Alcuni nodi problematici
nella definizione di un nuovo stato giuridico

Testo della relazione tenuta dal cons. Sergio Auriemma 
Procura Generale della Corte dei Conti


1. Possibili itinerari di riflessione

Oggetto elettivo di questo incontro di studio è la configurabilità di  un nuovo “stato giuridico”  della professione docente.    Ritengo sia possibile, nel trattare il tema, immaginare almeno 3 diversi  percorsi o itinerari di riflessione:

  1. un  itinerario politico-istituzionale
    esso presta riguardo agli indirizzi ministeriali maturati in proposito, nonché al tema del federalismo oggi all’attenzione delle forze politiche  
  2. un itinerario funzionale-contenutistico
    esso si interroga intorno alle esigenze, ai bisogni di funzionalità  indotti dai  recenti e consistenti  processi di innovazione
  3. un  itinerario  giuridico-normativo
    si sofferma su  alcuni  nodi di regolazione  da  affrontare.

Personalmente sono indotto a  seguire il terzo percorso, quello  giuridico-normativo.

Ciò, si badi,  non soltanto perché esso è il più congeniale alle mie competenze, ma  anche perché :

  • è un cammino di riflessione che in buona misura rimane indifferente all’assetto ed alla dislocazione   – centralizzata o decentrata –  delle competenze legislative in materia di istruzione. Ciò comporta che solo minimamente e marginalmente è destinato ad essere coinvolto da questioni oggi tanto accese e controverse nel dibattito politico.
  • è un percorso di approfondimenti multiforme, polivalente, permette di cogliere contemporaneamente numerosi aspetti utili.

Si tratta, tuttavia, di percorso abbastanza arduo, di strada  che si inerpica  tutta in salita.

Chi parla di leggi, di norme, di diritto, non solo affronta argomento  ostico e qualche volta anche arido, poco suggestivo,  poco affascinante,  ma corre un rischio aggiuntivo. Oggi, più che mai,  può apparire sostenitore di puro legalismo, di  intralci giuridici al libero esplicarsi delle relazioni umane e sociali. 
Verità,  tuttavia, è che qualsiasi questione o ipotesi riformatrice     – come la nostra –   alla fine  si imbatte nella necessità di stabilire regole formali, norme, semmai  riscrivendo quelle già esistenti.

Ecco allora che torna prepotente alla ribalta   il tanto vituperato “diritto”   ed anche un semplice tecnico, come me, può forse contribuire ad offrire qualche spunto o suggestione concettuale.    
Del resto, risalta in ogni caso, innegabile,  un’utilità marginale offerta dal discorso giuridico:  per  poter leggere  i resoconti parlamentari   (relativi al disegno di legge  “Moratti”  sui livelli essenziali per la fruizione del diritto allo studio;  relativi al  disegno  di legge “La Loggia” sull’attuazione della legge n. 3/2001 e la riforma del Titolo V della Costituzione; relativi al disegno di legge “Bossi”  sulla devoluzione)   e per  seguire con consapevolezza le attuali discussioni politiche è indispensabile possedere qualche cognizione giuridica o di diritto.


2. La soglia tra regolazioni "per legge" e "per contratto"

La linea destinata a segnare il confine tra fonti di legge e contratti collettivi     cioè l’individuazione delle materie attinenti al cd. “rapporto di lavoro”, suscettibili di   regolazione da parte della contrattazione collettiva –    è molto sottile e di difficile rilevazione. Criteri direttivi dettagliati e chiari  furono inseriti, a suo tempo, nell’articolo 2 della legge-delega n. 421/1992.

Esso, per la parte che qui interessa, così recitava  :

Sono regolate con legge, ovvero, sulla base della legge o nell'ambito dei princìpi dalla stessa posti, con atti normativi o amministrativi, le seguenti materie:

  1. le responsabilità giuridiche attinenti ai singoli operatori nell'espletamento di procedure amministrative;
  2. gli organi, gli uffici, i modi di conferimento della titolarità dei medesimi;
  3. i princìpi fondamentali di organizzazione degli uffici;
  4. i procedimenti di selezione per l'accesso al lavoro e di avviamento al lavoro;
  5. i ruoli e le dotazioni organiche nonché la loro consistenza complessiva. Le dotazioni complessive di ciascuna qualifica sono definite previa informazione alle organizzazioni sindacali interessate maggiormente rappresentative sul piano nazionale;
  6. la garanzia della libertà di insegnamento e l'autonomia professionale nello svolgimento dell'attività didattica, scientifica e di ricerca;
  7. la disciplina della responsabilità e delle incompatibilità tra l'impiego pubblico ed altre attività e i casi di divieto di cumulo di impieghi e incarichi pubblici.

In attuazione della surriportata delega  (effettuata ad opera del decreto n. 29/1993 e successive modificazioni, fino al decreto n. 165/2001)  si è assistito ad un progressivo  superamento  – sotto più profili –  delle chiarissime delimitazioni impresse dal legislatore delegante del 1992. 

Per materie testualmente incluse tra quelle “riservate” alla legge (es. responsabilità giuridiche, tra cui quella “disciplinare”; principi fondamentali di organizzazione degli uffici e, dunque, delle “funzioni”;  ruoli e dotazioni organiche; garanzie della libertà di insegnamento)  si è, infatti,  assistito a progressivi spostamenti verso la contrattazione collettiva, con sovrapposizione di interventi regolatori,  che hanno portato sino alla situazione odierna.

Oggi è divenuto difficoltoso individuare il puntuale solco di demarcazione tra ambiti di competenza della legge ed  ambiti coperti, anche di fatto, dalla contrattazione (a sua volta nel comparto scuola sub-articolata, non proprio organicamente, su livelli persino più numerosi di quelli esistenti in altri settori).     

Se la situazione così creatasi era   – tutto sommato –    sostenibile entro un assetto statale centralistico, lo è molto meno oggi, mentre ci si avvia verso un contesto ordinamentale  policentrico e diffuso  tra  varie autonomie (normative, ma anche gestionali)  regionali e locali. 

A seguito della riforma del titolo V della Costituzione e di fronte alla necessità di fissare  “norme generali” sull’istruzione,   più evidenti e numerosi diventano i punti di frizione e più stridente l’attrito tra regolazione generale per legge  (che assicura soglie di uniformità) e fonti regolatrici di livello territoriale più ristretto o, addirittura, di natura giuridica diversa.   

Il punto critico, ovviamente,  non risiede nella  polverizzazione in sé delle discipline regolatrici, quanto piuttosto nel pericolo che si pervenga al culmine di una totale  ingovernabilità  del  Sistema istruzione.

In altre parole, è arduo oggi persino individuare un  “nucleo”  sufficiente e ragionevole sul quale innestare la normazione generale, intorno cui possano poi liberamente esplicarsi le varie autonomie  (locali, contrattuale o pattizia, delle singole scuole).        

Il rischio di una difficile governabilità, si badi, al momento interessa lo Stato ma, qualora si intendesse accedere a devoluzione del Sistema a totale favore delle autonomie regionali o provinciali “speciali”  (a loro volta centralizzate), resterebbe identico e immutato anche per queste ultime.


3.
Le due ipotesi di riforme cosiddette "federaliste"

E’ noto  che la legge costituzionale n. 3/2001 ha riformato il Titolo quinto della Costituzione, lasciando inalterata la prima parte  (segnatamente l’articolo 33).
A proposito di scuola, l’art. 33 (testo tuttora vigente) continua a recitare  :  “La Repubblica detta le norme generali sull’istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi.”

Una prima disarmonia normativa  (i tecnici del diritto la definirebbero  “antinomia”) si coglie raffrontando la disposizione succitata con il nuovo articolo 114 della Costituzione, che recita : La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato.”

Mediante semplice operazione materiale, se alla locuzione “Repubblica” presente nell’art. 33  si volesse sostituire la nuova articolazione delle componenti  di cui all’art. 114,  si potrebbe desumere che all’adozione di “norme generali” sull’istruzione ed alla istituzione di  “scuole statali” devono ora provvedere “Comuni, Province, Città metropolitane, Regioni e Stato.”

 Non meno problematica ed incerta è la lettura dell’art. 117 nel testo riformato.

Posso fare, in proposito ed in questa sede,  soltanto due succinti e rapidissimi esempi :

  • §         la  “salvaguardia”  del principio di autonomia delle scuole

Nel disciplinare la competenza legislativa  “concorrente”  delle Regioni  (cioè la facoltà per le Regioni di emanare leggi su di una materia, l’istruzione,  nel rispetto di  principi fondamentali fissati dalla legislazione statale) il nuovo art. 117 ha utilizzato l’espressione   “…salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche”. 

Orbene il vocabolo “…salva”  può significare “rispettata in ogni caso”, ma potrebbe voler dire “ad eccezione”.

E’ evidente la consistente diversità logico-giuridica tra le due opzioni interpretative.

Nel primo caso  (osservanza dell’autonomia),  la legislazione concorrente delle Regioni dovrebbe appunto rispettare il vincolo autonomistico.

Nel secondo caso, invece, l’autonomia delle scuole,  in quanto collocata come eccezione  nell’ambito di un’elencazione di materie di cui al comma 3 dell’art. 117, rifluirebbe automaticamente tra le materie oggetto di potestà legislativa esclusiva e residuale delle Regioni,  come sancita dal successivo comma 4 dello stesso articolo 

  • §         la distinzione tra “norme generali”, “principi fondamentali”, “livelli essenziali delle prestazioni”

La giurisprudenza costituzionale maturata a proposito di competenze legislative regionali, sin dagli anni settanta,  ha fornito numerosissime indicazioni interpretative per  individuare le normazioni di tipo  “generale” (cioè quelle che non scendano in dettagli particolareggiati), nonché i cosiddetti  “principi fondamentali”  dell’ordinamento giuridico.  Si aggiungono ora i  cosiddetti “livelli essenziali”,  disegnando un  tessuto di elementi importantissimi, perché idonei ad assicurare il mantenimento dell’unitarietà ordinamentale e di Sistema e, nel contempo, a non interferire pesantemente nella sfera riservata alle autonomie locali, che potrebbe restare compressa e compromessa.  La legge n. 3/2001 non reca alcun elemento chiarificatore in proposito. 

A questo punto credo si possa senz’altro dire    - a  voler essere indulgenti  -   che il testo di riforma del Titolo V della Costituzione (noto come riforma “Bassanini”,  confluita nella legge costituzionale n. 3/2001) appare redatto in maniera tecnicamente superficiale, imprecisa, non senza ambiguità lessicali.

Esso presenta varie asimmetrie e qualche disordine tecnico-redazionale;  ed è notorio che tali incertezze, se non risolte preventivamente in sede politica  (attraverso una sorta di interpretazione  condivisa o concertata  tra Stato e singole Regioni), potranno condurre, come in buona misura sta già avvenendo,  a conflitti colmabili solo per via interpretativa, innanzi la Corte costituzionale.

Prima di proseguire oltre e passare ad esaminare la nuova ipotesi riformatrice (disegno di legge n. 1187, noto come disegno “Bossi” sulla devoluzione) devo fare due precisazioni :

  1. non sono un  “politico” e non  sono perciò in grado di cogliere le ragioni,  come è stato detto in Parlamento, che fanno individuare l’esistenza,  sull’intero territorio nazionale, dalla Sicilia a Venezia,  di una  specie di  “propensione nazionale diffusa  ad  ulteriori e più intensi sviluppi federalisti
  2. da tecnico del diritto devo, invece,  convenire sul fatto che talvolta  le  “debolezze lessicali” dei testi normativi, specie quelli costituzionali, rappresentano contemporaneamente  “una forza”, perché permettono di adeguare dinamicamente le norme alle evoluzioni della società.   Le norme costituzionali, quando utilizzano formule lessicali rigide e di significato non estensibile,  cristallizzano regole che,  per poter essere adattate all’evoluzione delle società,  necessitano di modifiche successive, di continui rimaneggiamenti.   

Questo duplice risvolto, positivo e negativo, può dunque valere per alcune  imprecisioni presenti sia  nell’attuale, sia  nel futuro ed ipotizzabile testo dell’art. 117 della Costituzione.   Occorre però, in tutti i casi, fare i conti con le genericità e le indeterminatezze definitorie,  almeno per capirne la portata.

Dell’attuale testo (legge n. 3/2001) e delle sue ambiguità lessicali e definitorie  ho già fatto cenno.

Quanto al nuovo  (disegno di legge n. 1187), credo sia utile osservare che :  

  • §   aggiunge un nuovo comma al testo attuale dell’art. 117, ponendo perciò inevitabilmente problemi di coerenza complessiva all’interno di un unico, medesimo articolo della Costituzione
  • §   utilizza ulteriori locuzioni lessicali, anch’esse di incerto significato giuridico

Ancora una volta,  gli esempi praticabili in questa sede sono necessariamente sommari e rapidi.

Mi limito ad elencare, di seguito, talune espressioni sottolineate, riportando tra parentesi gli interrogativi che esse possono alimentare. 

Premesso che il disegno di legge 1187 attribuisce alle Regioni competenza legislativa esclusiva riferita ad alcune materie, le espressioni lessicali da esaminare sono :

attivano  (vuole dire esercitano ? ed in quale rapporto l’esercizio di potestà legislativa esclusiva si porrà con il precedente art. 116, che già ha previsto un regionalismo differenziato nella materia della “istruzione”,  sebbene con procedura rinforzata ?)

competenza esclusiva   (l’aggettivo “esclusivo”  è utilizzato in senso proprio, oppure nel senso di competenza “residuale” rispetto a quella statale ?)

materie   (gli argomenti indicati -  organizzazione, gestione, programmi – sono materie distinte rispetto alla cd.  “istruzione”,  oppure sono soltanto  sub-articolazioni della stessa materia?  Ed in quale rapporto si pongono con i cd. livelli essenziali di fruizione del diritto allo studio, da garantire?)

organizzazione   (l’espressione è usata in senso tecnico, quindi è riferibile ad “organi”  che operano nel mondo della scuola, oppure concerne la sola struttura organizzativa nell’erogazione del servizio ?)

gestione degli istituti   (il vocabolo “gestione” è utilizzato in senso tecnico   – quindi comprensivo delle cosiddette  “risorse personali”   e dello stato giuridico del personale  -  o si riferisce unicamente alla gestione delle “risorse reali”, quali finanziamenti e patrimonio?) 

parte dei programmi di interesse specifico delle Regioni   (l’interesse specifico regionale è una dimensione avente valenza  contenutistica    – dunque astrattamente  illimitata –   oppure si muove entro limiti quantitativi da definire previamente ? ) 


4. I cosidetti "livelli essenziali" delle prestazioni

Il nuovo testo dell’art. 117 Cost. spinge a dover definire ed individuare,  con maggiore precisione rispetto al passato, talune  nozioni rappresentate da :  

  • i  principi fondamentali, desumibili dalle leggi statali vigenti in ciascuna materia  
  • i  livelli essenziali delle prestazioni concernenti taluni “diritti”, da garantire  sull’intero territorio nazionale.

Entrambi, “principi” e “livelli essenziali”,  sono  vincoli  da rispettare  nell’esercizio delle competenze legislative regionali, siano esse esclusive (ad esempio nella materia dell’istruzione e formazione professionale) oppure  concorrenti (ad esempio nella  materia dell’istruzione).

 L’enucleazione definitoria dei “vincoli” che i legislatori regionali devono osservare nell’esercizio delle loro competenze     oggi tema centrale all’attenzione di tutte le forze politiche -    rappresenta dunque lo  snodo cruciale per il futuro assetto del Sistema di istruzione e di formazione nel nostro Paese.

 I cosiddetti  “livelli essenziali di prestazioni”  non sono una “materia” riservata  allo Stato, ma una competenza trasversale, esercitabile su tutte le materie coinvolgenti diritti e prestazioni da garantire.

 Il legislatore statale, quindi, può individuare il contenuto essenziale di taluni diritti civili e sociali (tra cui è annoverabile il diritto all’istruzione), valido per l’intero territorio nazionale ed il legislatore regionale, pur esercitando proprie potestà legislative, persino piene ed esclusive, non potrà mai limitare o condizionare tale contenuto.   
In sede di discussione parlamentare sul disegno di legge 1187   (riforma  “Bossi”)   è stato detto che la Corte costituzionale non ha avuto ancora modo di pronunciarsi sulla già introdotta riforma del Titolo V della Costituzione  (riforma “Bassanini”).

  L’asserzione è inesatta.

  Sia pure per un settore specifico  – quello sanitario -   è già  disponibile un’ importante pronuncia, che aiuta a comprendere il concetto dei cd.  “livelli essenziali”.  

Si tratta della sentenza n. 282/2002. 

 Ebbene - rinviando per il resto ad una più attenta lettura dell’intera sentenza - si può fare brevissimo cenno in questa sede a taluni aspetti concettuali interessanti.

Il settore della pratica medica, è noto, è presidiato da principi di autonomia “professionale”  similari, entro certi limiti,  alla cd. autonomia professionale dei docenti.

  In entrambi i casi si è al cospetto  :

  • di prestazioni professionali aventi un  “contenuto tecnico” 
  • di prestazioni professionali riguardanti un   “diritto civile o sociale”, protetto a livello costituzionale (diritto alla salute e diritto all’istruzione).  

Ebbene la citata sentenza n. 282/2002,  riferendosi alla pratica medico-professionale,  precisa, tra l’altro, che  interventi legislativi, statali o regionali, non possono  “…nascere da valutazioni di pura discrezionalità politica dello stesso legislatore”,  ma devono  “...prevedere l’elaborazione di indirizzi fondati sulla verifica dello stato delle conoscenze scientifiche e delle evidenze sperimentali acquisite”.

 E’ forte, dunque, il richiamo :

  • a linee generali di indirizzo e di guida in tema di  “standard”
  • che siano basate su conoscenze e acquisizioni oggettive e scientifiche
  • che siano valutate e dettate da appositi organismi
  • che non siano rimesse unicamente  alle definizioni legislative, oppure, di contro, alla libera, autonoma, personale iniziativa dei singoli operatori

5. Contenuti "tecnici" della prestazione e "codice deontologico"

Ho avuto occasione di leggere recentemente un  documento  – credo stilato  a cura del CNPI –  sul   “codice deontologico”  dei docenti.
Senza poterne qui fare un’esegesi approfondita, vorrei portare in evidenza alcuni punti.

  Sarebbe possibile, ancora una volta, svolgere numerose considerazioni sul piano tecnico giuridico e sottolineare profili    – talvolta oggettivamente imprecisi –   disseminati qui e là nel testo del documento.   
Le suggestioni sono molte e indurrebbero a soffermarsi :  

  • sul concetto della “autonomia  professionale”.   Essa,  quanto più è alta, tanto più  suggerisce l’adozione di un codice deontologico  (si pensi alle libere professioni; si pensi alle attività istituzionali in comparti ad alta autonomia, quale ad esempio quello magistratuale)
  • sul concetto della “libertà di insegnamento”,    che è interesse  “oggettivo”, oltre che “soggettivo” del prestatore della professione 
  • sul concetto della “diligenza” nelle prestazioni  (che sono contrattuali: dunque diligenza professionale art. 1176 c.c.)
  • sul  concetto della  “perizia professionale”,   che non è tanto abilità soggettiva, ma in senso oggettivo, significa impiego di adeguate  nozioni tecniche, di buone pratiche professionali
  • sul concetto, con riferimento alle prestazioni professionali, della cd. “obbligazione” di mezzi e non di risultato, che impedisce si possa parlare di controllo sulle prestazioni, come già chiaramente indica il decreto legislativo n. 286/1999
  • sul concetto della “responsabilità disciplinare”, che non è profilo privilegiato  cui tendono le declaratorie di un codice deontologico,  essendo quest’ultimo mirato invece a tutelare autonomia, dignità e autorevolezza nell’esercizio della professione
  • sulle necessità che suggeriscono l’adozione  - nel comparto scolastico – di un codice deontologico, non derivanti soltanto dall’autonomia scolastica, dalla contrattualizzazione del rapporto di lavoro o dal nuovo modo di fare scuola,  ma, ancor più,  dai processi di decentramento delle potestà legislative in corso    

Ne scelgo soltanto una.

Le indicazioni deontologiche non rimangono  al di fuori  del sistema delle fonti di diritto, non hanno natura seccamente extragiuridica,  perché sono in grado di predisporre e fornire indicazioni aventi una qualche valenza giuridica.

Talune dottrine   -  le più attuali e le meno storicamente datate –    le collocano  tra le fonti   “infralegislative”  o   “paranormative”,  capaci di integrare  cosiddette “norme elastiche” (cioè norme di diritto positivo generali e prive di dettagli regolatori).

La giurisprudenza, anche recentissima, usa dire che assumono efficacia giuridica, una forza “autovincolante”, in quanto condizionano all’interno l’esercizio delle professionalità,  proprio con riferimento a professioni connotate da forte autonomia, anche presidiata dalla Costituzione  (es. avvocati, medici, magistrati).


6. Considerazioni conclusive: i "veri" nodi da sciogliere

Le riflessioni surriportate, per quanto succinte e apparentemente tra di loro frantumate, possono offrire spunti organici per condurre approfondimenti ed indagini concettuali più penetranti su taluni punti  “nodali”  che è necessario affrontare per giungere ad una ridefinizione dello stato giuridico-professionale.    

Confidando nell’ attenta ed esperta capacità elaborativa della categoria professionale quanto ai contenuti tecnici,  credo che i nodi della regolazione giuridica si riducano invece fondamentalmente a:

  • la rivalutazione della linea di discrimine tra fonti normative e contratti collettivi
si tratta di discrimine tuttora vigente, difficile ad individuarsi ma, non per questo, da superare a piè pari.
  • la necessità di  scrittura di   “buone regole” 
le norme non sono mai  “fine”, ma soltanto  “strumento”  per raggiungere fini umani.   Scrivere norme chiare e corrette, non antinomiche tra loro, però, è precetto ineludibile se si vuole che le persone, con impegno, si diano a raggiungere efficacemente i fini prescelti e assegnati.
  • l’individuazione di  organismi adatti alla definizione di regole deontologiche
non necessariamente collegi o ordini o corpi professionali, né approvazioni referendarie (ignote a qualsiasi altra professione), ma sicuramente organi da ripensare globalmente e profondamente  (dunque andrebbe profondamente rivisitato il decreto legislativo n. 233 del 1999  e  attentamente  meditata  anche  la  prevista riforma degli organi collegiali interni alla scuola).

Bologna, 30 novembre 2002