Occorre cautela con i video giochi

(Traduzione a cura di Silvia Faggioli)

Laurent Trèmel, dottore in sociologia presso l' EHESS, è specialista di videogiochi e ci fornisce una lettura sociologica del fenomeno

Intervista di Francòis Jarraud a Laurent Trèmel

C.P. Perchè il video gioco è un marker sociale? Perchè il dibattito sulla sua efficacia si trasforma in dibattito sociale? I video giochi hanno successo presso ragazzi di 15, 20 anni. Come si spiega questa attrazione?

L.Trèmel. Le industrie di giochi multimediali hanno iniziato a definire e inquadrare i loro clienti solo da tre anni. Non si sa ancora bene che tipologia di persone sia attratta da questi giochi e perché. L'età media del giocatore viene dichiarata attorno ai 30 anni perchè in questo modo il prodotto viene legittimato a livello culturale e vengono minimizzate le inquietudini di quanti si interrogano sul potenziale effetto di tali giochi sui bambini. Le stesse motivazioni portano a dichiarare che il 50% della popolazione utilizza questi giochi. All'interno del 50% vengono calcolati anche i giocatori occasionali. La pratica occasionale può essere interessante da studiare, ma non gioca nessun ruolo d'eccezione nella vita degli interessati. Dal punto di vista sociale o educativo non è a quel livello che compaiono problemi....

Nella fascia di età 15 - 25 anni, sopra menzionata, non è raro che i ragazzi - principalmente di sesso maschile- passino più di dieci ore al giorno coi videogiochi. E' prioritario comprendere la logica di tali comportamenti. A livello simbolico, i videogiochi -parlo di quelli più venduti, i quali si basano su di un meccanismo di accumulo di risorse e di progressione meccanica di un personaggio verso lo status di eroe - sono tarati su questo target di età. A livello psicologico e sociologico permettono ai giovani di acquisire una "grandiosità" (in questi modelli virtuali i personaggi sono esseri eccezionali) che si affianca alle loro vite reali nelle quali invece vivono una dipendenza prolungata dai genitori, un rapporto subordinato da maestro a allievo, la precarietà nel mondo del lavoro la quale porta inevitabilmente ad una dequalificazione ecc. In qualche modo i video giochi funzionano un po' come l'oppio, si è vicini alla dipendenza da haschich descritta da Freinet.

C.P. Il meccanismo è identico quando si passa da un gruppo sociale all'altro?

L.Trèmel. No, ha ragione a sottolineare questo punto, in genere i media non ne parlano. Anche se in molti videogiochi si possono ritrovare elementi simili, esistono tuttavia, tipi di gioco differenti e differenti tipi di supporto.

I bambini, ad esempio, amano giocare con videogiochi sportivi o di combattimento molto ripetitivi in consolles portatili (con una grafica meno realistica rispetto a quelli che utilizzano i computer), esistono inoltre giochi per bambine, oppure sono usciti su computer di ultima generazione i "jeux de role en ligne" molto costosi,con una grafica molto raffinata, i quali si indirizzano principalmente verso i ragazzi scolarizzati delle classi secondarie superiori (studi recenti hanno dimostrato che interessano soprattutto i liceali, gli studenti e i giovani adulti degli ultimi anni delle superiori).
Alcuni osservatori vantano i meriti dei giochi di strategia (in genere si tratta di amanti del tecnologico che credono di scoprire prodotti pedagogici).

Esiste anche un mondo parallelo, quello delle occasioni, dei prodotti vecchi, il quale interessa, paradossalmente, sia le famiglie popolari, sia i giocatori più fortunati nostalgici dei vecchi videogiochi. Il mercato dei videogiochi è dunque frantumato in funzione delle classiche variabili che si trovano in sociologia. età, sesso, origine sociale, livello di istruzione. Queste variabili sono fondamentali perchè, sebbene il meccanismo resti spesso lo stesso (progressione meccanica del personaggio dal destino eroico) il gioco cambia da un supporto all'altro, da un titolo all'altro, anche le storie non sono le stesse, cosi come gli scenari (guerre moderne, medioeval fantasy, mondo contemporaneo, fantascienza ecc)

C.P. Si può dire che il videogioco rappresenta un elemento di integrazione sociale?

L.Trèmel. Il video gioco contribuisce, oggi, alla socializzazione del giovane cosi come, in altri tempi, altri giochi hanno avuto il medesimo ruolo.

Tuttavia è più importante sottolineare che, sebbene oggi il videogioco faccia parte del modo di vivere di molti giovani, non è parte integrante della vita di tutti i giovani (esistono ad esempio gruppi di ragazze che non li ritengono interessanti, ed esistono ancora ragazzi che preferiscono aggiustare i loro motorini piuttosto che passare il loro tempo nel mondo virtuale !). Non arriverei quindi a dire che il video gioco è un fattore di integrazione o di esclusione, in questo senso sono d'accordo con l'analisi di Pierre Bruno elaborata agli inizi degli anni '90.

Gli industriali produttori di materiale multimediale e i loro mediatori mediatici spiegano ai genitori che il gioco è un fattore d'integrazione perchè in questo modo li spingono a comprare dei giochi facendo loro pensare che abbiano un'influenza positiva sui loro bambini. I meccanismi che portano alla formazione di gruppi di pari sono, sociologicamente parlando, un po' più complessi.

Elementi quali l'aspetto fisico, l'età, il livello culturale del bambino oppure i suoi interessi sono molto importanti nella formazione di gruppi di pari. Il videogioco può rappresentare un fattore influente ma non spiega tutto. Allo stesso tempo anche la tesi secondo la quale i videogiochi rendono asociali è soggetta alle stesse regole.

Studiando i giocatori accaniti (quelli che oggi vengono chiamati " no life") che passano anche dieci ore al giorno giocando, mi sono reso conto che il loro stato è influenzato da ragioni sociali o materiali (disoccupazione, lavori non interessanti che portano al desiderio di evasione, esclusione dal gruppo di pari,delusioni amorose ecc) ; il loro rapporto col gioco si può valutare in funzione di quello che succede nella loro vita " reale". Su questo punto vi invito a considerare quanto scrive Serge Tisseron.

C.P. Il videogioco influenza il comportamento dei giovani?

L.Trèmel. Ho condotto uno studio negli anni 1990-2000 mirato su una certa tipologia di giocatori, giovani appartenenti alla classe media, i quali giocano sui propri pc e abitano a Parigi o nella circoscrizione parigina, tale studio mi ha portato a pensare che esista una certa influenza. La maggioranza dei giochi veicolano valori " neo liberali" e presso i giovani la pratica dei videogiochi fortifica una visione del mondo basata su questi valori.

C.P. Pensa che il loro modo di pensare venga modificato?

L.Trèmel. Questa tesi è molto alla moda, cosi come il cognitivismo dal quale trae spunto, e tende a contaminare le scienze dell'educazione.

Da molti anni l'industria dei video giochi ci vuole fare credere che essi rendono " più intelligenti" (si ritrovano tracce di discorsi di questo tipo a partire dagli anni '80); ora addirittura i saggi abbondano in questo campo ...

Tuttavia lei sta intervistando un sociologo che non può assolutamente aderire a questa tesi anche se tale idea ha sedotto più di un sociologo. Se ci si focalizza sul gioco, come molti fanno, ci si scorda che i soggetti che essi studiano sono il prodotto di una storia sociale e culturale.

Se in un certo istante il bambino sviluppa delle capacità sorprendenti utilizzando il computer (dal punto di vista di un adulto), queste saranno il prodotto della sua socializzazione infantile e dell'educazione familiare e scolare che ha ricevuto. Di questi tempi abbiamo la tendenza a dimenticarlo troppo facilmente.

Questo non vuole certo dire che il videogioco non stimoli delle dinamiche specifiche, ma potremmo osservare fenomeni simili in tutte le attività per le quali il bimbo prova interesse senza che un pedagogista debba comprare qualcosa di cosi costoso come un videogioco.

C.P. I "giochi seri" suscitano dibattito. Pensa che il videogioco possa essere un buon supporto per l'insegnamento? Se si a quali condizioni?

L.Trèmel. Bisogna fare attenzione ai termini che si usano. Originariamente i giochi seri erano prodotti che si trovavano ai margini del mercato. Venivano concepiti al fine di promuovere una causa umanitaria, un messaggio politico oppure erano concepiti per intenti didattici e utilizzavano l'aspetto ludico a questo scopo.

Oggigiorno il problema nasce dal fatto che alcun i tendono ad assimilare i "giochi seri" a dei buoni video gioco, vantano i meriti di tutto ciò che c'è di più commerciale in essi (Sim City, Civilization, Age of Empire) e assicurano che in essi vi sono delle virtù pedagogiche. Come ho appena finito di spiegare qualunque prodotto ha delle potenzialità pedagogiche -ah i meriti del giardinaggio o della pasta da modellare !!!- e dubito che un insegnante amante della tecnologia possa fare un uso interessante in aula di giochi di questo tipo. Tuttavia, a parte questo, bisogna vedere se un'esperienza di questo tipo possa essere generalizzata a tutto il corpo insegnante all'interno di un quadro educativo che deve restare nazionale e definito da programmi e scopi comuni.

Bisogna inoltre essere coscienti del fatto ce le industrie vogliono realizzare un tale progetto perchè legittima i loro prodotti e ne assicura una buona promozione mediatica. E' soprattutto questo che deve rendere circospetti.

Ad esempio quando vi si spiega che Civilization (parlo della prima versione) è un gioco eccellente per apprendere la storia, bisogna anche sapere che presenta dimensioni etnocentriche contestabili le quali riducono la storia dell'umanità alla realizzazione dell'occidente. Ad esempio, in questo gioco è impossibile trovare la storia della civiltà musulmana. Immagino le proteste che potrebbero nascere in una classe di ZEP se gli allievi o i genitori se ne rendessero conto.

C.P. Il gioco è sempre stato utilizzato nell'insegnamento (ad esempio i giochi per imparare a contare). In cosa differiscono i videogiochi?

L.Trèmel. Si è vero, molto prima dell'avvento dei video giochi i pedagogisti hanno utilizzato il g ioco per fini educativi o pedagogici. Bisogna anche ricordare che i giochi di società sono stati utilizzati per fini di indottrinamento ideologico presso i giovani: penso ad esempio a certi giochi xenofobi prodotti dalla repubblica di Vichy, oppure ai giochi didattici concepiti durante le dittature comuniste. La storia dei giocattoli per bambini dimostra l'importanza del contesto nel quale tali giochi vengono prodotti e diffusi rispetto all'impatto che generano.

Per i video giochi non dobbiamo mai scordarci che si tratta di prodotti di mercato, concepiti e diffusi da industrie multinazionali, all'interno di tali giochi troviamo ideologie e scenari che non sono assolutamente neutrali. Per riprendere l'espressone di Boltankie Chiappello essi rivelano "il nuovo spirito del capitalismo".

Avendo coscienza di quanto detto mi sembra indispensabile mettere in guardia i pedagogisti ed esortarli alla vigilanza e ad evitare i facili entusiasmi che, purtroppo, invece, troviamo troppo spesso. L'idea secondo la quale i videogiochi sarebbero soggetti ad attacchi - che si possono giudicare speciosi e risibili - da parte di gruppi giudicati conservatori, non deve essere il pretesto per perdere ogni spirito critico.

Pubblicazioni di Laurent Trèmel


indice della paginaTorna ad inizio pagina