XIV LEGISLATURA

PROGETTO DI LEGGE - N. 4095



        Onorevoli Colleghi! - Il nuovo sistema di autonomia della scuola esige un profondo ripensamento e riorientamento in termini culturali, professionali, valoriali e organizzativi, del modo di intendere l'esercizio della funzione sia docente che dirigente. Per tale motivo non ci si può esimere dal ridefinire la figura professionale del docente e la relativa funzione.
        La questione della "professionalizzazione" dell'insegnamento non è certo recente. Essa fu già autorevolmente posta nella "Raccomandazione sullo status degli insegnanti" redatta dall'Unesco nel 1966. Già allora si individuò nell'etica della professione e in elevati standard professionali lo strumento principe per fare assurgere i docenti allo status di professionisti, capaci di dare risposta ad uno dei fondamentali diritti umani: il diritto all'istruzione.
        E' stata definita la legge che reca le norme generali di un nuovo sistema nazionale di istruzione e di formazione, priva di riferimenti alla condizione "giuridica" e professionale degli insegnanti.
        La qualità della scuola è fondata sulla "qualità" della condizione (norme generali) e della "funzione" prestazioni essenziali ovvero standard) dei docenti.
        L'insegnante non è un soggetto perfettamente fungibile ad ogni trasformazione strutturale, normativa ed organizzativa della scuola, ne è l'elemento costitutivo, soprattutto quando il sistema in cui esso opera si avvia a rapidi e continui cambiamenti (autonomia, riforma degli ordinamenti, nuovi programmi, progetti, eccetera).
        La difficoltà di sviluppo dell'autonomia e del decentramento delle competenze alle scuole dipende in gran parte dal "blocco" della formazione dell'insegnante e dal mancato sviluppo e aggiornamento della professionalità e delle competenze del docente.
        In effetti, nei dieci anni in cui si è discusso sull'autonomia delle scuole, non si è operato conseguentemente:
        E' significativo che ciò sia avvenuto, ma con effetti non del tutto positivi, solo ed esclusivamente per la figura del dirigente scolastico e del direttore amministrativo, creando un pericoloso squilibrio ed una asimmetria tra le finalità educative della scuola e il suo funzionamento amministrativo e organizzativo.
        Resta il fatto che senza una definizione chiara della funzione docente, la scuola, come macchina amministrativa, manca del suo naturale carburante professionale.
        Finora il Parlamento si è occupato dell'insegnante essenzialmente come "dipendente pubblico", alla stregua di tutti gli altri impiegati dello Stato. A partire dagli anni ottanta, ad esso sono state assicurate, come per gli altri (ma non per i professori universitari), la contrattazione e tutte le libertà sindacali, accentuando la sua "dipendenza" piuttosto che la sua autonomia e la sua responsabilità professionali.
        Ma può esistere una vera autonomia delle scuole senza un "insegnante professionista" capace di vera responsabilità per i risultati? Sembra di no, a giudicare dallo stato di frustrazione e di disagio che gli insegnanti continuano a manifestare.
        Il vecchio stato giuridico di cui alla legge n. 477 del 1973 è stato demolito dalla successiva "privatizzazione" o, meglio, dalla contrattualizzazione del rapporto di lavoro, che ha invaso, nonostante i vincoli contenuti nell'articolo 2 della legge n. 421 del 1992 (in base ai quali era stato emanato il decreto legislativo n. 29 del 1993 e successive modificazioni), il campo riservato alla legge e ai princìpi generali della professione.
        A causa di questo sfondamento dei confini fissati dalla legge delega, il citato decreto legislativo n. 29 del 1993, oggi tradotto definitivamente nel decreto legislativo n. 165 del 2001, il profilo professionale - a partire dalla definizione della libertà di insegnamento - ma anche l'autogoverno della professione, la valutazione, gli standard, il codice deontologico, la disciplina, la carriera, la formazione iniziale e in servizio, sono rimasti come residuati di una azione giuridica e normativa che si è tutta squilibrata sul lato contrattuale, senza alcuna remora né censura.
        Il processo di "proletarizzazione" dei docenti (favorito dal numero decisamente impressionante), da timore e "profezia" teorizzata negli anni settanta, ha avuto la sua compiuta realizzazione nel contesto della contrattualizzazione vasta e penetrante, che ha inciso anche sull'immagine sociale, sulla percezione di sé e sugli stessi comportamenti quotidiani dei docenti.
        La stessa definizione della dirigenza scolastica è avvenuta concretamente in polemica con la funzione docente e non come naturale sviluppo della carriera, per cui oggi il dirigente scolastico appartiene per profilo, per trattamento economico, per modalità di reclutamento e per funzioni più alla carriera burocratico-amministrativa che non a quella di tipo educativo e didattico. La conseguenza è che le scuole sono oggi prive di una vera e propria leadership istituzionale, un vuoto che non può essere riempito nè dalle "funzioni obiettivo" (elettive), né tanto meno dai collaboratori, scelti dal dirigente.
        Ambedue le soluzioni sono un surrogato piuttosto maldestro della carriera, docente che dovrebbe essere fondata essenzialmente su standard, valutazione, sviluppo, professionalità, specializzazione, responsabilità per i risultati.
        Per quanto riguarda l'autonomia contrattuale della professione (nonostante la esplicita previsione dell'articolo 21 della legge n. 59 del 1997 e nonostante le promesse), l'insegnante - caso unico in tutto il pubblico impiego - si trova ancora accomunato con tutto il personale dipendente della scuola, compresi gli ausiliari.
        Tale anomalia ha avuto come conseguenza quella "mostruosità" organizzativa costituita dall'istituzione della rappresentanza sindacale unitaria (RSU) eletta in ogni scuola, dove l'insegnante può essere rappresentato da operatori e da lavoratori che nulla hanno a che fare con la sua professione.
        Comunque resta la contraddizione di un organismo negoziale (RSU) in un contesto organizzativo che non gode di alcuna autonomia o discrezionalità contrattuale né gestionale (per quanto riguarda il personale), dato che il consiglio della scuola (ovvero il dirigente scolastico) in Italia - a differenza di altri Paesi europei e industrializzati - non ha il potere di assumere o di licenziare il personale, ma è del tutto dipendente dalle norme amministrative per quanto si riferisce alla gestione del bilancio, dell'organico e di ogni altra materia attinente al governo del personale, che resta pervicacemente accentrato.
        Circondati da organi collegiali di ogni tipo, tutelati e garantiti da una contrattazione sempre fitta e minuta, che ne ha esaltato la funzione impiegatizia, privi di prospettive di carriera, gli insegnanti restano ancora in Italia senza una visibile e riconoscibile immagine di sé.
        Finiti gli entusiasmi del neo missionarismo degli anni settanta ed i riferimenti ideologici forti delle ideologie contrapposte, per gli insegnanti resta la strada del professionalismo (stato giuridico, formazione iniziale, cultura specialistica condivisa, codice deontologico, carriera, autogoverno della professione), cioè una ridefinizione del ruolo e delle competenze in rapporto ai nuovi compiti della scuola in una società della conoscenza: "dipendenti ma professionisti". Il che significa: