Ancora su Libertà di insegnamento
e "Stato Giuridico" dei Docenti

intervista di Alessandra Cenerini con Carlo Marzuoli
3 novembre 2003


La legge, prima di tutto, non il regolamento né il contratto


A.C. Con la precedente intervista sui due progetti di legge sullo stato giuridico in discussione in Parlamento abbiamo affrontato una problematica che sta diventando sempre più attuale. Ne è conferma, fra altro, un documento apparso di recente sul sito della CGIL Scuola, da cui si apprende che a conclusione di un incontro convocato da parlamentari del centro-sinistra, con la partecipazione dei tre sindacati scuola confederali, dello SNALS e di diverse associazioni professionali, è stata espressa una posizione di netta contrarietà alla determinazione di "intervenire con la legge su materie che, per legge, sono riservate alla negoziazione tra le parti".Come vedi, abbiamo a suo tempo avviato un discorso che merita di essere sviluppato. Credo che sia opportuno ripartire proprio dai rapporti fra legge e contrattazione, perché "grande" mi pare " è la confusione sotto il cielo".

 

C.M. I due disegni di legge, almeno per gran parte delle questioni che più da vicino interessano lo stato giuridico dei docenti, non invadono un campo riservato alla contrattazione. Vedi, la legislazione vigente (art. 2 legge n. 421/1992 e art. 2 D.Lgs. n. 165/2001, che ha sostituito il d. Lgs. n. 29/1993) attribuisce alla legge, o ad atti pubblici assunti in attuazione della legge, il compito di regolare gli aspetti di stato giuridico che hanno rilevanza organizzativa e le competenze dei vari organi. In particolare, l'art. 2, c. 1, lettera c, n. 6, legge n. 421/1992, fa riferimento alla "garanzia della libertà di insegnamento e (al)l'autonomia professionale nello svolgimento dell'attività didattica, scientifica e di ricerca" . E vi è di più.

 


A.C. Puoi essere più preciso?

 

C.M. Certamente. Invece di parlare di "stato giuridico", indicherei, per evitare questioni terminologiche, alcune "cose", in via esemplificativa e per campione: la funzione docente (in che cosa consiste); se la funzione docente debba essere una o più; organismi di identificazione e di valorizzazione professionale; la funzione dirigenziale scolastica; la struttura dell'istituto scolastico e le competenze e le funzioni degli organi; le competenze degli organi ministeriali, o dell'amministrazione regionale e locale, ecc; le procedure di reclutamento; i principi su eventuali "carriere"; la stabilità dell'incarico docente; l'identificazione di chi deve essere il datore di lavoro; ecc.
Queste "cose" debbono essere disciplinate con legge, alcune in modo completo, altre solo per gli aspetti più importanti (salvo un'eccezione, di cui dirò). Ciò in conseguenza di due principi costituzionali: la libertà di insegnamento (art. 33) e la riserva di legge in materia di organizzazione amministrativa (art. 97) .
Ho già detto nella precedente intervista dei motivi che impongono l'utilizzazione della legge quando si affrontano aspetti incidenti sulla libertà di insegnamento; può essere invece utile soffermarsi sull'altro principio.
La Costituzione, all'art. 97, c. 1, stabilisce che l'organizzazione amministrativa deve essere disciplinata in base alla legge; dunque le linee fondamentali dell'organizzazione delle istituzioni pubbliche (scuole comprese) debbono essere disciplinate con legge (salvo la potestà statutaria di Comuni, Province, Città Metropolitane). A questo principio si ispira lo stesso D. Lgs. n.165/2001 (già citato), sull'organizzazione e sul rapporto di lavoro con le Pubbliche Amministrazioni.
Ora, le "cose" di cui parliamo (quelle sopra elencate) costituiscono aspetti giuridicamente qualificabili (direttamente o indirettamente) come "organizzazione" dell'amministrazione e dunque, salvo profili assolutamente secondari e marginali, non possono essere oggetto di contrattazione. Mi pare logico: sono strutture pubbliche, chiamate ad esercitare compiti pubblici; sarebbe davvero singolare che se ne potesse disporre solo mediante accordo con soggetti privati o comunque con soggetti a struttura corporativa categoriale. Avremmo una sovranità popolare (che si esprime nel Parlamento) "limitata", limitata dal potere di soggetti non legittimati dalla rappresentanza politica: non torna, contrasta con la prima norma della Cost. (sovranità popolare, democrazia rappresentativa).


A.C. Eppure, spesso si sente dire che la legge è uno strumento superato e che oggi tutto si fa con il contratto collettivo

 

C.M. Sì, l'idea è diffusa, ma è giuridicamente infondata e contrasta con la Costituzione in un punto di particolare valore. Vedi (vi è un bellissimo libro, di un grande Maestro del diritto amministrativo, Mario Nigro), l'art. 97 , comma 1, dove prevede che le linee dell'organizzazione siano fissate con legge, è una norma che rappresenta il compimento del passaggio dallo Stato monarchico costituzionale (liberale sì, ma con tante "sacche" di autoritarismo derivanti dallo Stato assoluto) al moderno e attuale Stato democratico costituzionale. L'art. 97 è una reale e incisiva affermazione del ruolo centrale del Parlamento. Dunque, chi sottrae al Parlamento la materia dell'organizzazione amministrativa, torna indietro, ripropone modelli caratteristici dello Stato assoluto.
Il fatto che ciò avvenga in nome della contrattazione, anziché in nome della potestà regolamentare del governo, niente cambia.


A.C. Quello che dici sembra individuare un tratto comune tra i due disegni di legge da un lato e il documento comparso sul sito CGIL Scuola dall'altro

 

C.M. E' così. Dal punto di vista giuridico - e solo questo considero - le due prospettive, a prima vista contrapposte, svelano una base in parte comune: il rifiuto di un'utilizzazione effettiva della legge (gli uni, in favore del regolamento governativo) o il rifiuto dell'utilizzazione in sé della legge (gli altri, a favore della contrattazione). Questa idea comune, però, è giuridicamente inaccettabile, perché lesiva della Costituzione.


A.C. Hai fatto cenno, prima, ad un'eccezione.

 

C.M. Sì, ma conferma quanto ho detto. Molte delle cose sopra esemplificate coinvolgono direttamente la libertà della funzione docente e gli aspetti tecnici propri di tale funzione. Tutto questo significa che vi dovrà essere un ambito rimesso ad una disciplina di competenza degli organi che nelle singole strutture (gli istituti scolastici) riuniscono i docenti. Tali organi useranno una potestà di tipo regolamentare.
Ma, come vedi, queste normative sono espressione dell'autonomia della funzione docente e dunque sono un fenomeno del tutto diverso e opposto rispetto sia al regolamento governativo che alla contrattazione (che sono invece strumenti con cui si incide e si limita l'autonomia della funzione docente).

Libertà di insegnamento, organizzazione dell'istruzione e "stato giuridico"

 


A.C. Puoi riprendere il tema della libertà di insegnamento e dello stato giuridico dei docenti: che rapporti vi sono fra queste "cose"?

 

C.M. La norma costituzionale sulla libertà di insegnamento si limita ad enunciare il principio; vi sono dunque ampie possibilità che i diversi interessati (lo stesso docente, o il dirigente della scuola, ecc.) finiscano per adottare, volta a volta, interpretazioni molto diverse, comprese (in ipotesi) interpretazioni arbitrarie o lesive.
Di conseguenza, come per le altre libertà, è necessaria una legge. Questa, nel dare attuazione al principio costituzionale, non si deve limitare a riprodurre una definizione della libertà di insegnamento, ma ha il compito di stabilire apposite regole, più precise, in riferimento ai vari aspetti che incidono sulla libertà di insegnamento, come (fra tanti altri): il modo con cui si identificano le attività del docente, l'eventuale tipologia della funzione docente, i rapporti fra il docente e la sua scuola, i rapporti fra la scuola e gli altri pubblici poteri, le procedure di assunzione, la stabilità del rapporto, ecc. A che serve una norma che contiene un'ottima definizione della libertà di insegnamento, se, poi, vi è un'altra norma che attribuisce particolari poteri invasivi al dirigente scolastico, oppure all'amministrazione comunale, oppure al dirigente generale del ministero? oppure se vi sono altre norme che non garantiscono l'imparzialità nel reclutamento e nella valutazione, o che non garantiscono una qualche stabilità del rapporto di lavoro ? ecc. ecc.
In conclusione, la libertà di insegnamento si tutela anche (o soprattutto) con le norme che disciplinano l'organizzazione e il servizio pubblico dell'istruzione, nonché con quelle sulla condizione dei docenti e sul reclutamento. Ad esempio: se vi deve essere una "carriera"; chi controlla e come il corretto esercizio della funzione docente; le competenze del collegio dei docenti; l'organizzazione dell'istituto scolastico (vi deve essere un consiglio di istituto? come deve essere composto? quali funzioni deve avere?); ecc.


A.C. In altre parole, stai dicendo che per tutelare davvero la libertà di insegnamento occorre disciplinare "cose" che hanno altri nomi: la struttura organizzativa delle scuole, i sistemi di reclutamento, i diritti, i doveri, i poteri, le responsabilità dei docenti, l'articolazione della carriera, il ruolo dei dirigenti scolastici, ecc.

 

C.M. E' proprio così. Vi è un collegamento inscindibile fra disciplina della libertà di insegnamento, disciplina di molti aspetti dell'organizzazione del servizio, disciplina dello "stato giuridico". Ciò ha una conseguenza importante: significa che gli aspetti (inscindibilmente) legati alla libertà di insegnamento debbono essere regolati nel modo più rispettoso di tale libertà. La libertà di insegnamento, insomma, è - come dire - la luce da accendere per illuminare, e dunque per analizzare e risolvere, tutti gli altri problemi.
Questo spiega, ancora una volta, che, per questi aspetti, il contratto collettivo neppure dovrebbe venire in mente. Si tratta di regolare una materia costituzionale che non è disponibile da parte dei diretti interessati (il docente non può rinunciare alla propria posizione di libertà); dunque non vi è presupposto alcuno per un contratto collettivo. Nessuno - credo - penserebbe di disciplinare l'indipendenza della funzione giurisdizionale e la conseguente posizione di indipendenza dei magistrati e della magistratura attraverso accordi sindacali. Questo, se vale per la funzione giurisdizionale, vale anche (nei tratti essenziali) per la funzione docente.

La necessità di una nuova disciplina è imposta dai fatti.


A.C. Molti si chiedono se sia davvero necessaria una nuova regolamentazione dello stato giuridico.

 

C.M. Senza dubbio lo è. Tutte le "cose" a cui ho accennato sono oggi disciplinate da testi diversi, di varia natura (leggi, decreti legislativi, regolamenti, ecc.), emanati in anni molto lontani, quando vigeva un sistema giuridico che è stato profondamente cambiato dal nuovo Titolo V della Costituzione.
La conclusione è obbligata: le normative oggi vigenti non sono più adeguate rispetto allo scopo, per il solo fatto che è cambiato il sistema giuridico di base (a seguito del nuovo Titolo V).


A.C.
Dunque la necessità di un nuovo intervento è imposta innanzitutto dai fatti

 


C.M. E' così. Se non si provvede la situazione è destinata ad una progressiva confusione e ad un rapido peggioramento.

Gli strumenti da usare: fra Stato e Regioni.


A.C. Come incide l'attuale distribuzione di funzioni fra lo Stato e le Regioni: chi ha la responsabilità di intervenire, e come?

 

C.M. Sono possibili solo alcune indicazioni di ordine generale; mi riferisco all'istruzione (nell'istruzione e formazione professionale l'ambito di competenza regionale è molto più ampio).
a) allo Stato spetta di emanare le "norme generali sull'istruzione"; ora, le norme generali sono indispensabili per soddisfare (ragionevoli) esigenze di uniformità, indipendentemente dal fatto che si tratti di aspetti di principio o, invece, molto specifici, puntuali (ad esempio quali titoli di studio, quanti cicli di istruzione, ecc.): quello che conta è che si tratti (secondo ragionevolezza, ripeto) di aspetti che debbono essere regolati in modo uniforme. Di conseguenza direi che vi rientrano:
- la libertà di insegnamento;
- la precisazione degli ambiti da riservare alla contrattazione collettiva (stipendi, assenze, ecc.);
- la determinazione del datore di lavoro pubblico (la Regione o altri);
- altri aspetti di stato giuridico che esigono, sempre secondo ragionevolezza, una regolamentazione uniforme;
b) Tutto ciò che sta al di fuori delle norme generali sull'istruzione rientra nell'ambito della competenza legislativa regionale concorrente, se la materia è quella dell'istruzione. Questo significa che lo Stato dovrà limitarsi a porre i principi, cioè delle regole suscettibili di essere poi attuate in modi diversi: in Emilia-Romagna in un modo ed in Toscana in un altro, fermo, appunto, il rispetto del principio (ad esempio: il principio per cui si debbono prevedere appositi organismi per la tutela degli utenti; oppure che si debbono prevede forme di consultazione pubblica prima di assumere decisioni concernenti i piani dell'offerta scolastica; principi sulla formazione degli organici; principi procedurali sul reclutamento, ecc.). Naturalmente, quando si tratta di istruzione e formazione professionale, il limite dei principi della legge statale non si applica.


A.C. Vi sono altri dati da tenere presenti?

 

C.M. Sì. Almeno due.
Occorre ricordare che lo Stato ha potestà regolamentare solo nelle materie di legislazione esclusiva (art. 117, c. 6). L'istruzione non è materia di legislazione esclusiva, ad eccezione delle "norme generali sull'istruzione" (o dei livelli essenziali delle prestazioni, di cui non tratto). La condizione giuridica dei docenti comprende aspetti che debbono essere disciplinati in modo uniforme e altri che invece possono avere delle differenziazioni. Questi ultimi aspetti rientrano dunque nella legislazione concorrente, pertanto è del tutto da escludere, per questi aspetti, che lo Stato possa intervenire con regolamento; lo Stato deve solo dettare i principi, e poi provvede la legge regionale (e, se del caso, il regolamento regionale). Mi pare, invece, che i due disegni di legge non tengano conto di questo principio, perché ricorrono in modo pressoché illimitato alla potestà regolamentare governativa.
Infine, siccome nelle discussioni in materia appaiono anche (come è comprensibile) riferimenti al modello delle "professioni", occorre ricordare che la materia "professioni" è oggetto di legislazione concorrente (art. 117, c. 3). Dunque, neppure per questo versante può avere ingresso una potestà regolamentare dello Stato.

Per concludere


A.C. Si può dunque dire, in conclusione, che le questioni prese in considerazione debbono essere in grandissima parte disciplinate con legge statale e con leggi regionali

 

C.M. In effetti, è così. Ciò corrisponde sia ai principi di democrazia e di libertà della nostra Costituzione sia all'attuale distribuzione delle competenze fra Stato e Regioni. Naturalmente il diritto può essere applicato o non. Però, il valore della legalità è indivisibile: non si può pensare di farlo valere lì e non là. Dunque la domanda è sempre e solo una: al nostro vivere civile, e al suo futuro, serve, oppur no, la legalità?


A.C. Mi pare chiarissimo! Grazie infinite, Carlo, per questi ulteriori approfondimenti che mi auguro possano far fare un nuovo passo avanti al dibattito in corso, sia sullo stato giuridico che sul decentramento delle competenze in materia di istruzione, argomenti che insieme affronteremo nel prossimo seminario internazionale del 29 novembre.