Infine. pensate alla salute!

Se non siete dei menefreghisti, il primo anno di lavoro sarà una prova dura e stressante, non solo sul piano professionale (conoscenze teoriche messe alla prova su un terreno quasi sconosciuto), ma anche su quello personale: la vostra salute fisica e psicologica.

È capitato a tutti i colleghi più capaci e impegnati di provare un certo stress da lavoro, una specie di indebolimento fisico ed emotivo, che compromette l'immagine di sé verso il lavoro, con la conseguente perdita di interesse e una preoccupazione o un'ansia nei confronti di chi li circonda, in primo luogo i più stretti collaboratori.

D'altra parte, questo lavoro è essenzialmente basato sulle relazioni umane, sempre fonte di rischi, di insuccessi, di fallimenti. In genere i colleghi si rifugiano nelle "carte", e cioè nel lavoro amministrativo e burocratico.

Ci si accorge subito che il preside ha "perso il suo posto": moltiplica le circolari, arriva in ritardo o non arriva alle riunioni, è prodigo di deleghe generiche e senza controllo, dimentica appuntamenti, impegni e promesse; ha improvvisi scoppi d'ira anche in pubblico, diventa autoritario quando sarebbero richiesti riflessione e ascolto; si allarma per un nonnulla, resta chiuso per ore in presidenza leggendo circolari, comunicati, ecc.

Insomma "è scoppiato", in altri termini odia il suo lavoro. Ma non se ne accorge. Questo condizione può durare anni, ed anche tutta la vita professionale, senza conseguenze catastrofiche per la scuola, la quale è una organizzazione "a legame debole", cioè una struttura dove il mal funzionamento di una parte non "infetta" necessariamente l'insieme. Diceva un grande e scienziato delle organizzazione: "la scuola è come l'agricoltura, basta che piova!". D'altra parte, se viene meno la funzione dirigente, c'è sempre qualcun altro che ne fa le veci, e può essere il vicario oppure il segretario, oppure qualche insegnante carismatico e invadente. In assenza del preside "legale" c'è sempre un preside "reale" a occuparsi della baracca.

Se non volete essere "licenziato" è bene che riconosciate in tempo le cause e i sintomi dello stress (o, più precisamente del burn out) e come vi preoccupate di un raffreddore o di un altro acciacco rivolgendovi al farmacista o al medico, cercate di prendere l'iniziativa per prevenirlo o curarlo.

In generale i fattori principali che vi possono condurre a questa penosa situazione sono legati al superlavoro, soprattutto quello intenso e concentrato dell'avvio dell'anno scolastico, a cui si aggiunge spesso la sensazione di impotenza di fronte a tanti piccoli problemi di cui intravedete la soluzione (ovvia o a portata di mano), senza avere nessun potere di intervenire e decidere.

La situazione è destinata a peggiorare quando constaterete che non tutti i vostri collaboratori sono adeguatamente motivati e competenti, che le relazioni di lavoro sono spesso fonte di conflitti, di incomprensioni o di equivoci e che dovrete spendere tempo prezioso per spiegare, rispiegare e giustificare le vostre decisioni; e sprecare fatica per mettere insieme in un quadro coerente e decentemente motivato, le attese e le aspettative dei genitori, degli studenti, degli insegnanti e dell'Amministrazione.

Una rapida scorsa del schema allegato potrà forse aiutarvi almeno a riconoscere i primi sintomi della "malattia" e prendere le misure adeguate (V. Allegato O, Pensate alla salute: sintomi, cause e prevenzione dello stress.)

... e accettate di non essere più un insegnante

Come fa un preside in difficoltà a conquistarsi il consenso? A dimostrare che è disposto a comprendere, che si sente vicino? A porsi come interlocutore affidabile e competente? Spesso il preside si appella alla propria esperienza di insegnante: sono "come voi", appartengo al vostro mondo, facciamo parte della stessa famiglia di insegnanti, è solo per caso che sono costretto ad esercitare una autorità.

Questa autorità pudica e un po' "pelosa", che porta a sfumare le differenze di status e di ruolo (e di responsabilità!), significa che l'identità personale è ancora radicata in una vecchia identità professionale, non siete cosciente di esercitare un nuovo mestiere, o peggio ancora, che dubitate della legittimità della vostra posizione o della specificità delle vostre competenze.

In un mestiere in via di professionalizzazione, come l'insegnamento, è importante beninteso che presidi abbiano una reale familiarità con le pratiche degli insegnanti. Questo dà loro alcune chiavi per comprendere le loro difficoltà e i loro discorsi. Ma questa familiarità deve trovare le proprie radici in altre fonti da quelle della memoria o, peggio, della nostalgia.

Per elaborare il lutto della vostra identità di insegnante e delle competenze che gli sono associate, bisogna che siate in grado di costruirvi un'altra identità professionale, così forte e fonte di tale soddisfazione, che risponda chiaramente alla domanda: se non sono più insegnante, cosa sono oggi?

Non mancano le false piste. Possiamo essere tentati, per esempio, di ritrovarci insegnanti in un rapporto pedagogico, tra adulti questa volta, sentendoci mentore o formatore dei colleghi.

In rapporto ai supplenti eternamente precari, il preside può avere senza dubbio un ruolo d formatore, soprattutto quando si tratta di sostenere uno sviluppo personale più che di arricchire delle conoscenze. Che il preside si preoccupi della formazione continua dei suoi insegnanti e collaboratori, li orienti in funzione di un progetto e che gli dia una forte legittimità, molto bene. Ma non siete un "capo" per fare il formatore.

La specificità del mestiere di dirigente, è di lavorare sul mestiere degli insegnanti e sul mestiere degli allievi, sulle loro condizioni di lavoro, sulle crisi, sulle difficoltà, sulle sfide, sulle risorse in relazione alla formazione, alla chiarezza degli obiettivi e delle regole del gioco, del clima organizzativo, dell'ambiente, degli spazi, della organizzazione del tempo, dei mezzi materiali, della cultura comune, delle sedi e dei metodi di risoluzione dei problemi, dei luoghi e dei tempi delle interazioni. Certamente, un mestiere di relazione e di organizzazione. Senza dimenticare la sostanza di tutto questo: il lavoro degli insegnanti e quello degli allievi, e le loro relazioni.

Non è sufficiente aiutare gli uni e gli altri a vivere in buona armonia. Tutti hanno dei compiti da svolgere e il ruolo di chi dirige va al di là del "buon funzionamento": egli è garante anche dell'efficacia e del rinnovamento dell'azione pedagogica. È una competenza professionale di altra natura dalla docenza.

Bisogna rivendicarla ed essere i primi a crederci...

... e per non partire col piede sbagliato, combattete il fantasma dell'onnipotenza

Ciò che è importante nel lavoro del preside è "democratizzare la catastrofe".

Non serve prendere su di sé la croce, tutte le croci, non bisogna credere che oltre al problema, bisogna anche trovare la soluzione.

Accettate di fare parte del problema, di cercare con gli altri la soluzione, di riflettere ad alta voce, di dire i vostri dubbi, le vostre esitazioni, le vostre ambiguità, le vostre esitazioni, le vostre paure e riconoscere i vostri errori.

Dire "Non lo so. Non ho la soluzione. Cerchiamola", perché dovrebbe essere così difficile?


Circolari

Svolgeva le sue mansioni interamente nel suo ufficio: non so come facesse a trascorrere il tempo, chiuso per giornate intere in una stanza. Da quel che mi risultava, la sua principale occupazione era quella di leggere le circolari che gli giungevano da ogni dove, e sottolineare per bene le parti che voleva farci conoscere, e poi farcele firmare. Inoltre ci scriveva continuamente lettere per ogni stupidaggine: a me, in tutto l'anno, deve averne scritte almeno una quindicina. Se si pensa che controllava un centinaio di insegnanti, anche facendo una media di dieci lettere a testa (e io avevo il primato), ne scrisse in tutto almeno un migliaio. Come lavoro didattico non c'era proprio male! Tutte avevano lo stesso tono noioso e pedante, tutte quella forma che rispecchiava la mentalità del burocrate incallito, tutte, inevitabilmente, cominciavano con le parole di rito: "Con riferimento a.". Gli chiedevo una qualsiasi cosa, facevo una proposta, (sempre attraverso la segreteria, naturalmente) e, anziché rispondermi subito tergiversava e poi concludeva sempre nello stesso modo: "vedrò, ci penserò e poi le comunicherò". Dopo qualche giorno, invece di chiamarmi e dirmi a voce la sua decisione, (la mia aula distava dalla direzione non più di 15 metri), arrivava la segretaria o la bidella, secondo l'importanza della questione, con la lettera in cui il direttore esprimeva il suo parere.

Albino Bernardini,Il maestro di Pietralata 1968 pag. 74

 

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