Ma per tutto questo, quale didattica nel concreto della classe?
La nostra partenza è stata dalla letteratura, abbiamo esplorato quelle che potevano essere le teorie più idonee. Una decina ci hanno convinto più delle altre: le abbiamo sperimentate in classe e quasi tutte per almeno un anno.
Molti sono i punti in comune fra queste teorie: sperimentandone una indirettamente si mettono in gioco prospettive di altre.
Il costruttivismo socioculturale di Vigotsky, il Discovery Learning di Bruner, la teoria della flessibilità cognitiva di Rand Spiro. Questa, poco diffusa, ci ha fornito molti spunti interessanti. L’abbiamo sperimentata a partire dai lavori di D. Jonassen e ispirandoci intensamente alla sua matrice culturale, “Ricerche filosofiche” di Wittgestein. Spiro prende le distanze dall’approccio pedagogico tradizionale, propone una teoria dell’apprendere e dell’insegnare che si concentra su domini di conoscenza scarsamente strutturati, caratterizzati da notevole complessità, e nei quali si propone di arrivare alla costruzione di una conoscenza avanzata. E’ il nostro terreno preferito, il recupero di quell’idea di complessità, incertezza e indeterminazione molto vicine al pensiero quantistico.
A seguire le teorie dell’Apprendistato Cognitivo, l’Anchored Instruction di Brandsford, la teoria le Intelligenze Multiple di Gardner, i Micromondi di Papert, il Learning by Doing di R.Schank ed soprattutto la PBL,Problem Based Learning e Problem Based Project.
Dunque, siamo partiti dalla letteratura, non da un fai da te molto diffuso ma scarsamente produttivo. Se voglio studiare un moto, le leggi di Newton rappresentano il punto di partenza senza doverle reinventare. E’ una buona educazione per una buona scuola.
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