C'è una data all'inizio degli anni Ottanta che segna ufficialmente l'avvio di quel processo di deprivazione della specificità professionale degli insegnanti che ha assunto il nome di "impiegatizzazione": il 29 marzo 1983, varo della Legge Quadro sul Pubblico Impiego (legge n. 93/83). Una legge voluta dalle Confederazioni in nome del "disboscamento della giungla retributiva", che sul versante scolastico produsse l'omologazione dei maestri al 6° livello impiegatizio e dei professori al 7°, il più basso dei laureati nel Pubblico Impiego, all'interno di un Comparto nel quale tutto il personale scolastico, dagli insegnanti ai bidelli, dagli applicati ai capi d'istituto, fu inquadrato sulla base di istituti normativi e retributivi omogenei, dalla progressione economica fino all'aggiornamento professionale. Contemporaneamente venne reciso il fertile legame esistente fra la docenza della scuola secondaria e quella universitaria.
Tutto questo avveniva in una fase di declino della scolarizzazione (dovuto al calo demografico), di progressiva contrazione degli organici e di conseguente invecchiamento del corpo docente, entro una situazione generale sociale ed economica in cui si consumava definitivamente la crisi del modello industriale, ossia veniva meno la centralità operaia e si concludeva la strategia del "sindacato antagonista".
Sul versante delle riforme scolastiche l'evento più importante è il varo dei nuovi programmi della scuola elementare, che porrà le basi per la riforma del 1990, una riforma in cui si registrerà un'altra costante di quell'impostazione sindacale che rimane il più serio impedimento all'affermazione del professionismo della docenza, il "gonfiamento degli organici", il persistente utilizzo, cioè, della scuola come sacca della disoccupazione intellettuale.
È in questa situazione complessiva che si registra, non solo in Italia, una crescente disaffezione degli insegnanti verso i sindacati, considerati incapaci di dare risposte ai loro problemi. I sindacati appaiono cristallizzati e associati fino in fondo alla gestione del potere scolastico, e perciò complici di quella perdita di prestigio sociale e di riconoscimento economico che vede maestri e professori collocati negli ultimi gradini della scala salariale, nella quale, come verrà sottolineato, anche i postini li sopravanzavano.