SEI SCENARI DELLA SCUOLA DEL FUTURO

Commento ADi


Proponiamo un commento della relazione introduttiva svolta da David Istance (CERI/OCSE) al Forum del Consiglio della BIE (Bureau International de l’Education - Ufficio Internazionale dell'Educazione-UNESCO) tenutosi il 29-31 gennaio 2003 sul tema “Quali scenari per l’educazione/formazione dei giovani, oggi e domani?” A partire da questi 6 scenari molti Stati hanno delineato i propri.
Sono, per esempio, avvincenti quelli canadesi e interessanti quelli inglesi prospettati tra gli altri da uno dei giovani guru del primo governo Blair, Tom Bentley.


L’OCSE ha sviluppato sei scenari per la scuola del futuro , raggruppati in tre categorie principali :

  • “il tentativo di mantenere lo status quo”,
  • “ri-scolarizzazione” o rilancio della scuola,
  • “de-scolarizzazione”.

E’ ovvia la precisazione che nessuno di questi scenari emergerà in forma pura, in ogni caso immaginarli serve a chiarire opzioni, valori e alternative.


Gli scenari prospettati sono come porte sul futuro. La prima è una porta girevole,entrando dalla quale si è condannati a ritornare sempre al punto di partenza: lo status quo con il suo esplosivo carico di problemi irrisolti.Le ultime due porte ci farebbero precipitare in un contesto dove non c’é più traccia della scuola, ma solo un mercato senza regole condivise, oppure un labirinto di reti virtuali. Un percorso interessante parrebbe svilupparsi aprendo la porta 2a “Le scuole come centri sociali”, ma il percorso è poi talmente disseminato di deviazioni laterali, tutte con importanti mete “sociali”, da impedire il raggiungimento di un unico, solido obiettivo per la formazione degli studenti.
Per imboccare il sentiero sicuro bisogna, a nostro avviso, aprire la porta 2b “ Scuole come organizzazioni di apprendimento” , dietro alla quale c’è una scuola che ritrova dentro di sé, nella tensione verso l’”apprendimento” e la qualità, il segreto di un recupero di prestigio sociale.
Che sia proprio questo l’uscio da dischiudere l’avevano già detto gli esperti dei 30 Paesi Ocse riuniti a Rotterdam dal Ceri (Centro per la ricerca e l’innovazione educativa) nel 2000 per discutere, appunto, della scuola “di domani”. Un domani che si prospetta su una distanza di 15-20 anni al massimo, lunga abbastanza per consentire impegni strategici che non patiscano il respiro corto delle contingenze politiche, ma nemmeno così abissale da appassionare solo futuristi e visionari.


Nessuno dei sei scenari si realizzerà mai in forma “pura”. Anzi, in una certa misura, la “contaminazione” tra loro è inevitabile e persino auspicabile: i network per l’apprendimento o le ricadute didattiche delle tecnologie non sono sviluppi trascurabili. La semplificazione proposta dal Ceri-Ocse è, comunque, utile per capire la direzione dei cambiamenti in atto e le possibili linee di intervento.
Eccezion fatta per il primo scenario “immobilista”, la scelta si gioca sulla contrapposizione tra due modelli: da una parte, il re-schooling, cioè il rilancio della scuola come istituzione, più o meno aperta alla società; dall’altra, il de-schooling, lo smantellamento o il fallimento delle istituzioni educative, sotto la spinta del mercato e delle tecnologie virtuali.
Walo Hutmacher, esperto di sociologia dell’educazione, a Rotterdam ha spiegato che lo scenario 2b: «È il sogno collettivo di una scuola forte, principalmente pubblica, con un ruolo ancora importante ma ridefinito per lo Stato centrale (stabilire obiettivi, strategia e contesto di riferimento)». Una scuola che dovrebbe essere capace di ripensarsi, offrendo curricula differenziati, sviluppando l’autonomia operativa a tutti i livelli e che, proprio grazie alla ritrovata identità, dovrebbe essere capace di attrarre consenso sociale e nuove risorse finanziarie.
Non va infine sottovalutato un forte accento su integrazione sociale, solidarietà ed eliminazione delle disuguaglianze. E ancora: formazione continua e tecnologie della comunicazione e informazione (Tic)». Insomma, molti valori tradizionali dei sistemi educativi ma rivitalizzati in nuovo contesto culturale e istituzionale. E’ evidente che il “modello di mercato” costituisce l’esatto contrario di questi valori, con particolare riguardo alle disuguaglianze che esso genera.


Una delle variabili in gioco nei sei scenari è, poi, il ruolo degli insegnanti. Lo “status quo” li vede organizzati in un corpo sindacalizzato senza prospettive incoraggianti quanto a condizione professionale e gratificazione economica. Il “modello di mercato” li rimpiazza con nuove categorie di professionisti, pronti a intervenire dove e come la “domanda” li richiede, mentre la “società-network” tende ad abbattere le barriere tra docenti e studenti. Il “rilancio della scuola-istituzione” promette, invece, di creare un nucleo di docenti dal profilo elevato, ben retribuiti, con contratti e modalità di impiego che hanno necessità di differenziarsi, una carriera non più necessariamente “a vita”, e anche una possibile mobilità dentro e fuori l’insegnamento. E ancora: aperti all’innovazione, coinvolti negli staff di gestione e nella comunità sociale.
Così delineata la “via maestra”, non è però affatto scontata la sua percorribilità. Se la scuola come «bene pubblico» non saprà ottenere il supporto di tutte le parti in causa (a partire dai contribuenti chiamati a finanziare una spesa comunque ingente), il rischio - avverte l’Ocse - è di ritrovarsi prima o poi sulla soglia degli scenari più foschi, che sono il primo e l’ultimo: status quo e mercato.