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DA DANTE AL PROBLEM SOLVING
Come cambia il ruolo dell’insegnante

Intervista a Norberto Bottani (a cura di Alessandra Cenerini)


AC

Il 5 ottobre è la giornata mondiale degli insegnanti, ed è costume sperticarsi nell'”Elogio del Docente ”. Noi stessi riportiamo 10 ritratti di insegnanti-coraggio alla cui volontà, dedizione e creatività è affidata l'educazione e il riscatto di molti bambini e adolescenti che vivono in zone di povertà e di degrado. Se però andiamo al di là delle celebrazioni e dei casi eroici, che pur ci sono e vanno ricordati, qual è la tua convinzione: è l'insegnante che fa la scuola o è la scuola che fa l'insegnante?

NB

L'assioma secondo cui basta avere buoni insegnanti per avere una scuola di qualità è assolutamente semplicistico, e si rifa alla concezione dell'insegnamento come missione. Gli insegnanti nel mondo sono oltre 55 milioni e l'insegnamento va considerato per quello che è: un “mestiere” non una vocazione.

Ed è il sistema scuola che determina la qualità degli insegnanti, non il contrario. L'amministrazione, la dirigenza scolastica, i curricoli, l'organizzazione della scuola, il contesto sono fattori decisivi. Gli insegnanti agiscono e reagiscono sulla base di questo insieme di elementi. D'altra parte una politica che riduca la questione dell'istruzione alla “questione docente”, è non solo illusoria e sbagliata, ma, io credo, anche scorretta. Significa infatti addossare agli insegnanti, e solo a loro, il peso dei buoni o dei cattivi risultati scolastici.

Con ciò non intendo assolutamente dire che non si debba prestare attenzione agli insegnanti, voglio dire che modificare la loro formazione è una cosa, trasformare la pedagogia, riformare l'insegnamento, migliorare il profitto, fare sì che le scuole diventino luoghi in cui docenti e alunni vivono e lavorano bene, è un'altra faccenda. I problemi della preparazione, della selezione, della gestione, della carriera, della retribuzione e della valutazione degli insegnanti costituiscono un insieme di questioni coerenti e correlate tra loro che vanno trattate, tenendo conto di tutti gli aspetti- culturali, sociologici, conoscitivi, tecnici, economici- che essi comportano. Si commette però un grave errore di prospettiva se si ritiene che la partecipazione alla gestione della scuola, salari più elevati, condizioni di lavoro più soddisfacenti, uno stato giuridico più adeguato, bastino per fare funzionare bene le scuole e ottenere risultati migliori.


AC

A partire dalla seconda metà del XX secolo si è assistito a una progressiva destrutturazione dei curricoli tradizionali . L'analisi dei programmi scolastici degli ultimi 30 anni nei Paesi dell'OCSE dimostra che la gerarchia delle discipline è cambiata, che la loro rigida divisione è andata stemperandosi, a favore di un'organizzazione dei curricoli finalizzata all'acquisizione di competenze. Quali sono, a tuo avviso, le conseguenze sugli insegnanti?

NB

Il cambiamento che è in corso è di portata storica . La trasformazione dei curricoli, della loro organizzazione e della loro impostazione è uno degli aspetti più dirompenti per la professionalità docente.

Fino a 30/40 anni fa gli insegnanti nutrivano certezze rispetto a quello che dovevano insegnare e valutare. I programmi seguivano la rigida divisione delle discipline, a loro volta strutturate secondo i canoni classici della classificazione scientifica, di cui erano lo specchio fedele. Ora quello specchio è andato in frantumi. L'attività scientifica si confronta oggi con il crollo di quei riferimenti e di quelle categorie di classificazione che fino a poco tempo fa la organizzavano e la descrivevano. La ricerca non è più uno spazio distribuito in diversi settori, più o meno impermeabili tra loro, ma uno spazio integrato di attività. I diversi campi del sapere non si sviluppano “fuori dal contesto”, ma hanno strette relazioni con saperi pratici, mezzi di produzione, luoghi e interessi molteplici, che contribuiscono a modellarli e a orientarne lo sviluppo. Tutto questo si riflette sulla scuola. Oggi ci troviamo in mezzo al guado. E come avviene in tutte le fasi di transizione ci sono enormi problemi ed incertezze, che rafforzano negli insegnanti il bisogno di rimanere ancorati alle proprie abitudini e ai propri territori disciplinari.

Le riforme incontrano difficoltà crescenti via via che la riconfigurazione dei campi disciplinari si fa più evidente.

In Italia c'è stata in anni recenti una sola riforma di ottimo livello, quella che si è concretizzata negli Orientamenti della Scuola dell'infanzia del 1991, una riforma molto avanzata, dove è stato abbastanza facile ispirarsi ai risultati più recenti della ricerca pedagogica e psicologica. Via via che si sale, la confusione cresce, e quando si arriva alla secondaria di 2° grado si brancola nel buio. Si parla di competenze, di conoscenza organizzatrice , ma il percorso è tutt'altro che tracciato. Siamo in una ”no man's land”: che cosa si insegna, come si insegna, che cosa si valuta e come si valuta è ancora avvolto nella nebbia.


AC

E' possibile in questa situazione di incertezza che accomuna la scuola in tutti i paesi del mondo, ipotizzare come sarà la professione docente del futuro?

NB

Da quanto ho finora sostenuto risulta evidente che, a mio parere, gli insegnanti del futuro saranno il riflesso della scuola del futuro. La professionalità dei docenti, le loro funzioni, la loro didattica e metodologia, le loro condizioni di lavoro evolveranno in un modo o nell'altro a seconda degli scenari che si apriranno per la scuola.

Tu sai, perché fra l'altro avete avuto il merito di tradurli e divulgarli in Italia, che l'OCSE ha immaginato 6 scenari possibili per la scuola del futuro: a quelli sarà collegata la prospettiva della professione docente. Per parte mia sono molto pessimista. Se analizzo attentamente le le tendenze in atto non posso che scorgere una scuola a due velocità. Una in cui si formerà un'élite che riceverà un'istruzione di eccellenza, che disporrà di insegnanti eccellenti. Una scuola che occuperà una posizione gerarchica che può evocare, nell'immaginifico italiano, l'antico liceo classico. A questa si affiancherà la scuola di massa , con una funzione sempre più di socializzazione, che si limiterà ad impartire un'istruzione di base generale generica, un'infarinatura culturale, alcune norme di comportamento. Una scuola orientata più all'occupabilità che allo sviluppo di personalità autonome e di una formazione culturale solida e approfondita. Una scuola assolutamente non esigente, magari anche attenta alla componente emozionale, ma mai rigorosa nei confronti degli obiettivi culturali. E chiamiamola pure scuola, ma avrà sempre meno i caratteri di quella che abbiamo conosciuto. C'è chi parla di “scuola-supermercato”, credo che questa immagine renda abbastanza l'idea della scuola di massa consumistica che va profilandosi. Per questa scuola va bene l'insegnante-massa, quello che è andato costruendosi con l'avvento della scuola di massa. Così, se tutto questo è vero, si delinea lo sviluppo di due categorie di insegnanti, un'élite di docenti eccellenti per una scuola di eccellenza, e una massa di insegnanti non particolarmente qualificata per una scuola socializzante-assistenziale-ricreativa.

Non intravvedo segnali che facciano sperare in un'inversione di tendenza. Non scorgo “indizi”, a livello internazionale, che prospettino uno sviluppo credibile di una “democrazia cognitiva” a partire dalla scuola.


AC

Non pensi che la scuola dell'autonomia possa essere un'alternativa credibile, una leva possibile per cambiare rotta, per rilanciare e valorizzare la professione docente?

NB

Sulla carta può leggersi così, nel senso che una scuola autonoma può essere tale, direi per definizione, solo se è retta da insegnanti professionisti, in grado di individuare gli obiettivi, di costruire coerenti progetti educativi, di adattare metodologie e didattica alle diverse popolazioni scolastiche , ecc….

In realtà, tu sai meglio di me, che tutto questo è solo scritto sulla carta.

La situazione è quella del gatto che si morde la coda: la scuola autonoma non è tale se non dispone di “insegnanti al timone”, che sappiano guidare la navigazione, ma la scuola autonoma non è la causa di una migliore e diversa professionalità, ne è piuttosto l'effetto. Così siamo in una situazione di stallo.

Si può supporre che la presenza di scuole autonome riesca ad innescare un circolo virtuoso che inciti i docenti, da queste reclutati, a formarsi, a migliorare, a costruire comunità professionali, ma il processo non è automatico. La scuola dell'autonomia di per sé non basta a valorizzare la professionalità docente.


AC

Dobbiamo alla fine concludere che il docente colto, quello bravo, che ha caratterizzato la scuola umanistica, è proprio scomparso?

NB

La mia risposta è sì. E' scomparsa quella figura collegata alla scuola umanistica, “disinteressata”. Quella scuola che aveva al suo centro il sapere letterario, le opere dei grandi spiriti del passato, dei quali alimentava la conoscenza e la familiarità, che è stata magistralmente rappresentata dal film Le cercle des poètes disparus. Quella scuola non c'è più. Ma quel modello non è andato in crisi solo a partire dalla seconda metà del secolo appena trascorso. Quel modello è andato in crisi già nell'Ottocento con lo sviluppo dello Stato-Nazione, che ha elaborato e imposto una cultura nazionale, che ha introdotto quegli autori che incarnavano più di altri i valori nazionali, che servivano a inculcare una specifica identità morale e culturale. E' sufficiente pensare al posto che ha occupato il libro Cuore nella scuola italiana. Una cultura nazionalista che ha avuto anche risvolti perversi, non dimentichiamoci il suo volto guerrafondaio e razzista. Mi pare che in Italia dovreste esserne tutti ben consapevoli.

Ora lo Stato-Nazione, la scuola costruita in funzione dello Stato-Nazione vacilla, avanzano richieste di maggiore radicamento nella comunità locale e di aperture verso l'Europa e il mondo.

Non si intravvede però ancora una capacità di costruire questa nuova cultura, quello a cui oggi si assiste è piuttosto la tendenza a sostituire Dante con il problem solving.


AC

Le conclusioni che traggo alla fine di questa intervista è la necessità di una più diffusa consapevolezza dei rischi e dei pericoli incombenti, e un maggiore impegno nei confronti dell' “equità” nell'educazione . Sul tema dell'”equità” hai da tempo rivolto il tuo interesse e le tue ricerche e fai anche parte del Groupe Européen de Recherche sur l'Equité des Systèmes Educatifs.
Ed è proprio sull'equità educativa che ti chiedo fin da ora l'impegno a costruire insieme il seminario internazionale dell'ADi che si terrà a Bologna il 4 e 5 marzo 2005.

NB

Come “socio onorario” e responsabile scientifico dell'ADi lo faccio con grande piacere.