COMPLESSITA’ DELLA FUNZIONE DOCENTE:
LIBERTA’
D’INSEGNAMENTO E ISTRUZIONE PUBBLICA
STATO GIURIDICO DEGLI INSEGNANTI
ORGANISMO AUTONOMO DELLA DOCENZA
di Carlo Marzuoli
Ordinario di Diritto Amministrativo- Facoltà di Giurisprudenza - Università
di Firenze
Alcune
premesse indispensabili: l'istruzione nelle nuove disposizioni costituzionali
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Innanzitutto alcuni dati di indispensabile premessa.
Libertà di insegnamento
La libertà di insegnamento, come tutte le libertà, si presta a tanti usi ed abusi. Può essere un modo per determinare un sistema autoreferenziale o irresponsabile o altro. Tuttavia, la libertà di insegnamento è comunque la chiave dell’intero sistema dell'istruzione pubblica, è l’unico reale valore giuridico che giustifica l’istruzione come servizio pubblico. E' dunque una libertà giuridicamente indisponibile, che deve essere salvaguardata e difesa nei confronti di chiunque: del suo stesso titolare, del potere politico, dei poteri sociali, dei poteri sindacali, delle associazioni dei genitori, ecc. Oggi, in particolare, è l’elemento di unificazione (teorica e pratica) di in un sistema altrimenti ingovernabile: una volta garantita la libertà della funzione docente, gli altri problemi diventano secondari, come vedremo.
Insomma, la libertà di insegnamento non può essere messa in discussione; bisogna solo indirizzare le energie per disciplinarla, governarla e controllarla in modo corretto: non vi sono, giuridicamente, alternative, né scorciatoie.
Il nuovo Titolo V della Costituzione
Il
nuovo Titolo V della Costituzione (legge cost. n. 3/2001) ha modificato l'assetto
generale dei rapporti fra le istituzioni pubbliche. I punti essenziali sono
i seguenti (1):
a) l' istruzione è materia di competenza legislativa regionale concorrente (art. 117, c. 2); legislazione "concorrente" significa che la fissazione dei "principi fondamentali" spetta alla legge nazionale, per il resto provvedono le leggi regionali, salvo però il vincolo al rispetto della "autonomia delle istituzioni scolastiche" (art. 117 cit.);
b) la legislazione nazionale rimane peraltro l'unica competente per quanto concerne "le norme generali sull'istruzione" (art. 117, c. 2, lettera n), nonché, per quanto interessa, la "determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale" (art. 117, c. 2, lettera m)
c) le funzioni amministrative spettano in via normale ai Comuni, salvo che esigenze di unitarietà e di altro genere impongano di attribuirle agli enti politici di più ampio livello (Provincia, Città Metropolitana, Regione, Stato) (art. 118, c. 1); nella materia che interessa determinate funzioni debbono comunque spettare ai già ricordati istituti scolastici (per effetto del già citato art. 117: vedi sopra lettera a);
d) poi, vi è la "istruzione e la formazione professionale": questa risulta oggi attribuita alla legislazione esclusiva regionale.
e) inoltre, il nuovo Titolo V prende in considerazione anche le "professioni" e prevede, in materia, una competenza legislativa regionale concorrente (art. 117, c. 3).
Le nuove
disposizioni costituzionali contengono anche (art. 118, ultimo comma ) (2)
esplicita
menzione del principio di "sussidiarietà" in senso "orizzontale"
e non solo "verticale". Esso è entrato largamente nell'uso comune
come cosa "nuova" ed è oggetto di vivo dibattito (3
).
In verità, appartiene alla comune ragionevolezza, oltre che alla tradizione
del diritto pubblico e del diritto amministrativo: quella per cui il potere
pubblico agisce sempre per uno specifico bisogno che non si può soddisfare in
altro modo e dunque è - in questo senso - "sussidiario" per definizione.
Quando però un bisogno vi è, l'attività del privato in sostituzione dell'Amministrazione
è ammissibile solamente se produce risultati identici, dal punto di vista
giuridico, a quelli che si conseguono per il tramite dell'attività esercitata
dall'istituzione pubblica.
Come si vede, per mettere in evidenza il possibile ruolo del privato non occorre scomodare le tante problematiche e le tante discussioni evocate dal principio di sussidiarietà: basta ricordarsi della vecchia, ma tuttora buona, figura del "privato esercente un pubblico servizio", il concessionario.
Infine, vi è la proposta di modifica del nuovo Titolo V, approvata dal Consiglio
dei Ministri: dove
è previsto un ulteriore spostamento di pezzi di istruzione alle Regioni (4):
di questo, peraltro, non si tiene conto, per evitare ogni confusione, in una
situazione già di per sé complessa e in fase di transizione, fra norme e propositi
di norme, che sono tutt'altra cosa.
La
funzione docente come libertà di insegnamento.
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Funzione docente e servizio dell'istruzione pubblica: coincidenza , implicazioni
Il cuore del sistema di istruzione (5),
si è anticipato, è la funzione docente. Per "funzione" si intende
un'entità obiettiva, cioè un certo compito, una qualche specifica cosa da fare.
Deve essere tenuta separata da chi la esercita, che giuridicamente rappresenta
un altro aspetto. Ad esempio: il giudicare, e non il giudice; l'insegnare, e
non l'insegnante.
La distinzione è particolarmente importante perché l'uno e l'altro elemento- la funzione, chi esercita la funzione- sono strettamente legati e dunque si condizionano reciprocamente.
Ebbene, conviene allora chiarire che, in materia, è la disciplina della funzione, sulla base delle caratteristiche sue proprie , a condizionare la regolamentazione concernente chi la esercita, cioè il personale addetto, e non il contrario.
Ad esempio, se la funzione docente deve essere libera, il rapporto di lavoro del docente deve essere disciplinato in modo compatibile con detta caratteristica di libertà. Tutto questo innanzitutto a tutela non di un interesse- legittimo, ma individuale- dell'insegnante, bensì di un inderogabile interesse pubblico- determinato dalla Costituzione- : un insegnamento in condizione di libertà.
Nel nostro ordinamento costituzionale (vecchio e nuovo) l’attività docente può configurare almeno due diversi fenomeni.
1. L'attività di insegnamento può essere un puro fatto privato, espressione di libera manifestazione del pensiero o di libertà di iniziativa economica. Ad esempio, una signora/un signore che si ferma in mezzo alla strada e comincia a insegnare qualche cosa. Naturalmente, non dovrà costituire intralcio alla circolazione; non dovrà disturbare la quiete pubblica; se richiesto, dovrà pagare la tassa di occupazione di suolo pubblico; se insegna ricavandone un corrispettivo dovrà, dovrebbe, pagare le imposte; vi potranno essere limiti di abilitazione, a tutela della fede pubblica, e simili, ecc. Ma, come si vede, siamo in un ambito di limiti di carattere estrinseco, generale, in vario modo concernenti qualsiasi attività. Oppure: si può pensare a chi esercita attività di insegnamento nell'ambito di un'organizzazione creata, per i motivi più vari (profitto, solidarietà, proselitismo, ecc.), al fine di erogare istruzione, cioè in una scuola. Se questa scuola non pretende di avere un particolare rilievo giuridico ai fini del riconoscimento e della certificazione di ciò che viene fatto, siamo sempre entro una dimensione di libertà dei privati; gli eventuali limiti (magari quelli concernenti i requisiti tecnici o altri specificamente connessi al fatto che si esercita attività di istruzione e non di commercio di generi alimentari, ad esempio) non trasformano l'attività in un qualche cosa di "pubblico", che è ritenuto indispensabile dai pubblici poteri. Vi è, non vi è: questione che interessa i privati, e la loro libertà. E' l'ipotesi dell'art. 33 Cost ., quando parla del diritto dei privati di istituire scuole "senza oneri per lo Stato". Qui la funzione docente rimane un fatto che rileva nei rapporti interprivati. La sua tutela è rimessa in gran parte al normale meccanismo che crea e governa il rapporto fra privati: il consenso. Una scuola di tendenza potrà ben allontanare il docente che risulta non compatibile (esiste anche la libertà del committente). Potranno operare solo dei meccanismi di tutela validi in generale per tutti i prestatori di lavoro.
2. Poi vi è un'attività di insegnamento che:
Il fenomeno che ci interessa è questo: la funzione docente quale elemento centrale del servizio di istruzione pubblica.
Il rapporto fra funzione docente e servizio di istruzione pubblica è decisivo sotto più profili.
· Primo. La libertà di insegnamento è l'altra faccia del servizio di istruzione pubblica. Nel nostro sistema costituzionale l’istruzione pubblica deve essere esercitata in condizioni di neutralità ideologica. L’unico pluralismo possibile è quello contestuale , perché mette a confronto e dunque materializza e ricorda l’esistenza del diverso (quanto al pensiero, ai costumi, ecc.). Il punto è fuori discussione: la legge, ad esempio, n. 176/1991 ( di esecuzione della convenzione delle Nazioni Unite sui Diritti dell’Infanzia, New York 1989) è chiarissima, anche se un po' semplicistica: “gli Stati parti convengono che l’educazione del fanciullo deve avere come finalità: (….) b) di inculcare al fanciullo il rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e dei principi consacrati nella Carta delle Nazioni Unite”. Il pluralismo si può avere solo se ogni insegnante può operare in condizione di libertà ( di insegnamento). Da questo punto di vista possiamo dire che la libertà di insegnamento è strumento per il servizio di istruzione pubblica.
· Secondo. Al tempo stesso, siccome il potere pubblico è l'unico committente che - giuridicamente e necessariamente - non ha una propria ideologia da imporre (salvo i valori del pluralismo democratico e della tolleranza), è evidente che il servizio di istruzione pubblica è l'unico modo per assicurare una piena realizzazione della libertà di insegnamento. Infatti, se essa fosse per intero attribuita alla disciplina caratteristica dei rapporti fra privati (il contratto), non potrebbe che subire il condizionamento dell'altrettanto legittima posizione di libertà, economica o ideologica, del datore di lavoro. In altri termini, di contro a idee tanto diffuse, è proprio la necessaria dimensione pubblica la più formidabile garanzia della libertà di insegnamento: come per il giudice, ad esempio.
Dunque, la libertà di insegnamento vive nel modo più garantito in un contesto
in cui la logica di mercato non è e non può essere quella dominante.
Ciò è inevitabile, e comporta due ulteriori problemi, di cui occorre essere
consapevoli:
a) il fatto che non vi sia una esclusiva logica di mercato non significa che il servizio in cui è inserita l'attività di insegnamento non debba seguire criteri di economicità, produttività, efficacia, efficienza; anzi, bisogna predicare e praticare ancora maggiore virtù: lo stato "sociale" esige rigore; per soddisfare i diritti di chi non è in grado di provvedervi con i propri mezzi occorrono risorse create dal lavoro (le leggi non bastano, di per sé): meglio si utilizzano, più esteso è il soddisfacimento dei bisogni sociali.
b) poi , vi è la necessità di inventare appositi strumenti di controllo, visto che non vi è o che vi può essere solo parzialmente il cosiddetto controllo del "mercato".
L'ipotesi
dell'ordine professionale: uno strumento inadatto e parziale
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Precisata l'identità di ciò di cui si parla, si può passare ad esaminare i possibili modelli da utilizzare per darne una disciplina giuridica appropriata. La prima ipotesi da considerare è quella dell'ordine professionale.
L’ordine professionale nasce, in generale, per tutelare soggetti che operano
nel mercato e i loro clienti. Per questo l’ordine professionale diventa un
organismo pubblico, con varie potestà, relative all'accesso alla professione,
alla deontologia, alla disciplina, alle tariffe (6).
L’ordine professionale limita la libertà di attività economica; rischia di
paralizzare l’emersione di nuove attività e di chiudersi in tutele corporative:
il dato di esperienza è assolutamente diffuso (7).
Ordini e collegi professionali non sono considerati con molto favore in
sede comunitaria: il diritto comunitario vuole eliminare gli intralci alla libera
circolazione dei servizi (le professioni) e al diritto di stabilimento, tanto
che, ad esempio: considera gli ordini come associazioni di imprese, ai fini
dell’applicazione delle norme sui trattati (8);
afferma che i requisiti e le prove non debbono essere usati come restrizioni
all’accesso; e rilievi del genere sono formulati anche dalla nostra Autorità
garante della concorrenza e del mercato (9
).
Neppure bisogna trascurare che se da un lato la corporazione difende la categoria, dall'altro il singolo componente si trova affidato alla struttura di potere della corporazione. Come ciascuno di noi sa talora il pericolo maggiore, spesso, viene proprio dal collega, specie se diviene maggioranza e se viene investito del crisma di un pubblico potere. Voglio dire, la vita delle minoranze, in questi ambiti, è grama. Non a caso, si tratta di modelli che, in parte decisiva, vengono dallo Stato assoluto.
Il rimedio, posto che vi sia, è nella circostanza che la corporazione ed i suoi appartenenti vivono nel mercato. Ebbene , nel nostro caso: il mercato dov'è? Non c’è.
Ma, soprattutto, la funzione docente ha un connotato essenziale in termini di libertà, per ragioni di interesse pubblico, e non è disponibile neppure ad opera dell’insegnante, singolo o associato: qui infatti non vi è da tutelare il cliente (non vi è un cliente, vi è un cittadino utente di un pubblico servizio), ma l’indispensabile pluralismo del sistema.
L’ordine professionale mi pare un modello inadatto, e del passato: l’istruzione è libertà, è apertura. Può essere utile, a riprova, ricordare, ad esempio, che i professori universitari non hanno un ordine, e non ne sentono la necessità.
Il punto è che, comunque , non basta l’ordine professionale. Ci sia o non ci sia l’ordine, ci vuol ben altro per garantire la libertà della funzione docente. Occorre invece una determinata configurazione dell’organizzazione complessiva in cui si opera: i rapporti con la scuola, con i genitori, con gli alunni, con il potere pubblico locale e nazionale, con i gruppi sociali, ecc.
Dove
intervenire: non su uno, ma su più profili
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L'oggetto da disciplinare è complesso e la soluzione più adatta esige che si intervenga non su uno ma su tanti e diversi profili. Segnalo i più importanti (dal punto di vista giuridico, naturalmente).
Innanzitutto, bisogna riprendere il capitolo della disciplina con legge della funzione docente. Gli aspetti decisivi debbono essere disciplinati con legge, in modo uniforme su tutto il territorio nazionale. Ecco qui il vero ordine professionale che serve: una legge, che sia l’immagine della funzione dell'insegnante, del suo ruolo, del suo stato giuridico fondamentale, dei tratti essenziali che lo identificano come addetto ed espressione di una particolarissima professione: l’insegnamento come funzione pubblica.
Vediamo alcune implicazioni.
La disciplina con legge della funzione docente
E' un principio tuttora utile- indispensabile, in verità- quello per cui una disciplina con legge costituisce un sistema che offre garanzie maggiori. E' vero che il governo è collegato ad una maggioranza parlamentare (e ciò in modo ancor più netto in un sistema maggioritario), ma è comunque sempre meglio far passare le decisioni dal Parlamento: in Parlamento può partecipare alla discussione anche la minoranza, la sede parlamentare garantisce maggiormente pubblicità e trasparenza e dovrebbe garantire anche - tendenzialmente- un esame più meditato.
Da molti anni, si sottolinea che occorre rendere più veloci i processi decisionali pubblici e a questo fine si sono molto dilatati i poteri governativi e ministeriali di intervento con regolamento, fino alla cosiddetta “ delegificazione ”.
L'esigenza è di per sé seria e deve essere soddisfatta, ma non può travolgere tutto, altrimenti diventa inefficienza. Accanto al "far presto" rimane pur sempre il "che cosa fare" e gli aspetti fondamentali possono essere risolti in modo utile ed efficace solamente attraverso un confronto fra tutti: e se non si fa con legge lo statuto della funzione docente, cioè l'essenza dell'istruzione pubblica, che cosa si deve fare con legge?
D'altra parte, anche i principi costituzionali di imparzialità e buon andamento (art. 97) esigono, in relazione alla funzione docente, una disciplina legislativa.
Ma vale anche la pena di ricordare, a ulteriore elemento di conferma, che
professori e ricercatori universitari sono tuttora esclusi (addirittura completamente)
dalla privatizzazione (10).
Se c'è una spiegazione, e se essa dipende dalla particolare funzione esercitata,
che in parte è l'insegnamento, mi pare che debba valere anche per gli altri:
per i docenti degli altri settori del servizio di istruzione pubblica.
Non ci facciamo dunque impressionare: un intervento legislativo, dal punto di vista giuridico, sarebbe tempo speso bene.
I tratti essenziali della funzione docente non possono essere oggetto di contrattazione, come non lo sono i tratti della funzione giurisdizionale (della funzione del giudice) . Non si vuol dire, ovviamente, che in materia - di organizzazione dell'istruzione e di rapporto di lavoro- non vi debba essere contrattazione sindacale, si vuol solo ricordare che la contrattazione sindacale, come da tutti riconosciuto, in termini astratti e generali, non può disciplinare ogni aspetto.
Sotto altro profilo, non vi è dubbio alcuno che si possa provvedere ad una verifica e ridefinizione dell'aspetto in esame. La legislazione che ha introdotto la privatizzazione di una parte dell’organizzazione delle Amministrazioni e la privatizzazione e contrattualizzazione del rapporto di lavoro (in origine D. Lgs . n . 29/1993, oggi D. Lgs . n . 165/2001) è legislazione ordinaria e dunque si può cambiare secondo le normali procedure legislative.
Ultimo punto. Chi è competente, a seguito del nuovo Titolo V? A mio avviso, lo Stato, in sede di emanazione delle "norme generali sull’istruzione": queste norme generali, se non definiscono la funzione docente, cioè l’anima necessariamente unitaria e indivisibile di tutto il sistema, a che cosa servono?
Funzione
docente e scuole statali, pubbliche non statali, private
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Oggi, il sistema dell'istruzione comprende anche le scuole non statali (pubbliche o private) "paritarie": legge n. 62/2000. Ma scuole del genere vi erano anche prima. La differenza con il passato è che la legge n. 62/2000 sembra averne "normalizzato" la presenza.
La legge, a mio avviso, è costituzionalmente illegittima. Si noti, però: è illegittima,
non perché introduce scuole private, ma perché introduce nel sistema dell'istruzione
pubblica scuole con una particolare tendenza. (vedi il comma 3, art. 1, sul
rapporto fra progetto educativo e "ispirazione ….religiosa") (10bis.).
Conviene chiarire. Quando , in materia, si parla di tendenza, occorre distinguere fra tendenza di tipo "ideologico" e autonomia tecnico-scientifica e culturale. Per quanto possa in concreto essere difficile, la separazione deve essere comunque fatta: ne dipende la possibilità di configurare l'insegnamento come professione. E qui si parte dalla premessa che l'insegnamento è una professione.
Questo precisato, è ovvio che la tendenza e l'autonomia tecnico-scientifica-culturale sono indispensabili: si tratta proprio di ciò che si vuole sviluppare attraverso la libertà di insegnamento, e dunque è benvenuta.
Il problema si pone per la tendenza ideologica: questa è incompatibile con la libertà di insegnamento e dunque contrasta con l'essenza del servizio di istruzione pubblica.
Ricapitolando: sostenendo che la legge n. 62/2000 sia costituzionalmente illegittima non voglio dire che il sistema dell'istruzione pubblica non possa comprendere scuole non statali, pubbliche o private; possono essere ammesse, purché rispettino certi requisiti e certe regole, prima fra tutte la "neutralità" o il "pluralismo".
Conclusione: lo statuto della funzione docente deve essere - naturalmente - il medesimo per qualunque tipo di scuola (statale, pubblica non statale, privata, altro ) che sia ammesso ad operare nel servizio dell'istruzione pubblica. Invece, a fronte di questa essenziale esigenza, la legge n. 62/2000 lascia inalterate le profonde diversità al riguardo esistenti fra scuole statali e scuole "paritarie"; a parte altri profili, il comma 4, art. 1, alla lettera h, pare liquidare la questione rimettendosi al rispetto dei "contratti collettivi nazionali di settore". Ebbene: è troppo poco. Come in precedenza detto la "funzione docente", nel sistema dell'istruzione pubblica, è un "bene" di cui solo il legislatore, per di più con precisi vincoli costituzionali, può disporre e dunque essa deve essere, nei suoi tratti determinanti, disciplinata con legge .
Dunque: eliminiamo pure una barriera (l'assoluta generalizzata necessarietà della " statualità ") e largo a chi ha interesse. Ma senza barare; carte eguali per tutti, altrimenti, non di libertà si tratterebbe, bensì di privilegio; e, oggi, le carte eguali per tutti, con la legge n. 62/2000, non vi sono.
Funzione
docente e sua interna differenziazione.
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Posizioni giuridiche di particolare libertà e autonomia, all'interno di un servizio che è pubblico, perché volto a perseguire interessi di altri - della collettività -, sono in genere collegate e giustificate dalla speciale competenza tecnico-professionale del soggetto che ne diviene titolare.
Viene allora in evidenza un aspetto che tutti vorremmo che non esistesse, io credo, ma che esiste e con cui bisogna fare i conti.
La categoria degli insegnanti comprende sette/ottocentomila persone. E' sicuro ( vale ovviamente per ogni categoria, compresi i professori universitari) : più esteso il gruppo, meno alto il livello medio.
Considerazione inevitabile: occorre differenziare, identificare e formalizzare un nucleo che esprima le capacità massime della categoria, affinché possa costruirne e diffonderne l'immagine nei confronti della società e perché possa altresì costituire un oggettivo elemento di spinta verso l'alto per tutti.
Giuridicamente non è un problema di disciplina del rapporto di lavoro, è un problema di specificazione della funzione docente e dovrebbe essere affrontato con legge.
Un'appendice
importante: la necessità di promuovere l'utilizzazione, da parte delle
singole scuole, delle più varie competenze ed esperienze (gli "esperti").
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Quanto al tipo di personale, di "competenze", necessario per il servizio dell'istruzione pubblica, e dunque per ogni scuola, è da fare un'appendice, che riguarda un argomento non nuovo ma ancor più importante nell'impostazione qui esposta.
La scuola, come sede in cui gli insegnamenti sono organizzati ed erogati verso una finalità unitaria, deve avere un'autonomia sempre più incisiva, entro i limiti fissati dal potere politico (standard, ecc.); e deve avere collegamenti con lo sviluppo delle tecniche, con la maturazione delle esperienze, con la "creatività", le "abilità", le risorse (individuali e sociali) del territorio in cui si trova: deve poter avere la possibilità (pur se entro uno schema fondamentale) di aprirsi, di comporre, di inventare, di concorrere alla "scoperta" e valorizzazione di "capacità" che il corpo sociale manifesta.
Tutto questo implica che la scuola, per accrescere la stessa efficacia didattica e formativa degli insegnamenti essenziali, possa ampiamente utilizzare degli "esperti", da intendere come persone portatrici di esperienze e di conoscenze comunque ritenute significative da quella stessa scuola, in relazione al suo progetto didattico e formativo, indipendentemente da qualsiasi titolo giuridico formale (che vi potrà essere o non essere).
Ad esempio, potrebbe risultare opportuno acquisire, per poche o per molte ore non importa (lo deciderà la singola scuola, appunto), la sapienza (o la manualità, o l'una e l'altra): di uno specialista super-titolato, o di un artigiano, o di un tecnico del suono o dell'immagine, o di un ottimo narratore, o di un pubblicitario, o di un grafico, o di un tecnico dell'uso del colore con il computer, o di un cittadino che rappresenta ed esprime (nel rispetto delle regole di imparzialità e di contraddittorio) una certa memoria storica, o di un artista, o di un genio, o di un consulente finanziario, o di un imprenditore, o di un clown, o di un poeta, o di un pilota, o di un organizzatore di feste, o, più semplicemente, di un "diverso" (se significativo).
Al riguardo, la "funzione docente" e la figura del docente, intese come quell'insieme di compiti, di poteri, di diritti e di responsabilità prima descritte, sono inappropriate.
E' invece da prevedere e da promuovere, in via generale (come sistema, e non come eccezione), la possibilità di impiegare, secondo le concrete annuali determinazioni della scuola, una figura come quella ora tratteggiata, sulla base di contratti in cui siano a volta a volta determinate, in stretta aderenza alle esigenze dei corsi di insegnamento e alla linea ispiratrice del progetto complessivo (nei limiti degli standard), le specifiche prestazioni richieste, la loro durata e le modalità di inserimento nell'organizzazione dei corsi.
Vorrei infine sottolineare che questo è un modo (certo non l'unico, ma forse non il peggiore) con cui si possono contemperare e dunque salvaguardare due esigenze altrimenti destinate a entrare in grave conflitto:
a) la libertà di insegnamento, che pretende, in assoluto, un determinato statuto giuridico, stabile e tutelato;
b) la possibilità, per le singole scuole, di procurarsi in una qualche misura "competenze" ed "esperienze" oltre le rigidità necessariamente imposte dallo statuto della funzione docente, cosicché le scuole stesse potranno essere, nel contempo, sia garanti della libertà di insegnamento sia più autonome: più impegnate creativamente nel perseguimento degli obiettivi dell'istruzione indicati dal potere politico, più efficienti, in un più intenso rapporto continuo e fattivo con la realtà che le circonda (quella vicina e quella lontana).
In questo senso e in questi limiti, si può utilizzare un meccanismo caratteristico degli ordini professionali, ma non da solo, come si vede.
La
partecipazione: una questione da chiarire
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L'istruzione è insegnamento. L'insegnamento è libertà, entro limiti determinati. Le strutture in cui si manifesta detta libertà debbono essere organizzate in modo con essa compatibile. Il discorso investe l'istituto scolastico autonomo: la sua identità e la sua struttura.
Il tema è complesso, ma non si può rinunciare ad uno schema chiaro, per quanto, ovviamente, discutibile.
La funzione docente, nel sistema dell'istruzione pubblica, è attività tecnico-specialistica da esercitare in condizione di libertà, fermi gli standard e gli obiettivi fissati dal potere politico. Ma essa non si esercita in solitudine: è correlata, per definizione, ad un interlocutore attraverso un legame che è, o dovrebbe essere, interagente e dunque in qualche misura personalizzato . Siamo nell'ambito dei servizi alla persona, standardizzabili solamente in parte: l'insegnamento non è un'attività volta a produrre utilità in modo seriale, buona per chiunque. Gli alunni, ma anche genitori e famiglie, debbono essere considerati nella loro specifica condizione proprio per ben esercitare l'attività tecnico-professionale dell'insegnamento.
Nell'ambito dell'istruzione abbiamo dunque tanti attori, insegnanti, studenti, genitori. La loro ineliminabile compresenza non può però tramutarsi in commistione di ruoli e di responsabilità. E ciò non contro, ma a garanzia dell'identità di ciascuno degli attori e dei suoi diritti, doveri, responsabilità.
L'istruzione è pubblica perché è pagata con soldi pubblici e perché corrisponde a un interesse della società, e non ad un bisogno solo individuale .
L'istruzione di un cittadino è una vicenda che non si esaurisce nel rapporto con il cittadino utente, l'alunno, e la sua famiglia, coinvolge invece l'interesse di qualsiasi cittadino. Il risultato da conseguire non corrisponde a ciò che soggettivamente vuole il singolo, ma ad uno standard fissato dal potere pubblico: il titolo di studio si rilascia o si nega in base all'esito di determinate prove tecniche, indipendentemente dai desideri dell'interessato.
Insomma, non è pensabile - giuridicamente - un'assimilazione fra il cittadino
che fruisce del servizio di istruzione pubblica e la figura del "cliente",
il quale vuole una prestazione che soggettivamente lo soddisfi. Nell'istruzione
pubblica deve essere perseguito un risultato definito in termini oggettivi,
e non soggettivi: la volontà di ciascun singolo "cliente" (11).
Non a caso, l'istruzione è obbligatoria, per una parte non piccola.
Se, poi, si pensa al titolo di studio, che attribuisce delle utilità immediate (non so se più o meno nobili della cultura in sé, ma certo più desiderate, come è giusto che sia), pare evidente che studenti (e genitori, per quanto di loro spettanza) sono in posizione di alterità rispetto alla scuola; alla fin fine, in queste contesto, sono in posizione di contro-parte: infatti sono titolari di una situazione soggettiva giuridicamente qualificata come loro propria e possono perciò rivolgersi al giudice per chiedere l'annullamento della decisione negativa adottata dall'amministrazione scolastica.
Del resto, è normale, anche se non esclusivo, aspetto della condizione dello studente quello per cui egli è autore di comportamenti, attività e atti oggetto di una valutazione a cui provvede-deve provvedere- la scuola in nome dell'interesse di tutti i cittadini, i quali al finanziamento della scuola contribuiscono e che dalla scuola si attendono, anch'essi, un'utilità sociale.
Allora, se riflettiamo, con serenità, ma fino in fondo, la conclusione è obbligata.
L'interesse pubblico in materia di istruzione si affida alla funzione docente come a una funzione, in posizione di libertà, di carattere tecnico-specialistico (pur con le particolarità sopra ricordate); di conseguenza l'autonomia della scuola altro non è se il prodotto, sul piano della struttura organizzativa, della libertà e autonomia tecnico-specialistica-culturale degli insegnanti, che deve potersi esprimere pienamente.
Da questo punto di vista non si può dunque che auspicare, quanto agli organi di governo e di gestione dell'istituto scolastico, la completa eliminazione di forme di corresponsabilità e di commistione con categorie non aventi l' apposita legittimazione tecnico-specialistico-culturale .
Il discorso, tuttavia, non può finire qui; vi è da sistemare l'altro tassello. Si è già detto che studenti e genitori sono anch'essi, sia pure in misura diversa, indispensabili attori: qual è il palcoscenico per loro più adatto e pertinente?
L'esclusione di forme di cogestione non significa sottovalutazione di esigenze partecipative, vuol essere invece motivo per forme di partecipazione coerenti con l'irriducibile diversità dei ruoli dei vari attori, perciò più efficaci e meno esposte al rischio di ossificarsi in forme giuridiche burocratiche fino al punto da divenire l'esatto contrario di ciò che dovrebbero essere (e l'esperienza di questo quarto di secolo di organi collegiali parrebbe … istruttiva).
Gli strumenti sono tanti: i diritti di libertà di riunione, di accesso ai documenti, di trasparenza delle decisioni della scuola, di formulazione di proposte, ecc., la possibilità di prevedere che determinate decisioni siano assunte a seguito di conferenze pubbliche, o previa acquisizione del parere e della rappresentazione dei bisogni di genitori e di studenti in specifiche riunioni; oppure la istituzionalizzazione di conferenze periodiche pubbliche in cui l'istituzione scolastica mette a conoscenza dei suoi studenti e genit anche di tutte le presenze sociali nel territorio (istituzionali e non) i suoi programmi, progetti, risultati, e nel contempo si procura i suggerimenti, le indicazioni, le critiche che ne scaturiscono, ecc. E si pensi anche alle infinite forme di rapporto e di collaborazione che mediante accordi e convenzioni sono possibili con le istituzioni, le formazioni sociali, ecc.
Non è possibile soffermarsi sull'argomento, un punto tuttavia merita di essere segnalato, a esemplificazione di quanto si cerca di dire molto sinteticamente.
La legislazione più recente, in materia di pubblici servizi, ha previsto un
nuovo strumento giuridico, dalla "carta dei servizi", a cui
si deve aggiungere, per quanto riguarda l'istruzione, il "piano dell'offerta
formativa" (POF) (12).
Perché una "carta dei servizi" e atti come il POF?
Scrivere in una norma che esiste il diritto all' istruzione è facile dal punto di vista tecnico-giuridico (altra cosa è , ovviamente, sul piano storico-politico ), ma come renderlo operativo? Che cosa implica per il "diritto all'istruzione" di Franceschina o di Franceschino, o di Kalim (e non di Giovannina o di Giovannino), appartenenti a una certa famiglia (Rossi, e non Bianchi) o magari con una situazione familiare complicata, con certi aspetti di carattere e non con altri, con un certo "imparato", e non con un altro, in certe condizioni materiali di vita, in quel certo momento, con certe difficoltà di manifestazione dei bisogni e delle capacità, con certe urgenze, ecc.? Il giurista, compreso quello che ha un potere di impero (il giudice), può spremere la sua fantasia, ma non arriva molto lontano.
La verità è che in tutti i servizi, e massimamente nei servizi che coinvolgono l'individua personalità del destinatario, come l'istruzione, vi è bisogno di atti che, in relazione alle concrete situazioni di tempo, di luogo e di ambiente, determinino e precisino pubblicamente, in modo giuridicamente impegnativo, qual è la prestazione di istruzione che sarà messa a disposizione di quella concreta collettività e di quelle certe individualità: Franceschina e Franceschino, e Kalim , ma anche Giovannina e Giovannino, ecc.
Ecco la carta dei servizi e - anche - un atto come il POF: il diritto all'istruzione,
statuito nella norma della legge (o della Costituzione) in termini astratti
e generali, comincia ad avere un contenuto determinato, diviene visibile e
perciò oggetto di una pretesa effettivamente tutelabile, se del caso, anche
dinanzi ad un giudice (13).
Tutto questo però può realizzarsi solamente sul presupposto di un' alterità
fra chi ha la responsabilità del servizio e chi ha diritto al servizio. Il cittadino
(e ancor più il cittadino-alunno) ha diritto ad essere aiutato, ascoltato, capito,
ai fini della determinazione della prestazione di istruzione, e dunque ha diritto
di partecipare alle procedure (14);
ma la decisione e la conseguente assunzione di responsabilità non possono che
appartenere allo specialista dell'istruzione e alla struttura in cui la sua
competenza si esprime (la scuola): a chi altri mai, se non a loro?
La partecipazione giuridicamente più corretta, e in fatto più utile, è soprattutto di questo tipo: una partecipazione chiamata a esprimersi sul piano delle iniziative sostanziali, a incidere per i contenuti del suo "discusso", "manifestato", "pensato"; e non una partecipazione interna, organica, condizionata dalla tentazione o dall'impossibile pretesa di rappresentare l'intera collettività sol perché assorbe alcune delle sue componenti.
Restituzione di una piena responsabilità alla componente tecnico-specialistico-culturale della scuola ed eliminazione di ogni sovrapposizione/confusione fra utente e gestore sono dunque i mezzi per recuperare una partecipazione autentica, efficace e realmente rappresentativa di idee, di interessi, di bisogni, di progetti, di utopie, di tutto ciò che nella società vive e si muove, e dunque, in ultima istanza, per dare corpo vero alla dimensione "non solitaria" dell'insegnamento, che ne è imprescindibile, e fortunata, prerogativa anche sotto il profilo tecnico-specialistico.
Tutto si tiene, come si vede. Purtroppo, le linee su cui si discute in Parlamento
non sono confortanti: il nodo centrale neppure è sfiorato (15).
Altri
profili (cenno)
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Altri profili determinanti sono il potere di indirizzo in ordine ai profili tecnici dell'istruzione e l'attività di programmazione delle sedi, di istituzione delle scuole, di organizzazione complessiva del servizio. Si possono fare solo dei cenni.
Indirizzo tecnico: standard, curricula , ecc.
L’indirizzo tecnico (standard, curricula , ecc.) spetta al potere politico,
nazionale e, in parte, regionale.
La Regione è potere politico democratico della stessa qualità dello Stato e
non vi è ragione per escluderla da una qualche partecipazione alla definizione
dei livelli tecnici dell'istruzione (16).
Ogni diversa soluzione presupporrebbe una minorità giuridica della Regione
che non è giustificabile, alla luce del nuovo Titolo V della Costituzione. Ciò,
a sua volta, sarebbe fatalmente motivo di confusione, specie se si considera
la competenza esclusiva regionale in materia di "istruzione e formazione
professionale" e la necessità di ricollegare la "istruzione"
e la "istruzione e formazione professionale". Naturalmente, tutto
quanto nei limiti delle "norme
generali sull'istruzione" dettate a livello nazionale.
Di questo conviene rapidamente prendere atto anche per evitare di concentrare l'attenzione su un aspetto, il rapporto fra Stato e Regioni, che tutto sommato è secondario, ai fini che ora interessano.
La partita, vera, complessa e delicata, si giuoca nel rapporto fra corpo tecnico, gli insegnanti, e potere politico: da una parte è - e deve essere - il potere politico (statale, regionale, ecc.) a fissare i livelli di apprendimento che la società vuole e che perciò finanzia attraverso il prelievo fiscale, come precedentemente detto, ma, da un'altra, queste decisioni debbono essere prese in un quadro in cui:
a) siano state acquisite tutte le valutazioni di carattere tecnico necessarie allo scopo, e qui tornano in evidenza, ad esempio, le indicazioni date sull'organismo espressione degli insegnanti, e quanto detto sulla libertà d’insegnamento e sulla disciplina con legge della funzione docente
b) e siano in ogni caso lasciati spazi significativi di autonomia ai docenti e alle strutture (le scuole ) affinché possano manifestare la loro competenza non in astratto ma in concreto, nel contesto di ambiti territorialmente, culturalmente, economicamente, socialmente, ecc., delimitati, sia nelle loro carenze sia nelle loro potenzialità.
Programmazione delle sedi, organici, personale , ecc.
Per quanto concerne la programmazione delle sedi, organici, personale , ecc. vi è solo da completare il percorso iniziato con la legge n. 59/1997 e con il D. Lgs . n . 112/1998.
Una menzione a parte deve essere fatta per il personale: nel nuovo assetto, ferma la disciplina con legge nazionale della libertà di insegnamento e delle garanzie di stato giuridico, uguali per ogni insegnante, in ogni angolo della Repubblica, il datore di lavoro più appropriato non può che essere la Regione.
Nota
finale: prima viene il controllo.
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Da ultimo viene il controllo. In realtà, come già è emerso ripetutamente, è il primo elemento a cui pensare. Dal controllo si deve ricominciare. La predeterminazione di criteri e di standard è la faccia rovescia dell'autonomia degli insegnanti e della libertà di insegnamento. Di più: è il modo con cui la categoria rende visibile alla società la sua competenza tecnica e la sua idoneità ad assumersi il compito dell'istruzione pubblica.
Inutile dilungarsi. Vi è ancora molto da fare: la recente legislazione (17)
rappresenta solo l'inizio, peraltro troppo lento e troppo poco incisivo. Ma,
soprattutto, il nuovo non può indurre a dimenticare il vecchio, per quanto rinnovato:
un sistema di controllo (con gli opportuni adattamenti) come pochi altri significativo
è la verifica dell'apprendimento dei discenti ad opera di esterni: non è possibile
(18
)
che questa Repubblica non sia in grado di organizzare esami con criteri e cadenze
uniformi. Sarebbe, anche questo, un non ultimo profilo per contrassegnare
l'identità della professione di insegnante del sistema dell'istruzione pubblica:
una categoria che opera in un rapporto di leale attuazione e collaborazione
con gli indirizzi politici e con i bisogni sociali; una categoria soggetta a
forme serie ed obiettive di controllo, ma libera e garantita dalla legge nell'indicare
e nel proporre il suo intrinseco tecnico e dunque capace di trasformare con
i fatti la libertà di insegnamento in un "insegnamento di libertà"
(19
),
perché applicato, vissuto, dimostrato, esemplificato, nella trattazione di
oggetti tecnicamente, scientificamente e culturalmente definiti.
Carlo Marzuoli
( [1] ) Vedi M. Gigante, La riforma del titolo V della Costituzione. Una nuova prospettiva per l'autonomia ? , in Autonomia e Dirigenza , 2001, nn. 4-5-6 , pag. 6 e segg. ; A. poggi , Riforma del sistema di istruzione-formazione e assetto delle competenze. Un'ipotesi di lettura della normativa costituzionale dopo la revisione del Titolo V, in corso di pubblicazione su Le Regioni, 2002 .
( [2] ) Che così dispone: "Stato, regioni, Città metropolitane, Province e Comuni favoriscono l'autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà". Il principio di sussidiarietà in senso "verticale" riguarda invece la distribuzione dei compiti (non fra istituzioni pubbliche e privati, ma) fra istituzioni pubbliche e vuole che le funzioni siano attribuite all'ente più vicino alla comunità interessata, salvo che determinate esigenze ( di unitarietà, di adeguatezza tecnica, ecc.) non ne impongano il conferimento ad ente di più ampio livello (come previsto, ad esempio, dall'art. 118, c. 1, cit.).
( [3] ) Per indicazioni di vario segno e per interessanti notazioni si rinvia ai saggi di A. Albanese e di G. U. Rescigno in corso di pubblicazione su Diritto Pubblico, 2002, n. 1, nonché alla monografia di A. Poggi , Le autonomie funzionali tra << sussidiarietà verticale >> e << sussidiarietà orizzontale >> , Milano, 2001, in specie pag. 270 e segg.
( [4] ) Come la legislazione esclusiva in materia di "organizzazione scolastica, gestione degli istituti scolastici e di formazione", nonché di "definizione della parte dei programmi scolastici e formativo di interesse specifico della Regione".
( [5] ) In materia è tuttora fondamentale U. Pototschnig , Insegnamento. Istruzione. Scuola, in U. Pototschnig , Scritti scelti, Padova, 1999 (ma è del 1961), pag. 678 e segg.; per la letteratura più recente vedi in particolare S. Cassese , La scuola italiana tra Stato e società: servizio pubblico statale e non statale, in Foro it. 1991, V, pag. 213 e segg.; S. Cassese , << Plaidoyer >> per un'autentica autonomia delle scuole, in Foro it. 1990, V, pag. 147 e segg.; M. Gigante , Art. 33 della costituzione: tecnica e politica nell'ordinamento dell'istruzione, in Politica del Diritto, 1999, pag. 423 e segg.; e se si vuole il mio Istruzione e Stato "sussidiario", in corso di pubblicazione su Diritto Pubblico, 2002, n. 1.
( [6] ) Vedi F. Teresi , Ordini e collegi professionali, in Digesto pubbl ., X, Utet , Torino, 1995, pag. 449; in generale, per la rilevanza delle professioni, vedi C. Maviglia , Professioni e preparazione alle professioni, Milano, 1992.
( [7] ) Ad esempio, con riferimento all’ordine nato per primo, in epoca post-rivoluzionaria (come sappiamo la rivoluzione non sopportava le corporazioni), nel 1810, sotto l’impero di Napoleone e per quanto riguarda l'Italia nel 1874 (l’ordine degli avvocati), esso ha grandi meriti, ma non si riesce va gestire in modo accettabile l'esame di accesso e la giustizia, come noto, non versa in condizioni felici (e la responsabilità non può essere addossata a solo una delle categorie dei cosiddetti "operatori del diritto", cioè solo ai giudici).
( [8] ) Vedi Trib . Primo Grado , 30 marzo 2000, in causa T-513/93 (a proposito del Consiglio Nazionale Spedizionieri Doganali), in Riv . It. Diritto Pubblico Comunitario, 2000, pag. 494 e segg.; ma vedi anche, in vario senso, Corte Giustizia , 19 febbraio 2002, in causa C-35/99, Corte Giustizia 7 marzo 2002, in causa C-145/99. Cfr. A. Preto , Le libere professioni italiane nella Comunità europea tra mercato interno e diritto della concorrenza, in Riv . It. Diritto Pubblico Comunitario 1999, pag. 1031 e segg.
( [9] ) Vedi Delibera 1° dicembre 1994, n. 2523, Settore degli ordini e collegi professionali - Indagine conoscitiva, in Giornale di Diritto Amministrativo 1995, pag. 934 e segg ., con nota di M. Gnes e A. Orlando ; di recente Riforma della regolazione e promozione della concorrenza, in Boll . nn. 1-2 del 28 gennaio 2002, pag. 11 e segg.; per iniziative di riforma legislativa: ddl C. n. 7452, XIII Legislatura; ddl S. n. 691 e ddl S. n. 804 nella XIV Legisl.
( [10] ) Art. 3, comma 2, D. Lgs. n. 165/2001.
([10bis]) Legge 62/2000 comma 3 art. 1
3. Alle scuole paritarie private è assicurata piena libertà
per quanto concerne l'orientamento culturale e l'indirizzo pedagogico-didattico.
Tenuto conto del progetto educativo della scuola, l'insegnamento è
improntato ai principi di libertà stabiliti dalla Costituzione repubblicana.
Le scuole paritarie, svolgendo un servizio pubblico, accolgono chiunque, accettandone
il progetto educativo, richieda di iscriversi, compresi gli alunni e gli studenti
con handicap. Il progetto educativo indica l'eventuale ispirazione di carattere
culturale e religioso. Non sono comunque obbligatorie per gli alunni le attività
extra-curriculari che presuppongono o esigono l'adesione ad una determinata
ideologia o confessione religiosa.
( [11] ) Naturalmente, non è che i bisogni e i desideri del singolo cittadino non siano essenziali: sono essenziali, ma nel ruolo di elementi fondamentali che la collettività organizzata (le istituzioni politiche) deve rilevare, conoscere, acquisire, per poi operare le scelte di indirizzo politico, le quali però, come ogni scelta, corrisponderanno ai desideri di solo una parte dei singoli cittadini (non a caso il sistema democratico funziona, fermi certi diritti comunque inviolabili, attraverso il formarsi di maggioranze e di minoranze) .
( [12] ) Vedi il D. Lgs . 30 luglio 1999, n. 286, art. 11, Qualità dei servizi pubblici ("1 . I servizi pubblici nazionali e locali sono erogati con modalità che promuovono il miglioramento della qualità e assicurano la tutela dei cittadini e degli utenti e la loro partecipazione, nelle forme, anche associative, riconosciute dalla legge, alle inerenti procedure di valutazione e definizione degli standard qualitativi. 2. Le modalità di definizione, adozione e pubblicizzazione degli standard di qualità, i casi e le modalità di adozione delle carte dei servizi, i criteri di misurazione della qualità dei servizi, le condizioni di tutela degli utenti, nonché i casi e le modalità di indennizzo automatico e forfettario all'utenza per mancato rispetto degli standard di qualità sono stabilite con direttive, aggiornabili annualmente, del Presidente del Consiglio dei Ministri…"); per le scuola vedi già il D.P.C.M. 7 giugno 1995, Schema generale di riferimento della «Carta dei servizi scolastici», il D.P.R. 24 giugno 1998, n. 249 . Regolamento recante lo statuto delle studentesse e degli studenti della scuola secondaria (art. 6: " 1 . I regolamenti delle scuole e la carta dei servizi previsti dalle disposizioni vigenti in materia sono adottati o modificati previa consultazione degli studenti nella scuola secondaria superiore e dei genitori nella scuola media . 2. Del presente regolamento e dei documenti fondamentali di ogni singola istituzione scolastica è fornita copia agli studenti all'atto dell'iscrizione. (…)."; in ordine al POF vedi, in particolare, gli artt . 3 e 4 D.P.R. 8 marzo 1999, n. 275, Regolamento recante norme in materia di autonomia delle istituzioni scolastiche, ai sensi dell'art. 21 della L. 15 marzo 1997, n. 59.
( [13] ) Vi sono anche altre ragioni che spiegano l'introduzione degli strumenti a cui si accenna, ma - ora - possono essere accantonate.
( [14] ) Vedi gli atti citati alla nota precedente.
( [15] ) Vedi i p.d.l. C. XIV Legisl . n. 2010 e n. 2221, sugli organi delle istituzioni scolastiche autonome.
( [16] ) Il ddl " Moratti " prevede (art. 2, comma 1, lettera l) che in materia di piani di studio una parte di determinazioni spetta alle Regioni.
( [17] ) Vedi il D.Lgs . 20 luglio 1999, n. 258 (Riordino del Centro europeo dell'educazione, della biblioteca di documentazione pedagogica e trasformazione in Fonda zione del museo nazionale della scienza e della tecnica «Leonardo da Vinci», a norma dell'articolo 11 della L. 15 marzo 1997, n. 59), il cui art. 1 trasforma il Centro europeo dell'educazione nell’ “«Istituto nazionale per la valutazione del sistema dell'istruzione»”, “sottoposto alla vigilanza del Ministero della pubblica istruzione”, il quale ministero, con specifica direttiva, “ individua le priorità strategiche delle quali l'Istituto dovrà tenere conto per programmare l'attività di valutazione”; l'Istituto, in “particolare, …. valuta l'efficienza e l'efficacia del sistema di istruzione nel suo complesso ed analiticamente, ove opportuno anche per singola istituzione scolastica, inquadrando la valutazione nazionale nel contesto internazionale; studia le cause dell'insuccesso e della dispersione scolastica con riferimento al contesto sociale ed alle tipologie dell'offerta formativa; conduce attività di valutazione sulla soddisfazione dell'utenza; fornisce supporto e assistenza tecnica all'amministrazione per la realizzazione di autonome iniziative di valutazione e supporto alle singole istituzioni scolastiche anche mediante la predisposizione di archivi informatici liberamente consultabili; valuta gli effetti degli esiti applicativi delle iniziative legislative che riguardano la scuola; valuta gli esiti dei progetti e delle iniziative di innovazione promossi in ambito nazionale; assicura la partecipazione italiana a progetti di ricerca internazionale in campo valutativo e nei settori connessi dell'innovazione organizzativa e didattica”. Per la sua organizzazione vedi il D.P.R. 21 settembre 2000, n. 313. Del controllo si occupa anche l’art. 10 D. P.R. n. 275/1999, cioè del regolamento sull’autonomia delle scuole, dove è scritto che “per la verifica degli obiettivi di apprendimento e degli standard di qualità del servizio il Ministero della pubblica istruzione fissa metodi e scadenze per le rilevazioni periodiche”.
( [18] ) Ma , invece, accade: accade che le commissioni diventino sempre più domestiche, vedi l’art. 22, comma 7, della L. 28 dicembre 2001, n. 448 (finanziaria 2002), e il D.M. 25 gennaio 2002, n. 9. “Ha poco senso organizzare una macchina ….complessa, se poi non vengono garantite – almeno negli esami finali – quelle fondamentali condizioni di terzietà ed esternalità della valutazione finale che costituiscono da sempre uno dei capisaldi di qualunque sistema di valutazione, non solo della scuola….. Non è necessario essere esperti di valutazione per rendersi conto di come” regole del genere tolgano “credibilità a un impianto che altrimenti poteva costituire la base per un vero sistema di valutazione nazionale” ( G. Alluli , Arriva la valutazione globale per istruzione e formazione”, in Il Sole – 24 Ore, 17 marzo 2002, n. 74, p. 9): ciò è detto a proposito di alcune previsioni del Ddl “ Moratti ”, ma pare da sottoscrivere anche per quello a cui si fa qui riferimento.
( [19] ) L. Zannotti , Libertà di insegnamento e insegnamento della libertà, in D. Sorace (a cura), Il servizio pubblico fra attività economiche e non economiche, Firenze University Press, Firenze 2001, pag. 461 e segg.
([20]) Legge 62/2000 comma 3 art. 1
3. Alle scuole paritarie private è assicurata piena libertà
per quanto concerne l'orientamento culturale e l'indirizzo pedagogico-didattico.
Tenuto conto del progetto educativo della scuola, l'insegnamento è
improntato ai principi di libertà stabiliti dalla Costituzione repubblicana.
Le scuole paritarie, svolgendo un servizio pubblico, accolgono chiunque,
accettandone il progetto educativo, richieda di iscriversi, compresi gli
alunni e gli studenti con handicap. Il progetto educativo indica l'eventuale
ispirazione di carattere culturale e religioso. Non sono comunque obbligatorie
per gli alunni le attività extra-curriculari che presuppongono o
esigono l'adesione ad una determinata ideologia o confessione religiosa.