XIV LEGISLATURA
PROGETTO DI LEGGE - N. 4091
Onorevoli Colleghi! - Con la legge 28 marzo 2003, n. 53, l'Italia ha finalmente, dopo più di trenta anni di attesa, una legge completa ed organica sugli ordinamenti del sistema nazionale di istruzione. Manca a questa legge, ad eccezione dell'articolo 5, un riferimento adeguato al nuovo disegno sulla condizione "giuridica" e professionale degli insegnanti.
Eppure, la qualità della scuola è fondata sulla qualità della condizione (norme generali) e della funzione (prestazioni essenziali ovvero standard) dei docenti.
Infatti, l'insegnante non è un soggetto perfettamente fungibile ad ogni trasformazione strutturale, normativa e organizzativa della scuola. Ne è invece l'elemento costitutivo, soprattutto quando il sistema in cui esso opera si avvia a rapidi e continui cambiamenti.
Le difficoltà di sviluppo dell'autonomia e del decentramento delle competenze alle scuole dipende in gran parte dalla inadeguata formazione dell'insegnante, nonché dal mancato sviluppo e aggiornamento della professionalità e delle competenze dello stesso.
In effetti, nei dieci anni in cui si è discusso sull'autonomia delle scuole, non si è operato conseguentemente:
per modificare il reclutamento (la legge n. 124 del 1999 è la sanzione del vecchio sistema dei concorsi e delle sanatorie); per riscrivere lo stato giuridico degli insegnanti in coerenza con il nuovo paradigma organizzativo e didattico (flessibilità) delle scuole; per dare pertinenza alle competenze richieste ai docenti con il trasferimento alle scuole di nuovi poteri e funzioni tecniche, organizzative e didattiche (POF).E' significativo che ciò sia avvenuto - ma con effetti non del tutto positivi - solo ed esclusivamente per la figura del dirigente scolastico e del direttore dei servizi generali e amministrativi, creando un oggettivo squilibrio ed una asimmetria tra le finalità educative della scuola e il suo funzionamento amministrativo.
Non è una consolazione sapere che anche in altri paesi europei il problema si pone con le stesse caratteristiche e in modo altrettanto impellente, e con l'unica differenza che in tali Paesi le difficoltà di cambiamento si sono tradotte in una crisi diffusa e drammatica dell'offerta di insegnanti. Ma anche l'Italia si sta avvicinando a questo limite, e non ci deve ingannare l'affollamento delle graduatorie.
Resta, comunque, il fatto che senza una definizione chiara della funzione docente, la scuola, come macchina amministrativa, manca del suo naturale carburante professionale.
Finora il Parlamento (fin dalle origini del nostro sistema scolastico) si è occupato dell'insegnante essenzialmente come dipendente pubblico, alla stregua di tutti gli altri impiegati dello Stato (confronta stato giuridico 1906, 1923, 1957 e 1974).
A partire dagli anni ottanta, ad esso sono state assicurate - come agli altri impiegati pubblici - la contrattazione e tutte le libertà sindacali, accentuando la sua dipendenza piuttosto che la sua autonomia e la responsabilità professionali.
Ma può esistere una vera autonomia delle scuole senza un insegnante professionista, capace di vera responsabilità per i risultati?
Sembra di no, a giudicare dallo stato di frustrazione e di disagio che gli insegnanti continuano a manifestare, nonostante i grandi progressi che nel dopoguerra si sono registrati nella sua condizione contrattuale e anche retributiva.
La proposta di legge recante "Statuto dei diritti degli insegnanti" parte dall'analisi di alcuni dei motivi di tale disagio.
A) In primo luogo la dissoluzione dello stato giuridico tradizionale, non sostituito da una nuova concezione dell'insegnante, adeguata al modello di autonomia definito dalla legge n. 59 del 1997. Il vecchio stato giuridico ex lege n. 477 del 1973 è stato demolito dalla successiva "privatizzazione" ovvero, più precisamente, dalla contrattualizzazione del rapporto di lavoro, che ha "forzato" nonostante i vincoli contenuti nell'articolo 2 della legge n. 421 del 1992 (sulla base dei quali è stato emanato il decreto legislativo n. 29 del 1993, successivamente abrogato e le cui norme sono confluite definitivamente nel decreto legislativo n. 165 del 2001), i confini del campo riservato alla legge e ai princìpi generali della professione.
A causa di questo sconfinamento, il profilo professionale, ma anche l'autogoverno della professione (organi collegiali territoriali)??, la valutazione, gli standard, il codice deontologico, la carriera, la formazione iniziale e in servizio, sono rimasti come "residui" di una azione normativa che si è tutta squilibrata sul lato contrattuale, senza alcun vincolo. E non poteva essere diversamente, dato il silenzio dell'azione e della proposta legislativa.
Il processo di "impiegatizzazione" dei docenti (favorito dal numero decisamente impressionante: quasi un milione - nel 1957 erano 261.000), da timore e "profezia" teorizzata negli anni settanta, ha avuto la sua compiuta realizzazione nel contesto di una regolamentazione pattizia vasta e profonda, che ha inciso anche sull'immagine sociale, la percezione di sé e gli stessi comportamenti quotidiani dei docenti.
B) In secondo luogo, l'istituzione di una dirigenza scolastica di tipo amministrativo, non come leadership educativa. La stessa definizione della dirigenza scolastica è avvenuta concretamente (decreto legislativo n. 59 del 1998, oggi articolo 25 del decreto legislativo n. 165 del 2001), in mancanza di un coerente sviluppo della carriera, in polemica con la funzione docente e non come naturale sviluppo della carriera, per cui oggi il dirigente scolastico appartiene per profilo, per trattamento economico, per modalità di reclutamento e per funzioni più alla carriera burocratico-amministrativa che non a quella di tipo educativo e didattico.
La conseguenza è che le scuole sono oggi prive di una vera e propria leadership, un vuoto che non può essere riempito né dalle "funzioni obiettivo" (tutte elettive e provvisorie), né tanto meno dai collaboratori del dirigente - compreso il vice - scelti dal dirigente stesso senza criteri meritocratici. Ambedue le soluzioni sono un surrogato della carriera docente che dovrebbe invece essere fondata essenzialmente su standard, valutazione, sviluppo, professionalità, specializzazione e responsabilità per i risultati.
C) La mancata autonomia contrattuale (area autonoma di contrattazione) dei docenti e delle articolazioni di tale funzione.
Per quanto riguarda l'autonomia contrattuale della professione (nonostante la esplicita previsione dell'articolo 21 della legge n. 59 del 1997 e nonostante le promesse), l'insegnante - caso unico in tutto il pubblico impiego - si trova ancora accomunato con tutto il personale dipendente della scuola - compresi gli ausiliari. Tale scelta politica ha avuto come conseguenza quella vera e propria "anomalia" organizzativa costituita dall'istituzione della rappresentanza sindacale unitaria (RSU) eletta in ogni istituzione scolastica, dove l'insegnante può essere rappresentato da operatori e da lavoratori che nulla hanno a che fare con la sua professione.
Comunque, resta la contraddizione di un organismo negoziale (RSU) in un contesto organizzativo che non gode di alcuna autonomia o discrezionalità contrattuale né gestionale (per quanto riguarda il personale), dato che il consiglio della scuola (ovvero il dirigente scolastico) in Italia - a diversità di altri Paesi con altra tradizione - non ha il potere di assumere o di licenziare personale, ma dipende dalle norme amministrative per quanto si riferisce alla gestione del bilancio, dell'organico e di ogni altra materia attinente al governo del personale, che resta accentrato.
D) Infine, nel contesto normativo dell'autonomia, della dirigenza e dei nuovi ordinamenti, gli organi collegiali territoriali non sono riformabili. Nonostante il tentativo - mai reso attuale - di riformare tali organi ai sensi dell'articolo 21 della legge n. 59 del 1997, la professione docente non gode ancora di un riconoscimento di autogoverno della professione, ad eccezione della disciplina peraltro gestita con un sistema e con procedure inefficienti per complicazioni e lungaggini.
Il problema degli organi collegiali va posto su nuove basi, per i seguenti motivi:
- dopo l'approvazione della legge citata (n. 59 del 1997) è intervenuta la riforma della Costituzione, che - come del resto anche la legge "La Loggia" (legge costituzionale n. 3 del 2001), assegna agli enti locali un importante ruolo gestionale come già avviene nelle province autonome di Trento e di Bolzano;
- con la finanziaria 2003, legge n. 289 del 2002 è stato sostanzialmente abolito il consiglio scolastico distrettuale, che non è mai decollato;
- il consiglio scolastico provinciale - dopo la istituzione dei consigli scolastici locali - non ha più senso dato che era nato per servire da "consulente" del dirigente scolastico provinciale. Oggi - con la riforma dell'amministrazione - l'ufficio scolastico provinciale non ha nessuna autonomia decisionale (se non per delega), ed è diventato una struttura decentrata della direzione scolastica regionale (regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 347 del 2000);
- infine, il Consiglio scolastico nazionale ovvero, nella nuova formulazione, il Consiglio superiore della pubblica istruzione (decreto del Presidente della Repubblica n. 233 del 1999) ha perso ogni significato. Esso era stato concepito fin dalle origini (1857) come organo di garanzia dei docenti contro la burocrazia amministrativa. Ma oggi, che il rapporto di lavoro è stato contrattualizzato, tale garanzia è offerta dalla contrattazione e dalla rappresentanza sindacali, non da un organo a metà tra il tecnico (consulenza) e il corporativo (controllo e disciplina del personale).
Circondati da organi collegiali di ogni tipo (e composizione), garantiti da una contrattazione sempre più minuta, che ne ha esaltato la funzione impiegatizia, privi di prospettive di carriera, gli insegnanti restano ancora in Italia senza una immagine riconoscibile. Finiti - per pochi - gli entusiasmi degli anni settanta, e i riferimenti ideologici forti delle ideologie contrapposte, per gli insegnanti - non solo in Italia - resta la strada del professionalismo (stato giuridico, formazione iniziale, cultura specialistica condivisa, codice deontologico, carriera, autogoverno della professione), cioè della ridefinizione del ruolo e delle competenze in rapporto ai nuovi compiti della scuola di massa in una società della conoscenza.
La presente proposta di legge tiene conto di questa analisi, e propone la ridefinizione di un nuovo statuto professionale dei docenti.
Il che significa:
- uno stato giuridico essenziale che affermi i valori e i princìpi (a partire da quelli contenuti nella Costituzione), su cui fondare la professione dell'insegnante a tutti i livelli, in tutti gli ordini di scuola e in ogni situazione (dalle carceri ai centri di formazione, dagli ospedali alle scuole serali) (articolo 2);
- una carriera, articolata in tre livelli (insegnante tirocinante, ordinario ed esperto), che sia fondata su modalità e criteri di valutazione basati sul merito professionale. E una articolazione del ruolo che garantisca alle scuole autonome professionalità e competenze adeguate, certificate, stabili e valutate (articolo 2);
- una dirigenza delle scuole, che non sia in contrasto con la natura tecnica della funzione scolastica e che ne costituisca effettivamente uno sbocco naturale della carriera e non una fuoruscita dal ruolo e dalla professione (articolo 3);
- un organo di autotutela professionale (standard, prestigio, immagine, promozione, eccetera), che sia la garanzia "dinamica" dello sviluppo della professione e che sappia escludere con i mezzi e con le tutele opportuni coloro che non possono essere definiti insegnanti (articoli 4 e 6);
- un contratto snello, che intervenga sui punti che non incidono sulle competenze professionali e sulla organizzazione della carriera. In sostanza: orario, retribuzione, mobilità, nonché riconoscimento dell'autonomia contrattuale di una categoria di professionisti (area autonoma) (articolo 7).
In sostanza, la proposta di legge intende proporre una professione che sappia autogovernarsi per la qualità, l'autonomia e la piena responsabilità della funzione, definita come "primaria risorsa professionale della Nazione".