25 Anni dopo A Nation at Risk
La Presidente dell'ADi, Alessandra Cenerini, discute con Norberto Bottani l'articolo di R. Wolk Why we are still "at risk" (Perché siamo ancora "a rischio")
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A. Cenerini
Ventisei anni fa (26 aprile 1983) veniva pubblicata a Washington da parte dell'amministrazione federale americana un'analisi sullo stato della scuola negli Stati Uniti il cui titolo è diventato famosissimo: A Nation at Risk, Una nazione a rischio.
Non vi è dubbio che quel Rapporto, redatto dalla National Commission on Excellence in Education insediata dal Presidente Ronald Reagan, abbia rappresentato una pietra miliare nella storia moderna dell'educazione americana, un atto di accusa che scosse gli Stati Uniti, e che continua a influenzare la politica educativa americana, ma non solo. Per essere più espliciti, ecco alcune delle affermazioni di quel Rapporto che ancora rimbalzano nei dibattiti sulla scuola:
- «Il nostro paese è in pericolo (....) : le fondamenta del nostro sistema scolastico sono erose da una crescente mediocrità che minaccia il nostro futuro come paese e come nazione (....) »;
- «Se una potenza nemica straniera avesse tentato d'imporre all'America il livello mediocre di prestazioni scolastiche che conseguiamo ora, probabilmente saremmo stati indotti a considerare un simile gesto come un atto di guerra (...) »;
- «La nostra società e le sue istituzioni scolastiche hanno perso di vista gli scopi fondamentali della scuola, nonché le aspettative elevate e gli sforzi metodici richiesti per conseguirli (...)".
"A Nation at Risk ha rappresentato una provocazione per la collettività scientifica che si occupa di scuola e d'istruzione, dapprima negli Stati Uniti e poi a livello planetario. E' stato un gran tonfo che ha svegliato dal torpore i centri di ricerca accademici e quelli privati o para-pubblici, le organizzazioni internazionali, le associazioni scientifiche e professionali, mettendo in evidenza il divario profondo tra le aspettative del mondo politico da un lato e le finalità della comunità scientifica dall'altro", hai scritto nel tuo recente saggio Il difficile rapporto tra politica e ricerca scientifica sui sistemi scolastici, che apre il Rapporto sulla scuola italiana 2009 della Fondazione Agnelli.
Come noto, molti si opposero alla tesi di A Nation at Risk, che addossava in sostanza alla scuola la responsabilità del futuro del Paese, sostenendo al contrario che le ragioni del declino della società e della stessa istruzione si collocavano al di fuori della scuola.
Tu stesso, se non sbaglio, non condividi l'assunto di fondo di A Nation at Risk , ma non vorrei qui entrare nel merito di tale disputa, desidererei piuttosto commentare con te l'articolo di Ronald A. Wolk del 20 aprile scorso, Why We're Still 'At Risk' (Perché siamo ancora "a rischio"), qui riprodotto in italiano, pubblicato dalla rivista Edweek, che da un anno, cioè dal venticinquennale di A Nation at Risk, dedica molta attenzione a quel lontano Rapporto.
Ronald A. Wolk muove pesanti critiche ad alcuni assunti su cui si basa la politica scolastica americana (ne sceglie cinque) e che affondano le loro radici per l'appunto nel Rapporto del 1983.
Prima ancora di entrare nel merito dei singoli punti, mi piacerebbe avere un tuo giudizio complessivo sull'articolo di Wolk.
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N. Bottani
Le accuse lanciate da Wolk, pur toccando a volte questioni reali, hanno innanzitutto il difetto di non riconoscere a A Nation at Risk un grande merito, che non può essere disconosciuto, comunque si giudichi quel Rapporto.
Occorre ricordare che le polemiche sorte attorno a A Nation at Risk, che tu hai ricordato e che divamparono nella seconda parte degli anni Ottanta, sfociarono nella sorprendente constatazione che mancavano prove documentate della validità dei punti di vista contrapposti. Quindi per evitare uno stucchevole dibattito dottrinario occorrevano prove, ma queste non c'erano!
Tale constatazione colse di sorpresa non solo gli Stati Uniti, ma anche la comunità internazionale attiva nel campo dell'educazione e i governi di molti Paesi costretti dalla crisi economica a gestire in modo oculato la spesa statale per il servizio scolastico. Si fece quindi pressante la richiesta di prove sulla validità degli investimenti per l'istruzione, anche se essa fu recepita piuttosto malamente negli ambienti scolastici, abituati a basare le proprie rivendicazioni di risorse su assiomi e postulati non dimostrati o su principi teorici non comprovati, per non dire dogmi.
La pressione per avere indicatori attendibili ha innestato un processo decisivo, che ha rivoluzionato (possiamo prescindere dall'Italia?) i vecchi modi di fare ricerca e sul piano politico ha sollecitato una serie di riforme che hanno in molti casi modificato radicalmente il paesaggio scolastico, per esempio le politiche dell'autonomia scolastica o quelle della decentralizzazione dei sistemi d'istruzione.
Uno degli effetti positivi a lunga scadenza del dibattito innestato da A Nation at Risk nel 1983 è stato dunque la diffusione a macchia d'olio delle valutazioni comparate, uno strumento di pilotaggio delle politiche scolastiche considerato oggi ineludibile.
Il secondo rilievo che mi sento di fare alla posizione espressa da Wolk è il ritenere che la situazione della scuola statale americana nel corso di questi ultimi venticinque anni non sia affatto cambiata e che le politiche e le iniziative adottate, sulla base delle presunte cinque false premesse che hanno guidato "A Nation at Risk", non abbiano assolutamente corretto o migliorato lo stato della scuola statale degli Stati Uniti.
A questo proposito sarebbe interessante una rilettura del libro di Denis Meuret Gouverner l'école, une comparaison France/Etats-Unis che è stato recensito sul sito dell'ADi.
Occorre inoltre segnalare che la qualità della scuola statale negli Stati Uniti e in moltissimi altri Paesi non è uniformemente mediocre e malmessa. In questi ultimi venticinque anni abbiamo imparato, grazie alle indagini internazionali comparate e alla pubblicazione regolare di insiemi d'indicatori internazionali dell'istruzione, che nel mondo occidentale i sistemi scolastici sono molto più differenziati e disuguali all'interno di uno stesso paese di quanto non lo siano tra paesi diversi, fra i quali esistono invece grandi similitudini.
Questo significa che all'interno di ciascun sistema scolastico esistono punte di eccellenza e abissi di mediocrità scandalosa. La forbice tra i due estremi può essere più o meno ampia entro i vari sistemi d'istruzione che sono quindi più o meno equi e giusti. E' quindi sbagliato generalizzare e fare di ogni erba un fascio.