Gli insegnanti di fronte alle riforme
I discorsi sulla professionalizzazione, la preoccupazione di predisporre una politica di “sviluppo professionale” degli insegnanti si sono concretizzati in vario modo nelle politiche di riforma della formazione iniziale e continua e anche – non è il caso dell'Italia – nella revisione delle funzioni e dei compiti di consulenza e supporto pedagogico affidato ai corpi ispettivi (Eurydice, 2001). Quasi mai queste politiche hanno visto un attivo coinvolgimento degli insegnanti.
Le Organizzazioni Sindacali
Di fronte alle varie proposte di cambiamento l'atteggiamento delle organizzazioni sindacali è quasi sempre e ovunque di “riserva” o di opposizione, anche quando sono previsti vantaggi salariarli. Non viene accettato e tanto meno sostenuto quel modello così detto del docente professionista riflessivo, che comporta una forte dimensione del lavoro collettivo, una formazione continua obbligatoria, un'attiva partecipazione al progetto di istituto, la valutazione e la responsabilizzazione nei confronti dei risultati degli studenti.
Questa diffidenza in rapporto alle politiche che rendono operativo il modello di professionalizzazione si esprimono spesso nella forma di una netta opposizione, come in Francia dove il Sindacato si è opposto polemicamente alle conclusioni del rapporto Thélot (Associazione Treelle, 2005), proprio in relazione alla revisione di quello che in Italia si chiama lo “stato giuridico” degli insegnanti (“modalités de service ”; cfr. le Monde, 10 ottobre 2004). E ancora, in Belgio e in Gran Bretagna gli insegnanti attraverso i partiti sia di destra che di sinistra hanno chiesto una “moratoria pedagogica” e una pausa delle riforme.
Un problema generazionale?
Un primo tipo di spiegazione di questa “resistenza” al cambiamento rinvia alla socializzazione degli insegnanti, in particolare di quelli anziani, che, formati a un modello di professionalità anacronistico (il “maestro istruito”), resisterebbero ai nuovi modelli (il “pedagogista” e il “professionista riflessivo”). L'ostilità si spiegherebbe così con i tratti legati alla professionalità dell'insegnante, che sarebbero da una parte più “individualisti” (Hardgreaves, 1993; Humerman, 1993), e dall'altra relativamente conservatori sul piano pedagogico, affezionati ai vecchi modelli, sui quali si sono formati. Questo sarebbe particolarmente il caso della Francia e dell'Italia.
Di fronte a questa tendenza, la soluzione sarebbe quella di rafforzare le politiche di formazione iniziale dei nuovi insegnanti, che alla fine indurrebbero un cambiamento identitario per contaminazione interna.
Una tale spiegazione trova d'altra parte una parziale conferma nel lavoro di Rayou e van Zanten (2004), che, a partire da un'inchiesta qualitativa, vedono apparire “nuovi insegnanti”, le cui attitudini verso il mestiere e le riforme, e verso un nuovo modello di professionalità sarebbe relativamente cambiato in relazione all'età. Si tratta di insegnanti più inclini a considerare l'idea che bisogna prendere gli allievi come sono, più disposti ad ammettere la necessità di concertazione sulle regole disciplinari nelle scuole difficili, meno “presuntosi” e più disponibili ad ammettere i loro insuccessi o le loro debolezze in classe, più propensi a sperimentare nuove risposte ai loro problemi .
Tuttavia, una tale spiegazione è senz'altro incompleta, poiché non dà conto anche delle buone ragioni che gli insegnanti hanno per non entusiasmarsi alle riforme che vengono loro proposte.
Malessere collettivo
Si sostiene anche che l' insoddisfazione professionale si concentra negli istituti difficili. Per risolverla, si tratterebbe allora di migliorare le condizioni di lavoro degli insegnanti, di “indennizzarle” attraverso condizioni salariali specifiche, di favorire la mobilità e le prospettive di carriera, o meglio, di eliminare la segregazione scolastica e gli istituti “ghetto”. Questa interpretazione è molto parziale e può suggerire politiche insufficienti, per quanto necessarie.
In realtà, il malessere non tocca solamente gli insegnanti che si trovano in condizioni difficili, ma tutto il “corpo” docente in modo diffuso, quale che sia il tipo di istituto nel quale insegnano, e in quasi tutti i Paesi occidentali. In numerose inchieste gli insegnanti sembrano risentire di una “perdita di status”, della svalorizzazione della loro professione (Eurydice, 2003). In generale da queste inchieste si ricava che gli insegnanti sono poco “ottimisti” rispetto al loro avvenire qualunque sia la scuola o la materia di insegnamento.
Crisi della “professionalizzazione”dei docenti
Il problema della professionalizzazione o della deprofessionalzizazione del corpo insegnante è stato largamente discusso in questi anni in tutto l'Occidente. E diverse tesi si contrappongono:
- • Alcuni lavori insistono sulla necessità di migliorare la formazione e lo sviluppo professionale degli insegnanti per rafforzarne il professionalismo
- • Altri invece prendono atto che si è in una fase di irreversibile proletarizzazione degli insegnanti (Ozga e Lwan, 1981), o quantomeno di impoverimento della loro funzione che li riduce a un corpo di impiegati esecutivi
- • Infine ci sono, tra le due, posizioni intermedie e più sfumate.
C'è un dato comunque difficilmente confutabile: in tutti i Paesi la politica di professionalizzazione dei docenti si è molto indebolita.
Contro l'autorità e l'autonomia professionale dei docenti congiurano molte trasformazioni sociali, culturali, politiche ed economiche, quali:
- • lo sviluppo generalizzato del livello di istruzione dei genitori;
- • la scarsità relativa dei diplomi e delle qualificazioni degli insegnanti, soprattutto della secondaria;
- • la concorrenza di altre professioni dell'educazione o della cultura;
- • La trasformazione profonda dei modi di apprendere delle nuove generazioni legata allo sviluppo delle TIC
Le politiche educative d'altra parte hanno limitato, in grado diverso a seconda dei Paesi, il margine di manovra individuale e collettivo degli insegnanti nell'esercizio del loro mestiere; con l'introduzione, per esempio in Belgio e in Francia, della possibilità di ricorso dei genitori nelle decisioni di valutazione o di orientamento dei consigli di classe, e, in Italia, con la definizione, ad esempio, di uno statuto delle studentesse e degli studenti. Vanno aggiunte anche l'introduzione di un curricolo e di obiettivi pedagogici molto restrittivi e vincolanti (a cominciare dalla Gran Bretagna - 1988 - ed anche in Australia e Italia, 2005), o la realizzazione di procedure di responsabilizzazione, che sfociano spesso in pesanti processi di valutazione dei docenti. Questi effetti delle politiche di riforma sono stati particolarmente sentiti in Gran Bretagna, come abbiamo visto.