LA RIFORMA BLOCCATA

  COMMENTO ALLA LEGGE

di

"Delega al Governo per la definizione delle norme generali sull’istruzione e dei livelli essenziali delle prestazioni in materia di istruzione e di formazione professionale"

  approvata dal Consiglio dei Ministri 1 febbraio 2002

Delega al Governo e blocco della riforma

A differenza del primo progetto di legge Moratti e della stessa Legge n.30 di Riordino dei cicli di Berlinguer, che prevedevano l’attuazione della riforma attraverso regolamenti   (secondo l’art.17 della Legge 400 del 23 agosto 1988 ), il provvedimento approvato dal Consiglio dei Ministri l’1 febbraio 2002 è una legge di delega che potrà avere attuazione solo attraverso successivi decreti legislativi da emanarsi entro 2 anni, i quali troveranno a loro volta applicazione mediante ulteriori regolamenti.

Siamo dunque di fronte a un pesante rinvio  della riforma, che può trasformarsi in un vero e proprio blocco del processo riformatore.

Infatti, se si considerano da un lato i tempi di attuazione e dall’altro il fatto che questa legge lascia sostanzialmente immutato l’impianto esistente, si può dire che il solo obiettivo raggiunto è quello sancito dalla frase conclusiva: “La legge 10 febbraio 2000, n. 30 è abrogata” , vale a dire l’annullamento del riordino dei cicli di Berlinguer

Non possiamo che esprimere tutto il nostro dissenso di fronte a questo ennesimo rinvio. E’ infatti sintomo di una preoccupante sottovalutazione del ruolo dell’istruzione, una posizione che ci isola dagli altri Paesi a economie avanzate, dove i  Governi, anche di orientamenti politici molto diversi  fra loro, da tempo pongono la scuola fra le priorità nazionali.

Irrisolto il problema del nuovo rapporto Stato-Regioni

Valgono per questa legge delega  le stesse osservazioni già fatte a commento della sintesi del gruppo ristretto di lavoro . I problemi posti dal nuovo articolo 117 non sono affrontati, ma solo marginalmente accennati attraverso citazioni e rinvii.

Un paragone, per contrasto, può essere utile con la legge di riforma dell’istruzione varata in Spagna il 3 ottobre 1990 (LOGSE -Ley Orgánica General del Sistema Educativo ). E’ una legge, quella spagnola, che si è innestata perfettamente su una riforma costituzionale che aveva attribuito ampi poteri   alle Regioni (Comunidades Autónomas), una Legge, che a differenza di questa italiana, ha puntualmente previsto lo sviluppo della riforma scolastica all’interno del nuovo contesto di decentramento dei poteri dello Stato, senza creare conflitti di competenze fra questo e le “Comunidades Autónomas “.

Così si dovrà fare in Italia, senza con questo intendere che si debba necessariamente pervenire a identiche soluzioni.

 L’ambiguità del “postmoderno” diritto all’istruzione

Abbiamo già detto nel commento al primo progetto Moratti cosa pensiamo della trasformazione dell’obbligo all’istruzione nel così detto più moderno diritto all’istruzione e alla formazione.

Dobbiamo qui aggiungere che rispetto al progetto iniziale è stata comunque apportata una modifica. Mentre si conferma la precisazione, imposta dall’articolo 34 della Costituzione, che “la fruizione dell'offerta di istruzione e formazione costituisce un dovere legislativamente sanzionato", scompare in questo testo il rimando agli articoli del decreto legislativo 297/94, che avevano come unico riferimento la norma costituzionale. Presumibilmente, dunque, resta in vigore l’innalzamento da 8 a 9 anni dell’ obbligo all’istruzione sancito dalla legge n. 9/99, non essendo stata quest’ultima, almeno finora, abrogata. E ci si augura che non lo sia, perché, come abbiamo già detto nei precedenti commenti siamo contrari al fatto che il diritto all’istruzione diventi per i ragazzi di 14 –15 anni diritto alla formazione da assolvere nei centri regionali, i quali in 25 anni hanno dato, per questa fascia di età, prove fallimentari.

In ogni caso, se rimane di 9 anni l’obbligo all’istruzione (assolto, in quanto tale, nella scuola), l’impianto della legge mantiene non piccole contraddizioni. Infatti con il permanere della scuola media triennale, i ragazzi si troveranno a fare, esattamente come ora, l’ultimo anno di obbligo senza che sia stato impostato un percorso coerente, almeno biennale. E così ciò che doveva essere transitorio, e nella transitorietà aveva dimostrato tutti i suoi limiti, diventerebbe ora permanente.

L’autonomia dimenticata

L’autonomia delle scuole assurta a norma costituzionale con il nuovo art.117, viene in questo testo di legge ampiamente sottovalutata.  All’articolo 2 comma 1.l si legge “i piani di studio contengono un nucleo fondamentale, omogeneo su base nazionale, che rispecchia la cultura, le tradizioni e l’identità nazionale, e prevedono una quota, riservata alle Regioni , relativa agli aspetti di interesse specifico delle stesse, anche collegata con le realtà locali.” I piani di studio vengono dunque suddivisi  fra quota nazionale e quota regionale, lasciando completamente fuori le scuole autonome. Né è pensabile la costruzione di un curricolo a “fette” fra tre eventuali soggetti.

Quando questa Legge si  riferisce all’autonomia lo fa prevedendone unicamente il “rispetto”. Ma è questo sufficiente a garantire una positiva evoluzione della nostra scuola? La nostra risposta è no. Perché delle due l’una. O si pensa, per fare un esempio, ad un "sistema dei Licei" completamente prestrutturato non solo negli obiettivi ma anche nei contenuti, nei tempi e nella regolamentazione delle modalità di insegnamento, e allora l'autonomia va solo "rispettata" per quel che ne resta. Oppure si pensa ad un sistema ordinamentale "leggero", cioè flessibile e quindi determinabile in misura significativa dai professionisti della scuola e da un'utenza responsabilizzata: allora, in questo secondo caso, l'autonomia deve essere sostenuta da norme che ne prevedano la maturazione culturale, a partire dalla riqualificazione della professionalità docente.

  Una pervasiva  aura di restaurazione

Aleggia in  questo testo di legge una pervasiva aura di restaurazione.

All’art.2 comma 1.b si legge: “sono favorite la formazione spirituale e morale, lo sviluppo della coscienza storica e di appartenenza alla comunità locale, alla comunità nazionale ed alla civiltà europea”. E’ significativo il passaggio dal senso di appartenenza alla “comunità locale e nazionale” non alla comunità europea, bensì alla “civiltà” europea, termine che si presta a non poche ambiguità.

E ancora cosa deve intendersi per “formazione spirituale e morale”? Se questa parte dell’articolo dovesse essere messa in relazione all’art.3 comma 1.a, che prevede che i docenti effettuino  la  “valutazione,  periodica  e annuale, degli apprendimenti e del comportamento  degli  allievi”, dovremmo pensare che ci sia relazione fra Il voto di condotta o di “di comportamento” con  la formazione spirituale? E che cosa si deve esattamente intendere con “formazione  spirituale  e morale” ? Ci sara' un modello di riferimento unico?  Come  valutarne  i  risultati? Come saranno valutati atteggiamenti e comportamenti  non  conformisti?

E’ opportuno ricordare che nel sondaggio condotto dall'ISTAT, in vista degli Stati generali di  dicembre,  la  valutazione  del  comportamento  e'  stata rivendicata fortissimamente  dalle famiglie (97%),  dai  docenti  (94%)  e dagli stessi studenti (89%). Non solo, è risultata maggioritaria anche la  richiesta  di considerare la cattiva “condotta” motivo di un'eventuale  bocciatura.  Lo  vuole  il 65,4% delle famiglie, il 62,4% dei docenti e il 59,1% degli studenti.

Questi dati, se non saranno opportunamente analizzati e gestiti, potranno ergersi a simbolo di un poco promettente clima di restaurazione.

Declassato il percorso professionale

Abbiamo già espresso nel commento alla sintesi del documento del gruppo ristretto di lavoro tutto il nostro appoggio allo sviluppo di un qualificato e robusto sistema di istruzione e formazione professionale a livello secondario e postsecondario, di pari dignità rispetto a quello liceale e universitario. Non solo, ma anche la nostra motivata propensione all’introduzione di un modo esperenziale di apprendere negli stessi licei.

Purtroppo dopo gli annunci di svolte innovative nel settore dell’istruzione e formazione professionale e dopo le forti Raccomandazioni del GRL, nulla rimane nella legge delega, .la quale, al contrario, declassa  e svilisce il percorso professionale.

Se il  Rapporto del GRL sottolineava con insistenza la necessità che il tradizionale sistema liceale e il ricostruendo sistema di istruzione e formazione professionale risultassero nella sostanza:

nella legge delega, come nel primo progetto Moratti, il sistema di istruzione e formazione professionale risulta, rispetto al sistema liceale:

Infine due ultime annotazioni.

E’ sorprendente che mentre si dice di voler valorizzare l’istruzione tecnica e professionale si licealizzino gli Istituti tecnici, facendo lievitare a 8 i licei, e continuando quel percorso tracciato dalle sperimentazioni Brocca, dimostratosi deleterio per avere prodotto la deprofessionalizzazione dell’istruzione tecnica e professionale, e l’ aumento indiscriminato del numero delle discipline.

Per ultimo ci preme sottolineare la cosa forse più eclatante, vale a dire la totale assenza in questa  Legge della Formazione Professionale Superiore . Un settore che avrebbe dovuto essere, nelle intenzioni originarie, la grande novità del progetto, e che non può in alcun modo essere confusa con gli attuali IFTS, mai decollati e precariamente impostati.

Anche in questo campo risulta utile il paragone con la LOGSE spagnola, all’interno della quale è ben presente l’istituzione della  Formación profesional de grado superior, posta all’interno di un capitolo, il IV, tutto dedicato alla Formación profesional.

  E’ parimenti interessante verificare quanto ha recentemente fatto la Svizzera con la creazione, nel 1998, delle Scuole universitarie professionali , un nome che sta bene a denotare la pari dignità di questo percorso con gli altri di tipo accademico.

Rimane l’impianto tradizionale con qualche contraddizione in più

Se passiamo ad esaminare l’impianto scolastico complessivo della legge delega, vediamo che nulla è mutato se non per alcuni particolari, che di seguito elenchiamo:

a) Scuola dell’infanzia

E’ prevista la possibilità di anticipare l’iscrizione alla scuola dell’infanzia per i bambini che compiono 3 anni al 30 Aprile dell’anno scolastico di riferimento ( al 28 febbraio per il prossimo anno scolastico, sempre che la legge sia approvata in tempi utili).  E’ un provvedimento che va incontro alle esigenze di molti genitori che in casi simili spesso devono ricorrere alle scuole private. Su questo punto non ci sentiamo di assecondare la rivolta di molte colleghe, anche perché la rigidità dell’età anagrafica spesso si scontra con ritmi e fasi di sviluppo reali molto differenziati da bambino a bambino, ed è a quelli che bisognerebbe prestare attenzione. Certo che se si fosse agito con la sensibilità nei confronti dei bisogni educativi e sociali dimostrata dalla Spagna di Gonzales, le cose si porrebbero in termini ben diversi. La LOGSE , agli articoli 7-11, ha definito che la educación infantil, volontaria ma contemporaneamente gratuita e disponibile per tutti coloro che la richiedono, sia strutturata in due cicli, il primo fino a tre anni e il secondo dai tre ai sei anni. Da noi, invece, l’educazione ( spesso “assistenza”) da 0 a 3 anni, è affidata agli “asili nido”,  molto costosi  e disponibili in misura assolutamente insufficiente rispetto alle richieste delle famiglie, e quasi sempre staccata dalla scuola dell’infanzia, se si eccettuano sperimentazioni pilota attuate da alcuni Comuni, che gestiscono sia gli asili nido che le scuole dell’infanzia.

b) Primo ciclo d’istruzione

Composto da

1. Scuola Primaria: la scuola elementare che cambia di fatto solo il nome. Le uniche modifiche sono la scansione in 1+2+2 , l’abolizione dell’esame di Stato in quinta e la possibilità di iscrizione anticipata in  prima con le stesse modalità previste per la scuola dell’infanzia.

2. Scuola secondaria di primo grado: la scuola media, che cambia anch’essa solo di nome. Le uniche innovazioni sono l’introduzione della seconda lingua straniera e la scansione 2+1, con la previsione che il terzo anno “completi prioritariamente il percorso disciplinare e assicuri insieme l’orientamento e il raccordo con il secondo ciclo”.

Questo percorso termina con l’esame di Stato al terzo anno.

c) Secondo ciclo d’istruzione

1. Il sistema dei Licei: i Licei diventano 8, incorporando gli istituti tecnici nonché il vecchio istituto magistrale, assurto al rango di “liceo delle scienze umane”. Mentre altrove si tende a ridurre il numero dei Licei, unificandoli,  si pensi alla Svizzera che pochi anni fa è passata da 4 licei a 1, qui si procede alla loro moltiplicazione.

I licei sono mantenuti di 5 anni, con una suddivisione 2+2+1, ma senza avere il coraggio di indirizzare  l’ultimo anno  all’approfondimento delle discipline di raccordo con la scelta del percorso successivo, sia universitario che di formazione professionale superiore. Siamo dunque al mantenimento assoluto dello status quo, con tutte le disfunzioni che la mancanza di specifica preparazione al percorso  successivo ha comportato in termini di abbandoni.

Sono previsti passaggi bidirezionali fra sistema dei Licei e dell’istruzione e formazione professionale, ma stante questa configurazione, si pongono più come petizioni di principio che come possibilità reali.

Infatti se l’esperienza delle passarelle berlingueriane tra indirizzi diversi dello stesso sistema scolastico aveva già trovato un’attuazione faticosa,  sono facilmente prevedibili le enormi difficoltà che incontreranno i passaggi fra i due diversi sistemi. Quale reale possibilità potrà mai avere un ragazzo che segua, dopo i quindici anni,  il percorso di alternanza scuola-lavoro, di passare al liceo classico o scientifico? Sembra insomma che non ci sia consapevolezza di quello che si scrive, poiché non ci si è minimamente sforzati di pensare quali possano essere i modelli curricolari compatibili con queste indicazioni.

2. Il sistema  dell’istruzione e della formazione professionale: nascondendosi dietro le nuove competenze regionali in questo campo, non viene data nessuna indicazione dei percorsi professionali.  Si dice solo che i “percorsi” realizzeranno   “profili educativi, culturali e professionali, ai quali conseguono titoli e qualifiche   professionali di differente livello, valevoli su tutto il territorio nazionale se rispondenti ai livelli essenziali di prestazione” che dovranno essere definiti dallo Stato. Si aggiunge che questi titoli e qualifiche, non precisati né nel contenuto né nella durata, daranno diritto all’accesso all’istruzione e formazione tecnica superiore (IFTS), e, se di durata almeno quadriennale, consentiranno di sostenere l’esame di Stato previa frequenza di apposito corso annuale. L’esame di Stato darà quindi accesso a tutti i percorsi superiori, compresa l’Università.

Come già precedentemente sottolineato, è molto grave che nulla si dica del percorso di formazione professionale superiore, mentre si inserisce un intero articolo sull’alternanza scuola-lavoro, che peraltro non sostituisce ma si affianca all’apprendistato.

Infine, ma dovremmo dire in primo luogo, rimane aperto il problema degli attuali istituti professionali statali, rispetto ai quali abbiamo già espresso le nostre convinzioni e proposte nel commento alla sintesi del documento del GRL.

La questione docente

Nulla muta rispetto al primo Progetto Moratti, per cui rimandiamo alla parte finale del nostro commento a tale Progetto. Vogliamo solo sottolineare  che se questo articolo, pur con le correzioni che abbiamo suggerito, potrebbe aprire alcune prospettive per la professione docente, nulla dice però della formazione in servizio, che è invece necessaria e indispensabile per realizzare qualsiasi processo di riforma.