VII COMMISSIONE  CAMERA DEI DEPUTATI

AUDIZIONE DELL’11-12-02

RICHIESTE DELL’ADi, ASSOCIAZIONE DOCENTI ITALIANI, IN RELAZIONE AL DISEGNO DI LEGGE AS 1306 APPROVATO AL SENATO

Come ADI  abbiamo ritenuto utile, in questa fase,  intervenire solo su alcuni punti specifici del Disegno di legge, anziché riproporre l’insieme delle critiche già a suo tempo formulate. Affronteremo pertanto singolarmente le questioni che consideriamo particolarmente importanti, proponendo per ciascuna o nuovi articoli, laddove le questioni non sono state affrontate, o emendamenti agli articoli esistenti.

Iniziamo con la richiesta di introduzione di un nuovo specifico articolo, che questa associazione considera assolutamente fondamentale.

1 - STATO GIURIDICO (introduzione di un nuovo articolo)

Gli studi degli ultimi dieci anni sull’educazione hanno dimostrato l’importanza di investire sugli insegnanti per ottenere dei cambiamenti significativi nell’apprendimento degli studenti. Le strade più interessanti ed innovative si fondano sulla “professionalizzazione della docenza.

Questo comporta che si intervenga su più piani, non solo su quello contrattuale. La legge delega 421/1992 nell’avviare la privatizzazione del Pubblico Impiego aveva stabilito con chiarezza cosa spettasse alla contrattazione e cosa alla legge, di lì occorre ripartire.

La trasformazione della docenza in vera e propria «professione» richiede inoltre di intervenire su di un terreno quasi inesplorato nel nostro Paese, che è quello che compete all’autonomia del corpo professionale.

Si dovrebbe pertanto correttamente procedere su tre piani: quello della legge (lo stato giuridico), quello della professione (la definizione e il rispetto degli standard professionali e del codice deontologico, attraverso un proprio organismo di autogoverno da definirsi per legge), quello della contrattazione (retribuzione, orario di servizio ecc..). Appare logico sostenere che quest’ultimo piano, quello contrattuale, dovrebbe discendere dal riconoscimento della docenza come professione, dalla definizione del suo status e delle sue caratteristiche professionali  e non precederle come oggi avviene.

Il Ddl 1306 contiene un solo articolo sugli insegnanti, quello relativo alla formazione. Noi sosteniamo che non si può più continuare a spezzettare questa professione, ad assumere provvedimenti parziali in modo dissociato, provvedimenti spesso in contraddizione gli uni con gli altri. Occorre impostare l’insegnamento in una visione di prospettiva che abbia come presupposto i bisogni dell’educazione delle giovani generazioni.

Chiediamo pertanto che, come è avvenuto ogni volta che si è messo mano a complessivi processi di riforma, nel disegno di legge ci sia un preciso articolo che definisca i termini generali per la riscrittura dello Statuto della docenza.

Riteniamo infine che lo stato giuridico debba riguardare complessivamente docenti, dirigenti scolastici e ispettori, poiché questi ultimi due costituiscono uno sviluppo della carriera docente, in quanto sono selezionati fra i docenti con un certo numero di anni di servizio.

C’è inoltre un altro buon motivo.

Tutte le più recenti ricerche internazionali hanno  messo  in evidenza come, dopo anni di sbornia managerialistica, sia oggi indispensabile cambiare rotta. E’ stato autorevolmente scritto che

“la priorità assoluta è che la dirigenza scolastica diventi una leadership finalizzata all'apprendimento ….. I capi d’istituto devono conoscere i contenuti dei curricoli e le tecniche pedagogiche. Devono lavorare con gli insegnanti per rafforzarne le competenze. Devono raccogliere, analizzare e utilizzare i dati in modo da favorire l'eccellenza. Devono saper convogliare l'impegno di tutti (studenti, insegnanti, genitori, servizi sociali e sanitari, gruppi giovanili, imprese locali e associazioni) verso il comune obiettivo di innalzare il rendimento degli studenti. E devono avere conoscenze e competenze per esercitare con autonomia e autorevolezza  queste strategie.”

E’ dunque bene che  in Italia non si percorrano tardivamente strade che altri sono determinati ad abbandonare. Per tutto questo consideriamo che sarebbe un grave errore togliere specificità alla dirigenza scolastica, staccarla completamente dalla funzione docente, farla rientrare nella più generale Dirigenza amministrativa.

Alla luce di quanto sopra esposto la nostra proposta è che non solo  la funzione docente ma anche tutti i suoi sviluppi, dalla fascia specializzata intermedia, alla dirigenza scolastica fino agli ispettori, siano ricompresi in uno stato giuridico unitario com’era nel DPR 417/74.

Contemporaneamente per l’aspetto contrattuale si deve dare esecutività al comma 17 dell’art.21 legge 59/97, che così recita:

“Il rapporto di lavoro dei dirigenti scolastici sarà disciplinato in sede di contrattazione collettiva del comparto scuola, articolato in autonome aree”.

E’ grave che fino ad oggi l’area autonoma sia stata definita solo per i dirigenti scolastici, mentre i docenti, di cui la dirigenza costituisce uno sviluppo di carriera, siano rimasti aggregati agli ausiliari e agli amministrativi, negando la specificità di tale professione, che è peraltro particolarissima, essendo, come la giustizia, costituzionalmente tutelata.

Di seguito si propone l’introduzione di un articolo 4bis

 

Art. 4 bis (Statuto della funzione docente)

1. Con i decreti di cui all'art. 1 sono dettate le norme sullo statuto giuridico della funzione docente nel sistema nazionale dell'istruzione, nel rispetto dei seguenti principi e criteri direttivi:

  1. applicazione dello statuto in ogni istituto scolastico inserito nel sistema nazionale dell'istruzione;

  2. definizione dell'aspetto specifico comune della funzione docente quale funzione rivolta: a contribuire alla felicità delle giovani generazioni; a educare all'etica della responsabilità, attraverso l'acquisizione della consapevolezza che ogni persona è ad un tempo individuo, parte della società e parte della specie umana; a perseguire alti livelli formativi e di apprendimento tecnico e scientifico di ogni allievo, nel rispetto delle differenze individuali e delle singole personalità;

  3. garanzia dell'autonomia tecnica della funzione docente e della libertà di insegnamento quali  strumenti di attuazione del pluralismo interno ad  ogni istituto scolastico e della qualità del servizio di istruzione; 

  4. determinazione, ai fini della precedente lettera c):

  1. dell'articolazione della funzione docente nelle specifiche funzioni di: docente; docente ad alta specializzazione con funzioni di responsabilità in relazione alle attività di formazione iniziale e di aggiornamento permanente dei docenti; docente ad alta specializzazione con funzioni di coordinamento di dipartimenti o gruppi di docenti con autonomia di programmazione.
    A
    lle funzioni di alta specializzazione si accede dalla funzione di docente mediante concorso volto a verificare il possesso dei requisiti professionali individuati per  ciascuna delle funzioni sulla base di precisi standard professionali;

  2. delle modalità di accesso alla funzione docente, che deve avvenire secondo il principio del pubblico concorso per ogni funzione docente;

  3. delle garanzie di stabilità del rapporto di lavoro;

  4. delle modalità di assegnazione delle singole funzioni docenti;

  5. delle modalità in cui si esprimono l'autonomia tecnica della funzione docente e la libertà di insegnamento nell'ambito degli istituti scolastici facenti parte del sistema nazionale di istruzione, in particolare attraverso la definizione del rapporto fra singola funzione docente, compiti dell'organo collegiale dei docenti di ogni istituto  scolastico, dirigente dell'istituto, nonché attraverso le modalità concernenti la dipendenza funzionale di ogni insegnante;

  6. delle modalità per la valutazione e verifica degli aspetti quantitativi e qualitativi delle prestazioni di ogni titolare della funzione docente;

  7. dell'istituzione di un albo nazionale dei docenti del sistema nazionale dell'istruzione,  suddiviso in sezioni regionali;

  8. dell'istituzione di organismi tecnici rappresentativi della funzione docente, uno nazionale e gli altri regionali; i membri di ogni organismo debbono essere determinati in  numero non superiore a quaranta di cui sette ottavi sono eletti da tutti gli iscritti nell'albo nazionale della funzione docente o dagli iscritti nella sezione della rispettiva regione  e durano in carica tre anni e un ottavo è rispettivamente designato dalle Università italiane o dalle Università aventi sede nella regione; le elezioni devono essere disciplinate secondo criteri idonei a garantire risultati rappresentativi  del pluralismo tecnico e culturale dei titolari della funzione docente; gli organismi hanno ampia autonomia organizzativa e sono dotati di  propri mezzi;

  9. delle competenze degli organismi di cui al punto precedente, secondo i seguenti criteri:

  • l'organismo nazionale  provvede: a tenere l’albo nazionale dei  docenti; a stabilire gli standard per la formazione iniziale, l’abilitazione e il tirocinio dei docenti nonché gli standard professionali per i docenti di cui al punto 1; la stesura del codice deontologico; all’intervento nei casi di mancato rispetto del codice e degli standard professionali; alla formulazione di proposte e di  pareri obbligatori in merito: alla determinazione degli obiettivi tecnici del sistema nazionale di istruzione, alla determinazione degli standard di valutazione, alla determinazione dei mezzi per il conseguimento degli obiettivi generali del sistema di  istruzione, alle  tecniche e alle procedure di reclutamento, allo statuto giuridico della funzione docente; alla relazione annuale  sullo stato della funzione docente;

  • gli organismi regionali provvedono alla tenuta delle sezioni regionali dell'albo  e alla formulazione di pareri e proposte sulle materie di competenza dell'organismo nazionale per quanto riguarda la dimensione regionale; 

  1. determinazione della funzione di dirigente di istituto scolastico, e della funzione ispettiva:

  1. la funzione di  dirigente scolastico deve essere caratterizzata  dal punto di vista della specificità del servizio di istruzione proprio della struttura a cui il dirigente è preposto  e debbono esserne valorizzati i  collegamenti con la funzione docente;

  2. la funzione ispettiva deve essere caratterizzata per l'ampiezza delle conoscenze e delle esperienze maturate nell'ambito dell'istruzione nonché da comprovata capacità e autonomia di ricerca e di giudizio;

  3. alle funzioni sopra indicate si accede mediante concorso a cui possono  partecipare i titolari delle funzioni  docenti di cui alla lettera d punto 1.

  1. previsione della possibilità per gli istituti scolastici di utilizzare  esperti, in ogni caso muniti di abilitazione all'esercizio di attività di insegnamento, per l'attribuzione di incarichi annuali per materie non rientranti nel curricolo obbligatorio, comunque non oltre la misura del … %  del  personale titolare di funzione docente;  gli incarichi sono attribuiti secondo procedure concorsuali pubbliche; gli esperti partecipano a pieno titolo all'attività dell'organo collegiale dei docenti di ogni singolo istituto scolastico;

  1. previsione della partecipazione di esperti esterni ad ogni commissione di concorso per l'accesso alle funzioni previste dal presente articolo.

  2. determinazione delle modalità e degli strumenti organizzativi e procedurali per assicurare la trasparenza e  la conoscibilità delle attività rese nell'esercizio della funzione docente da parte dei cittadini, dei genitori, degli studenti, e conseguente revisione o soppressione degli attuali organi collegiali.

2. Il rapporto di lavoro degli ispettori, dei dirigenti scolastici, dei docenti di cui alla lettera d punto 1, è disciplinato in sede di contrattazione collettiva del comparto scuola, articolato in autonome aree.

Abrogazione

L’istituzione degli Organismi tecnici rappresentativi della funzione docente, nonché l’attuazione del nuovo Titolo V della Costituzione, richiedono di necessità l’abrogazione del comma 15 dell’art. 21 della legge 59/97 relativo agli “Organi collegiali della pubblica istruzione di livello nazionale e periferico”.

2 - FORMAZIONE (emendamenti all’art.5)

Preoccupa la totale sottovalutazione del contributo e delle responsabilità della scuola nella formazione dei nuovi insegnanti, così come della formazione in servizio. A parte il fatto che in tutta Europa si stigmatizza, come dato comune preoccupante, l’impreparazione dell’Università a svolgere la formazione degli insegnanti, non vi è dubbio che il “sapere professionale” possa essere adeguatamente trasmesso solo da chi è professionalmente competente, cioè dai migliori insegnanti delle scuole, per i quali lo stato giuridico dovrà prevedere una fascia di alta professionalità.  Vanno pertanto esplicitamente previste forme di parternariato fra università e scuole. Non solo, il tirocinio, che deve essere adeguatamente retribuito, deve avere la durata  di due anni ed essere svolto quasi integralmente presso le scuole, con specifico e definito orario di servizio. Alle scuole spetteranno il tutorato, la valutazione del tirocinio professionale, il controllo della frequenza.

Art. 5 (Formazione degli insegnanti)

emendamenti

E’ soppresso il secondo periodo del comma 1.e e sostituito con il seguente:

”Il tirocinio è svolto presso le scuole, che ne curano l’organizzazione, il tutorato, il controllo della frequenza dei tirocinanti nonché la valutazione finale, secondo modalità previste dagli organismi tecnici rappresentativi della funzione docente di cui all’articolo 4bis commi 8 e 9”

E’ soppresso il comma 1.g.

Il comma 1.f è così integrato : “le strutture didattiche di ateneo o d’interateneo promuovono e governano in parternariato con le scuole, le associazioni degli insegnanti e altre agenzie accreditate …………”

3 - SISTEMA EDUCATIVO DI ISTRUZIONE E FORMAZIONE (emendamenti all’art.2)

Articolo 2 comma 1b)

Consideriamo il comma 1b) del tutto inadeguato a definire la funzione della scuola del XXI secolo. L’articolo richiama “lo sviluppo della coscienza storica e di appartenenza alla comunità locale, alla comunità nazionale e alla civiltà europea”. Ci troviamo rispetto al passato di fronte a una situazione del tutto nuova, che è contraddistinta da tre processi:

  1. l’approfondimento dell’unificazione (economica, politica, culturale)  dell’Europa, con la consegna a istituzioni europee di una quota via via più ampia di sovranità nazionale;

  2. la partecipazione a un processo economico di globalizzazione (ma in realtà non solo economico);

  3. l’avvio di una riforma costituzionale che potenzia il decentramento e afferma l’autonomia delle scuole.

È all’interno di questi grandi rivolgimenti storici che dobbiamo individuare una nuova funzione della scuola. Ciò che oggi serve e su cui potremmo finalmente avere i giovani con noi, è la costruzione di un’etica della responsabilità che si apra a un mondo sempre più globalizzato e interdipendente; un mondo del quale i giovani vedono e sentono le enormi ingiustizie che permangono.

L’etica della responsabilità che la scuola dovrebbe insegnare è quella che Morin chiama «antropoetica», una responsabilità che faccia riferimento alla triplice condizione umana: all’uomo come persona, all’uomo come società, all’uomo come specie. Ciascuno di noi porta questa triplice realtà e questa va appieno e contestualmente sviluppata, con uguale convinzione e partecipazione. Quello che dobbiamo fare è «promuovere lo sviluppo congiunto dell’autonomia individuale, della partecipazione sociale, e della coscienza di appartenere tutti alla specie umana». Il compito della scuola è innanzitutto di insegnare «l’identità terrestre», il destino ormai planetario del genere umano. Oggi l’insegnamento ignora tutto questo. Dice Morin: «La conoscenza degli sviluppi dell’era planetaria e il riconoscimento dell’identità terrestre devono divenire uno dei principali oggetti dell’insegnamento. È opportuno insegnare la storia dell’era planetaria che inizia nel XVI secolo con la comunicazione fra tutti i continenti, e mostrare come tutte le parti del mondo siano divenute interconnesse, senza occultare le oppressioni e le dominazioni che hanno devastato e ancora devastano l’umanità. Si dovrà indicare il complesso di crisi planetaria che segna il XX secolo, mostrando come tutti gli esseri umani, ormai messi a confronto con gli stessi problemi di vita e di morte, vivano una stessa comunità di destino».

Questo dovrebbe essere per il presente e per il futuro il compito della scuola: educare i giovani a indagare le grandi questioni che attengono la condizione umana. In questo senso si pone un problema culturale molto più complesso di quanto non lo si sia finora affrontato nel testo di riforma, che appare sotto questo profilo, del tutto inadeguato. Dice il testo varato al Senato:

«1. I decreti di cui all’articolo 1 definiscono il sistema educativo di istruzione e di formazione, con l’osservanza dei seguenti princìpi e criteri direttivi: ………… b) sono promossi il conseguimento di una formazione spirituale e morale, anche ispirata ai princìpi della Costituzione, lo sviluppo della coscienza storica e di appartenenza alla comunità locale, alla comunità nazionale ed alla civiltà europea».

A parte il passaggio dal termine «comunità» a quello di «civiltà» quando si cita l’Europa, e non è un limite di poco conto; noi vogliamo aggiungere che non siamo solo europei, siamo figli, per dirla con Morin, della «terra patria», cittadini di una “comunità planetaria”.

Per quanto riguarda poi i “princìpi” a cui deve ispirarsi la “formazione spirituale e morale” essi non possono essere definiti con “anche della Costituzione”. Ci sono solo due Carte che devono essere considerate vincolanti nel definire i princìpi che ispirano la formazione spirituale e morale delle giovani generazioni nel nostro Paese, e che devono essere rispettati e praticati in qualsiasi scuola del sistema pubblico dell’istruzione, statale o paritaria, esse sono la Costituzione italiana e la Convenzione Internazionale sui diritti dell’infanzia. Per questo chiediamo che il comma1b) sia così emendato come segue.

 

Art. 2 comma 1.b (Sistema educativo di istruzione e di formazione)
emendamenti ai principi

Il comma 1.b dell’articolo 2 è sostituito dal seguente articolo:

“Sono promossi il conseguimento di una formazione spirituale e morale, ispirata ai principi della Costituzione e della Convenzione Internazionale sui diritti dell’infanzia, lo sviluppo della coscienza storica e di appartenenza alla comunità locale, nazionale, europea, e alla stessa “comunità di destino” planetaria».

Articolo 2 comma 1.e (scuola dell’infanzia)

In relazione alla controversa questione degli anticipi, l’ADi sottolinea l’esigenza di accogliere nelle strutture scolastiche bambini anche di età inferiore ai tre anni, ma ritiene che vi siano soluzioni migliori e più avanzate.

Non vi è dubbio che ci si trovi in  presenza di due tendenze convergenti che premono per accessi precoci, da un lato la crescente richiesta sociale di servizi per la primissima infanzia, che se inseriti nel sistema scolastico diventano gratuiti,  dall’altro l’abbandono di qualsiasi tratto assistenziale nei nidi da 0 a 3 anni a favore di spiccate caratteristiche educative. Si sta insomma ripercorrendo per i servizi riservati a questa primissima fascia di età la stessa strada che portò in Italia gli antichi asili a diventare prima scuole materne poi scuole dell’infanzia. Passaggi non nominalistici ma di contenuto, che  negli anni ’70 furono sostenuti dalla gloriosa parola d’ordine “Il diritto allo studio comincia a tre anni”.

A livello europeo una legge particolarmente avanzata sotto questo profilo è la LOGSE (Ley Orgánica de Ordenación General del Sistema Educativo ) ossia la legge di riforma della scuola spagnola varata nel 1990. In essa tutta l’educazione prescolare, l’Educación infantil, da 0 a 6 anni è diventata parte integrante del sistema dell’istruzione, ed è suddivisa in 2 cicli, fino a 3 e da 3 a 6. Nel primo ciclo il rapporto insegnante/bambini è di 1/8 nelle sezioni con iscritti al di sotto dell’anno, di 1/13  da 1 a 2 anni, di 1/20  da 2 a 3 anni, mentre nel secondo ciclo di 1/25 in tutte le sezioni da 3 a 6 anni.

Noi riteniamo che in presenza di un processo di forte decentramento di tutta l’istruzione questa fascia complessiva vada ricompresa nel sistema educativo.

In Italia l’unificazione fra asili nido e scuole dell’infanzia  all’interno del sistema dell’istruzione  è ancora  molto lontana. Basti pensare che in Emilia Romagna dove pur ci sono esperienze d’avanguardia nel campo degli asili nido,  la separazione persiste persino nelle deleghe degli assessori, suddivise fra istruzione e servizi sociali. Nonostante ciò l’avvicinamento fra le due istituzioni ha fatto enormi passi in avanti e ormai motivi unicamente economici impediscono unificazioni istituzionali. Ciò a cui si assiste  sono timidi tentativi di parziali aggregazioni di fatto. Ad esempio la delibera applicativa della Legge regionale n.1/2000 dell’Emilia Romagna, prevede le così dette “sezioni primavera”, denominazione con la quale vengono indicate le sezioni di nido  che accolgono bambini in età 2-3 anni aggregate a scuole dell’infanzia. Tali sezioni trovano nella direttiva un riferimento specifico per quanto riguarda i rapporti numerici tra educatori e bambini: non superiore a 1/10.

Noi crediamo che perché possano svilupparsi processi  di inclusione di tutta l’educazione prescolare nel sistema dell’istruzione occorrano non solo enormi investimenti, ma anche la capacità e la volontà di superare gli steccati esistenti e guardare con lungimiranza a soluzioni come quella varata dal governo progressista spagnolo nel 1990.

Per tutto questo proponiamo il seguente emendamento:

Art. 2 comma 1.e (Sistema educativo di istruzione e di formazione)
emendamento alla scuola dell’infanzia

La prima frase “la scuola dell’infanzia, di durata triennale” è sostituita con "la scuola dell’infanzia accoglie i bambini fino ai 6 anni di età. Si divide in due cicli, il primo fino ai tre anni, il secondo dai tre ai sei anni ".

E’ soppressa la parola “religioso” dalla prima frase.

Articolo 2 comma 1.h ( Istruzione e Formazione Tecnica superiore)

Il tema della Formazione superiore non universitaria è fondamentale e non può essere risolto con i precari e mai decollati IFTS.

La mancanza di un sistema superiore qualificato  parallelo a quello universitario ha prodotto in Italia una situazione assolutamente anomala: il più alto numero di iscritti al primo anno e il più basso numero di laureati. Questo stato di cose è noto, è stato denunciato da tempo, ma purtroppo non si è fatto quasi nulla per trovare una via d’uscita. Occorre un cambiamento radicale di strategia: invece di continuare a gonfiare le università e ad estenderne e dilatarne le competenze si dovrebbe fare il contrario: ridurre il settore universitario (il che non vuol dire diminuire il numero degli studenti), e creare , praticamente dal nulla, scuole, istituti, centri paralleli a quelli universitari con finalità diverse da quelle del corso di studi universitario, di natura pratica, professionale, tecnica. Questo è l’indirizzo delle scuole universitarie professionali che si sono sviluppate in Europa da una trentina d’anni e che ormai costituiscono una componente essenziale di quello che si suole chiamare il settore terziario, per differenziarlo da quello dell’istruzione secondaria.

Queste scuole universitarie professionali sono caratterizzate da un indirizzo tecnico molto spinto, imperniato sulla ricerca applicata. Le scuole universitarie professionali diventano il luogo privilegiato di sviluppo delle piccole e medie aziende che non possono fare a meno della ricerca per andare avanti e restare competitive. Accanto alle scuole universitarie professionali sono poi sorte  altre scuole professionali avanzate, meno dedite alla ricerca applicata. Per frequentarle occorre dapprima avere concluso una formazione secondaria, liceale o non liceale poco importa. In Italia manca una strategia ed una politica di sviluppo del settore “terziario”, mancano proposte di come questo settore dovrebbe essere configurato e strutturato.  Questa situazione non regge più. Si chiede pertanto che il testo di riforma anziché fare riferimento agli IFTS si riferisca a istituti e scuole universitarie professionali da istituire in accordo con la Conferenza unificata delle Regioni, si chiede pertanto il seguente emendamento all’articolo 2 comma 1.h

Art. 2 comma 1.h (Sistema educativo di istruzione e di formazione)

emendamento agli IFTS

La frase "per l’accesso all’istruzione e formazione tecnica superiore, fatto salvo quanto previsto dall’art. 69 della legge 17 maggio 199, n.144”, è sostituita dalla seguente:

“per l’accesso a Istituti e scuole universitarie professionali da istituire in accordo con la Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n.281”

Articolo 2 comma 1.h (Autonomia)

Per quanto concerne l’autonomia delle istituzioni scolastiche, assurta a norma costituzionale con la riforma del Titolo V della Costituzione, il testo di legge è assolutamente vago e non si rileva nessun serio impegno per la sua attuazione. Tutt’al più il riferimento è “nel rispetto dell’autonomia”, che vuole dire ben poco se non se ne determinano le condizioni.

C’è un punto in particolare che deve essere assolutamente modificato. Si tratta dell’art. 2 comma 1.h. Si parla di piani di studio personalizzati ma non se ne attribuisce l’attuazione alle scuole autonome. E’ questa una contraddizione in termini. Chiediamo pertanto la seguente sostituzione:

Art. 2 comma 1.h (autonomia)

emendamento

La frase “nel rispetto dell’autonomia delle istituzioni scolastiche” è sostituita dalla seguente: “adottati dalle istituzioni scolastiche autonome”

Articolo 2 comma 1.g e 1.i    (V anno dei Licei)

In relazione al quinto anno dei Licei esistono due periodi in contraddizione tra loro. Nell’articolo 2  comma 1.g si dice che il quinto anno “completa prioritariamente il percorso disciplinare e prevede altresì l’approfondimento delle conoscenze e delle abilità caratterizzanti il profilo educativo, culturale e professionale del corso di studi”.

Mentre nel comma 1.i si precisa che “…. stabiliscono … con riferimento all’ultimo anno del percorso di studi, specifiche modalità per l’approfondimento delle conoscenze e delle abilità richieste per l’accesso ai corsi di studio universitari, dell’alta formazione, ed ai percorsi dell’istruzione e della formazione tecnica superiore”.

Delle due l’una, o si completa il percorso caratterizzante la scuola secondaria e si approfondiscono le discipline di quell’indirizzo, o si dedica il quinto anno alla preparazione per l’accesso al futuro corso di laurea che si intende scegliere e che, come noto, è dal 1969 liberalizzato, senza alcun vincolo all’ indirizzo della scuola secondaria frequentata. Per quel che ci riguarda sosteniamo con convinzione la seconda ipotesi Essa ha tre vantaggi: 1) costituirebbe un forte stimolo a vincere il conservatorismo esistente e a rivedere nel profondo l’organizzazione degli studi liceali, avendo come “bussola” l’esigenza di curricoli meno pesanti capaci di insegnare ai giovani come si “organizzano” le conoscenze, non come si “accumulano”, 2) consentirebbe di affrontare gli studi universitari con una base più solida rispetto alle discipline del corso di laurea, 3) renderebbe tutti i percorsi secondari, “istruzione” e “istruzione professionale” più omogenei, senza vetere gerarchizzazioni.

  Si chiede pertanto di abrogare la parte citata dell’art.2 comma 1.g.

Art. 2 comma 1.g (5° anno licei)

emendamento

E’ soppressa la seguente  parte dell’art. 2 comma 1.g :

"che prioritariamente completa  il percorso disciplinare e prevede altresì l’approfondimento delle conoscenze e delle abilità caratterizzanti il profilo educativo, culturale e professionale del corso di studi".