questi studi con la ricerca educativa e con lo sviluppo delle capacità di problem-solving
  • diffusione di un ampio repertorio di pratiche riconosciute valide ai fini dell' apprendimento
  • sviluppo e assunzione di un codice etico-dentologico della professione docente.
  • studi pratici e/o clinici coerenti e monitorati
  • studi approfonditi di un certo numero di campi accademici rilevanti per i curricoli scolastici e insegnamenti di casi particolari

La TNTEE sottolinea anche l'importanza dell'istituzione a livello nazionale di autonomi organismi professionali della docenza (ad esempio I Consigli della Docenza, Teaching Councils,di stampo anglosassone) con il compito di

"garantire e accrescere la qualità della formazione degli insegnanti, di partecipare insieme ad altri partner all'approvazione e all'accreditamento dei programmi di formazione degli insegnanti, e/o alla certificazione delle abilitazioni professionali".

In questo stesso Libro Bianco viene poi sottolineata l'importanza che la formazione dei docenti tenga conto della nuova organizzazione scolastica fondata sull'autonomia e prepari insegnanti competenti sia nella costruzione dei curricoli delle singole scuole autonome sia nelle questioni gestionali.

Le nostre proposte

In conclusione, tornando al nostro Paese, ci preme sottolineare:

  • che la formazione iniziale faccia riferimento a precisi standard professionali definiti a livello nazionale dall'organismo di autogoverno della docenza, che va stabilito per legge
  • che tale organismo partecipi all'approvazione e all'accreditamento dei curricoli di formazione dei docenti
  • che la formazione dei docenti della scuola secondaria avvenga nell'ambito delle lauree specialistiche di riferimento per le rispettive discipline, ma contenga al suo interno anche specifici elementi professionalizzanti
  • che il tirocinio retribuito avvenga attraverso forme di parternariato con le scuole, le quali devono assumere un ruolo preminente anche nella sua valutazione, che dovrà costituire elemento non secondario ai fini del reclutamento.
  • che il "sapere professionale" degli insegnanti sia capitalizzato, sistematizzato e diffuso attraverso l'utilizzo delle nuove tecnologie

Infine ci preme mettere in rilievo quanto la stessa TNTEE evidenzia in modo particolare, e cioè che la formazione iniziale ed in servizio degli insegnanti deve essere un sistema aperto e dinamico, un processo senza soluzione di continuità. La formazione deve sostenere i docenti durante tutte le fasi della carriera, deve cioè costituire uno Sviluppo Professionale Continuo, Continuous Professional Development (CPD).


e) Il reclutamento degli insegnanti

Lo stato giuridico del 1906: il concorso

Nella storia del reclutamento degli insegnanti italiani una data ha segnato una svolta importante, il 1906. Lo stato giuridico del 1906 ha definito infatti con estrema chiarezza che l'immissione in ruolo avvenga per concorso. Il primo articolo di quel Regio Decreto afferma:

"Nessuno può essere nominato insegnante nelle scuole medie governative (ginnasi, licei, scuole tecniche, istituti tecnici e nautici, scuole complementari e normali) e negli istituti pubblici di educazione femminile, neppure come semplice incaricato, [...] se non in seguito a concorsi".

In questo modo veniva tolto quell'ampio margine di discrezionalità nella scelta degli insegnanti che precedentemente era stata riconosciuta al Ministro.
Nonostante quell'importante decisione, frutto delle battaglie dell'associazionismo professionale dell'epoca, il problema del reclutamento dei docenti è rimasto nel nostro Paese assolutamente irrisolto, inficiato costantemente dalla piaga del precariato, il quale, nonostante il susseguirsi di nuove leggi sul reclutamento, ha continuato a richiamare soluzioni tampone e sanatorie. La stessa presenza di "graduatorie permanenti", che ipotecano l'assegnazione del 50% dei posti liberi e disponibili per almeno i prossimi 20 anni, è una contraddizione rispetto alle modalità di assunzione in tutti gli altri servizi pubblici.

Poco aiuta in questa fase guardare all'Europa. Come abbiamo visto, nella maggioranza dei Paesi dell'UE, ci si trova infatti di fronte al problema opposto- una grave carenza di aspiranti insegnanti-.
Uno sguardo comunque alla situazione europea serve a capire quali siano le tendenze prevalenti nelle modalità di reclutamento degli insegnanti, e aiuta a valutare se l'ipotesi ricorrente, di affidare alle scuole l'assunzione dei docenti, sia una via già praticata, e, in caso affermativo, con quali esiti.

Gli organismi che hanno competenza sul reclutamento: uno sguardo all'Europa

L'avvio del decentramento dell'istruzione nella grandissima maggioranza dei Paesi europei ha avuto riflessi sulla individuazione degli organismi competenti a reclutare i docenti. La situazione appare variegata e solo alcuni Paesi hanno imboccato la strada del completo decentramento.
In Francia, in Lussemburgo, in Portogallo e in Norvegia, le autorità centrali continuano a incaricarsi della selezione degli insegnanti; in Grecia, le autorità centrali sono responsabili della nomina degli insegnanti sulla base di una lista in cui ogni anno si iscrivono i nuovi abilitati. In Spagna, dove c'era analoga situazione prima dell'adozione della nuova costituzione, sono ora le Comunità autonome che si occupano della nomina degli insegnanti.
In Germania tale compito è affidato da sempre alle autorità educative dei Länder.
La Svezia, infine, è il Paese dove più si è innovato in questo campo. La responsabilità del personale, compresi il reclutamento e la definizione degli organici, dal 1989 è stata progressivamente trasferita ai Comuni, che attualmente gestiscono il budget dell'istruzione in termini complessivi, senza specifico capitolo di spesa per gli insegnanti.
Anche la Finlandia, dal 1988, ha delegato ai Comuni la responsabilità delle assunzioni. Infine l'esempio estremo di decentramento nel reclutamento del personale resta il Regno Unito, dove da sempre i Consigli di amministrazione (Governing bodies) delle scuole reclutano il corpo docente.

Lo sviluppo sempre più accentuato dell'autonomia scolastica ha riproposto ovunque la questione dell'attribuzione alle scuole della scelta dei docenti, poiché si considera che in questo modo si possa meglio rispondere ai bisogni espressi dalle diversificate offerte formative e impostazioni pedagogiche delle singole istituzioni scolastiche.

La proposta della commissione D'Amore (1997)

La proposta più seria in questa direzione in Italia è stata avanzata nel documento della Commissione D'Amore ( 10 marzo 1997), istituita da Berlinguer il 4 luglio 1996, con l'incarico

"di definire, alla luce dell'art. 33 comma 4 della Costituzione, i possibili collegamenti fra scuola non statale e sistema pubblico di istruzione."

Per quanto concerne l'assunzione dei docenti, quella proposta indicava un sistema unitario pubblico di reclutamento per le scuole statali e non statali che doveva rispondere a due principi:

  • attitudine a svolgere un servizio pubblico nazionale,
  • rispondenza alle esigenze della scuola .

L'iter prevedeva due fasi:

  1. abilitazione vincolata a un numero programmato ed esame di stato a conclusione dell'iter universitario,
  2. concorso per titoli e colloquio presso gli istituti scolastici. In caso di scuole non statali i titoli richiesti non avrebbero mai dovuto configurarsi come adesione a un'ideologia politica o credo religioso.

Quella proposta, come quella più complessiva sulla parità in cui era inserita, fu, come sempre avviene per le buone proposte, abbandonata.

Una buona proposta che necessita di alcune integrazioni

Noi crediamo che quella strada indicata vada perseguita, avendo però prima o contemporaneamente attuato altre riforme:

  • C'è bisogno di una qualificata leadership professionale dentro alle scuole alle quali sia affidata, insieme al dirigente scolastico, competenza anche nel campo della valutazione dei nuovi docenti, dalla fase del tirocinio, a quella del reclutamento, e poi del periodo di prova
  • Deve essere avviato un sistema rigoroso di valutazione delle scuole e degli apprendimenti che costringa l'istituzione scolastica, innanzitutto il dirigente, ad operare scelte esclusivamente in funzione del buon andamento della scuola.
  • Deve esserci un'adeguata preparazione e selezione dei dirigenti scolastici.

Infine deve essere in ogni caso mantenuto il concorso, mai la chiamata diretta, a garanzia dell'imparzialità del servizio pubblico, con commissioni parzialmente esterne alle scuole, e nelle quali, come ormai avviene per l'assunzione di altri professionisti, ci siano anche specialisti di selezione del personale che sappiano valutarne le attitudini all'insegnamento, non solo le conoscenze e competenze. Il concorso dovrà fondarsi sulla verifica degli standard professionali.


f) Carriera e leadership professionale della docenza

Dare applicazione all'art.21 della legge 59/97

L'autonomia scolastica, assurta a norma costituzionale dopo la modifica dell'articolo 117, rende oggi più che mai necessaria la formalizzazione di una leadership professionale dei docenti: una fascia professionale specializzata che sappia esprimere le capacità massime della categoria a sostegno di quella grande "impresa" formativa oggi affidata alle scuole autonome. La legge 59/97 aveva già stabilito che l'attribuzione della dirigenza ai capi d'istituto fosse contestuale all'" individuazione di nuove figure professionali del personale docente". Ma mentre la dirigenza è stata realizzata, la formalizzazione di una carriera docente è rimasta sulla carta .
Questo perseverare nel negare agli insegnanti un'articolazione della loro carriera contrasta con qualsiasi moderna organizzazione del lavoro. Porta ad enfatizzare la figura del dirigente scolastico come manager solitario che concentra su di sé tutte le funzioni. Ma non di un "manager forte" hanno bisogno le scuole autonome per realizzare i cambiamenti quanto di leadership professionali e culturali, diffuse, articolate e collaborative, improntate alla "guida" e non alla "direzione", capaci di superare due modelli ugualmente inadeguati per l'organizzazione scolastica, quello manageriale e quello del leader unico, entrambi più di ostacolo che di stimolo al cambiamento.
Ciò che serve è la costruzione di una leadership a più voci che si prenda cura dell'organizzazione, che stimoli la creazione di "un'intelligenza collettiva", che consenta ai più di imparare a risolvere i problemi.
E' quindi tempo che un nuovo stato giuridico definisca "i contenuti e la specificità" di questa nuova fascia professionale della docenza, così come è stato fatto per i dirigenti scolastici, in attuazione della Legge 59/97. Tutto questo non è paragonabile alle attuali "funzioni obiettivo", per quanto esse possano apparire un primo tentativo nella direzione sopraindicata. I risultati assolutamente deludenti di questa esperienza sono infatti dovuti ad elementi costitutivi che sono in contrasto con quanto è stato qui ipotizzato.

Basti pensare che:

  • sono state declinate le aree di intervento senza nulla aver previsto circa le competenze necessarie e la loro rigorosa certificazione,
  • si è pensato di poter formare tali competenze mediante corsi abborracciati e tardivi,
  • è stato stabilito un meccanismo elettivo per l'attribuzione degli incarichi anziché selettivo e di merito,
  • è stato previsto un riconoscimento economico miserevole.

Fra i Paesi dell'UE quello che più di altri ha sviluppato una diversificata leadership professionale è il Regno Unito, a partire dal Libro Bianco sugli insegnanti , The Green Paper Teachers: meeting the challenge of change, una riforma complessiva della professione docente avviata alla fine del 1998 e ora in fase di avanzata attuazione.

Le principali figure che compongono la leadership professionale

Compete allo stato giuridico definire le figure fondamentali che fanno capo a questa fascia specialistica, formularne le funzioni, le modalità di selezione, che devono essere concorsuali e fondate su standard professionali specifici per le diverse figure. Indichiamo le seguenti figure.

  • Il vicario.
    Di fronte alle crescenti responsabilità che vanno accumulandosi sulla figura del dirigente, riteniamo che una soluzione corretta debba essere quella di prevedere una figura intermedia , il vicario, il quale, come avviene in altri Paesi, sia appositamente formato e selezionato tramite procedura concorsuale e diventi il primo gradino della carriera dirigenziale scolastica. Un supporto qualificato ad una gestione complessa

  • I docenti guida.
    Si tratta di insegnanti che intendono rimanere profondamente legati all'insegnamento e al loro ambito disciplinare, i quali, per esperienza, per preparazione culturale e professionale, sono in grado di aiutare i colleghi a svolgere meglio l'attività di insegnamento.
    Le funzioni che sono chiamati ad assolvere tramite procedura concorsuale possono essere così sintetizzate:
    1. Assistenza e formazione dei docenti tirocinanti
    2. Supporto e guida ai supplenti e agli altri docenti per l'organizzazione della classe, i metodi di insegnamento e gli strumenti di verifica e valutazione, relativamente al proprio ambito disciplinare
    3. Produzione e disseminazione di risorse e materiale didattico di qualità, delle pratiche didattiche e delle ricerche più significative
    4. Partecipazione alla costruzione della formazione in servizio
    5. Partecipazione alla valutazione dei tirocinanti, dei supplenti, degli altri docenti
    6. Supporto anche ad insegnanti di altre scuole in rete
  • I responsabili di Dipartimento.
    I Dipartimenti monodisciplinari saranno costituiti solo in scuole secondarie di grandi dimensioni e solo per alcune aree disciplinari. Negli altri casi i dipartimenti andranno presumibilmente considerati su più scuole. Nel caso della scuola dell'infanzia e primaria possono corrispondere a una singola scuola di piccole dimensioni. Le funzioni del responsabile di dipartimento sono così sintetizzabili:
    1. assicurare coerenza ed affidabilità alla programmazione didattica, alle verifiche e alla valutazione degli apprendimenti nelle discipline che fanno capo al dipartimento
    2. contribuire alla definizione degli obiettivi educativi e didattici comuni del dipartimento, dei progetti interdisciplinari e più in generale del POF
    3. gestire le procedure per gli acquisti e assicurare l'agibilità delle infrastrutture
    4. convocare e gestire le riunioni del dipartimento
    5. partecipare alla valutazione dei docenti e contribuire alle procedure di autovalutazione d'istituto.
  • Docenti ricercatori nei centri territoriali.
    Centri territoriali, centri di risorse, scuole polo, centri di documentazione, sono i termini diversi usati in questi anni per indicare una stessa prospettiva: realizzare e rendere stabili strutture di riferimento per gli insegnanti sul territorio che siano strumenti per un efficace sistema di sviluppo professionale. Ci sono a questo proposito diversi riferimenti sia nazionali (in alcuni contesti locali) sia internazionali, alcuni di vera eccellenza. Si tratta ora di istituzionalizzare questi centri contestualmente alla definizione delle condizioni normative dei docenti che dovranno esservi assegnati . In questo contesto andrebbe profondamente rivista la funzione degli IRRE.


6. In conclusione due questioni cruciali: dirigenza e aree separate

Reinventare la dirigenza scolastica

Ci sono due buoni motivi perché ci sia concesso di intervenire in tema di "dirigenza scolastica". Il primo è di carattere professionale. La dirigenza scolastica, fino a prova contraria, costituisce uno sviluppo della carriera docente, in quanto solo chi ha svolto alcuni anni di insegnamento nella scuola può aspirare a quel ruolo. Da questo punto di vista è quindi non solo giusto, ma doveroso occuparsene.
Il secondo motivo è che tutte le ricerche internazionali hanno finora messo in risalto come una buona dirigenza scolastica sia determinante ai fini dei buoni risultati degli alunni, della coesione dei docenti, dello sviluppo di un clima collaborativo nelle scuole.
Una bella ricerca condotta negli USA nell'ottobre 2000 dallo IEL (Institute for Educational Leadership) dal titolo significativo "Reinventare la dirigenza" ha messo in evidenza come, dopo anni di sbornia managerialistica, sia oggi indispensabile cambiare rotta:

"la priorità assoluta è che la dirigenza scolastica diventi una leadership finalizzata all'apprendimento"

e aggiungeva che

"Le scuole stanno andando alla deriva proprio perchè sono prive di una chiara "leadership per l'apprendimento".Oggi non esistono capi d'istituto che abbiano le competenze necessarie per affrontare questo compito, per questo occorre "reinventare la dirigenza scolastica" per far fronte ai bisogni delle scuole del XXI secolo."

E prosegue:

" Il ruolo dei capi d'istituto nel miglioramento dell'insegnamento e dell'apprendimento è assolutamente cruciale . I capi d'istituto devono innanzitutto rappresentare una guida nei confronti dell'apprendimento degli studenti. Devono conoscere i contenuti dei curricoli e le tecniche pedagogiche. Devono lavorare con gli insegnanti per rafforzarne le competenze. Devono raccogliere, analizzare e utilizzare i dati in modo da favorire l'eccellenza. Devono saper convogliare l'impegno di tutti (studenti, insegnanti, genitori, servizi sociali e sanitari, gruppi giovanili, imprese locali e associazioni) verso il comune obiettivo di innalzare il rendimento degli studenti. E devono avere conoscenze e competenze di leadership per esercitare con autonomia e autorevolezza queste strategie."

Come sempre in Italia, arriviamo buoni ultimi e stiamo ora percorrendo strade che altri sono determinati ad abbandonare. Per tutto questo consideriamo che sarebbe un grave errore togliere specificità alla dirigenza scolastica, staccarla completamente dalla funzione docente, farla rientrare nella più generale Dirigenza amministrativa. Un errore grave che non può essere lasciato alla sola contrattazione e alla sola competenza dei capi d'istituto. E' questione che coinvolge il buon funzionamento delle scuole. E' tema generale e non settoriale di categoria, è pertanto importante che su questo, come sulla questione docente, si apra un dibattito a tutto campo.
Noi crediamo che vada definitivamente sciolta un'ambiguità che ci portiamo dietro dal momento in cui è stata data la dirigenza ai capi d'istituto con contrattazione separata solo per loro, quando l'articolo 21 prevedeva invece contrattazione separata per le diverse aree del comparto scuola.

Le alternative sono solo due. O si trasferisce alla scuola il modello delle ASL che vede un direttore generale e due direttoti tecnici, uno sanitario e uno amministrativo, e in tal caso il direttore generale non è necessariamente un tecnico della sanità. Secondo questo modello nella scuola ci sarebbe un dirigente generale, anche totalmente estraneo al mondo della scuola, affiancato da un dirigente didattico e da uno amministrativo.. Noi non siamo per questo modello .

L'altro modello, quello che sosteniamo e che è peraltro in vigore in tutti i Paesi dell'UE, prevede che il dirigente scolastico sia uomo di scuola ed abbia come ruolo preminente la responsabilità di tutta l'organizzazione in funzione degli apprendimenti. In tal caso il dirigente scolastico, così come la leadership professionale intermedia dei docenti devono essere collegati all'insieme della funzione docente e costituirne sviluppi di carriera, non aree separate. Ci preoccupa il fatto che proprio ora, un'associazione di presidi abbia espresso l'intenzione di staccare dal resto della funzione docente anche l'eventuale fascia specializzata degli insegnanti, avviando un' intollerabile gerarchizzazione e frattura entro la funzione docente.
Non di questo la scuola ha oggi bisogno.

Un nuovo stato giuridico unitario che ricomprenda tutti i ruoli che si rifanno alla docenza
Una contrattazione articolata in autonome aree, ma unitaria nella finalità

Alla luce di quanto sopra esposto la nostra proposta quindi è che la funzione docente e tutti i suoi sviluppi, dalla fascia specializzata intermedia, alla dirigenza scolastica fino agli ispettori, siano ricompresi in uno stato giuridico unitario com'era nel DPR 417/74. E che contemporaneamente per l'aspetto contrattuale si dia esecutività al comma 17 dell'art.21 legge 59/97, che così recita: "Il rapporto di lavoro dei dirigenti scolastici sarà disciplinato in sede di contrattazione collettiva del comparto scuola, articolato in autonome aree". Dunque differenziazione nell'unitarietà.