I nodi irrisolti
Rimandiamo all'intervista con Giunio Luzzatto l'analisi puntuale del Regolamento, qui si indicano sinteticamente solo alcune questioni che l'ADi considera da sempre cruciali e che sono rimaste irrisolte.
Una formazione avulsa da qualsiasi idea di scuola
Se è vero, come noi riteniamo, che i tratti distintivi della docenza, come quelli di tutte le professioni, hanno carattere relativo ed evolutivo (ciò che definisce la professione in una determinata società e in un preciso periodo storico può mutare in altro contesto e in altra epoca), era necessario e indispensabile che chi si accingeva a ridefinire la formazione degli insegnanti si fosse preliminarmente posto la domanda "Insegnanti per quale scuola?". Solo così sarebbe stato possibile stabilire oggi, XXI secolo, un'adeguata e coerente formazione per la professione docente.
Purtroppo non c'è nessuna idea di scuola alla base della formazione iniziale proposta, nessuna finalità indicata, l'unico obiettivo formulato dalla relazione Israel è quello di "non sottoporre il sistema universitario ad ulteriori tensioni" (sic!).
Ora siamo in una fase in cui la scuola, dopo essere rimasta per secoli identica a se stessa, è scossa da trasformazioni radicali che avanzano con un'accelerazione impensabile fino a pochi decenni fa. Si citano solo quattro "passaggi" che stanno minando alla radice l'antica idea di scuola e di insegnamento:
1) l'avvento dell' economia della conoscenza che richiede agli individui, come singoli e come organizzazioni, in un numero di gran lunga superiore rispetto al passato, di essere dei lifelong learners. Come può la scuola rapportarsi a questo modo globale nuovo di concepire il rapporto con il sapere, come cambia di conseguenza la funzione docente?
2) Il passaggio alla transdisciplinarità, che dalla metà del XX secolo ha messo in crisi la classica ripartizione delle discipline. Come si riconsiderano nella scuola le tradizionali discipline e le relative classi di concorso a cui rapportare la formazione degli insegnanti?
3) Lo sviluppo esponenziale delle nuove tecnologie dell'informazione e della comunicazione, divenute strumento prevalente di trasmissione delle conoscenze. E' questa, dopo l'avvento della stampa, la più grande trasformazione negli strumenti e nei modi di costruire il sapere. Come cambia in relazione ad esse la funzione degli insegnanti?
4) Il passaggio a una modernità "liquida"; siamo passati con una rapidità sorprendente da una modernità solida, definita e vincolata da legami nazionali, territoriali, saldi e duraturi a una modernità liquida, per dirla con Zygmunt Bauman, fatta di legami mutevoli e fragili, che racchiude in sé gli effetti della globalizzazione, delle migrazioni, delle reti virtuali; una modernità caratterizzata dalla multiculturalità e dalla complessità. Questo ha riflessi profondi sulla scuola poiché sono definitivamente entrate in crisi le finalità della scuola nata con gli stati nazionali:l'identità culturale non è più raggiungibile attraverso un modello statico di cultura, si costruisce nel confronto spesso conflittuale con le altre culture, è il risultato di ibridazioni, cambiamenti e rielaborazioni dei propri paradigmi culturali. Come si assume questo passaggio epocale nella formazione degli insegnanti?
Solo ponendo mano a una grande elaborazione degli standard professionali (v. punto successivo) si potrà cominciare a dare risposte a questi quesiti e costruire una formazione iniziale adeguata alle trasformazioni in atto.
L'assenza degli standard professionali
Non appare nemmeno in lontananza l'idea che il percorso professionale degli insegnanti, dalla formazione iniziale allo sviluppo di carriera necessiti di specifici standard (che cosa devono sapere e saper fare gli insegnanti), sia di carattere generale, sia specifici per gradi scolastici e per aree disciplinari, che sono cosa diversa dal profilo professionale.
Gli standard d'altra parte possono essere sviluppati solo dal mondo della professione, da organismi professionali dei docenti, che in Italia non esistono, poiché la docenza non è mai assurta al rango di professione.
In una fase transitoria potrebbero comunque essere definiti da commissioni miste fra mondo della scuola e università, in cui sia forte la presenza dell'associazionismo professionale, e che sappiano confrontarsi con quanto è stato prodotto da quei paesi che hanno da tempo intrapreso questo percorso.
La mancanza gravissima di collegamento con il reclutamento e più in generale con lo stato giuridico
Una formazione che ha la pretesa di collegarsi alla programmazione del fabbisogno dei docenti non può essere avulsa dalle modalità di reclutamento. La programmazione degli accessi come viene proposta ha fallito ormai da 35 anni, con la riproduzione deleteria di sacche di precariato e la costante rivendicazione e attuazione di sanatorie che hanno minato alla radice la qualità della professione docente. Eppure le norme su cui si fonda il Regolamento varato dal Consiglio dei ministri prevedevano che le due questioni, formazione iniziale e reclutamento fossero varate congiuntamente.
Il reclutamento è questione urgentissima. Non si fanno concorsi ordinari da 10 anni, dal 1999!
Non solo: alcune graduatorie di materie tecnico-scientifiche sono esaurite e si ricorre a supplenti non abilitati.Più in generale non appare più ammissibile, a distanza di oltre trent'anni, non inquadrare la formazione degli insegnanti all'interno del più generale stato giuridico della docenza, la cui formulazione complessiva risale al Decreto delegato n. 417 del 1974, mai più, da allora riformato.
Solo affrontando complessivamente un nuovo statuto della docenza sarebbe stato possibile assegnare, ad esempio, la funzione di tutorato a insegnanti che abbiano la competenza e i titoli per farlo, avendo previsto entro lo stato giuridico la costituzione di quelle "nuove figure professionali del personale docente" disposte dal comma 16 dell'art. 21 della legge 59/1997 e mai finora attuate. Non si capisce d'altronde perché non si ricerchino i dovuti collegamenti con il p.d.l. C. 953 (così detto progetto Aprea) in discussione in 7^ commissione della Camera.
Il capovolgimento del Titolo V: nessun potere alle Regioni
Ancora una volta il MIUR emette provvedimenti che eludono totalmente le norme costituzionali definite dal Titolo V. La decentralizzazione dei poteri alle Regioni è assolutamente ignorata persino nella parte relativa alla programmazione degli accessi, rispetto alla quale si fa riferimento agli Uffici decentrati del MIUR ossia agli Uffici Scolastici Regionali, USR (Art. 5 del Regolamento, Programmazione degli accessi) e non alle Regioni.
Lo vogliamo dire ancora una volta: nessuna riforma sarà credibile finchè non si attuerà il trasferimento di tutto il personale dirigente, docente e ATA alle Regioni. Sono passati 8 anni dall'entrata in vigore del nuovo Titolo V, è ora di applicarlo!
E di applicarlo senza "trucchi", perché finchè si scriverà, come si è scritto finora, in tutti i documenti prodotti dalla Conferenza delle Regioni e dal gruppo tecnico che "il personale dirigente, docente e ATA delle scuole resta alle dipendenze dello Stato" non ci sarà alcuna decentralizzazione, ma solo simulacri che aggraveranno la situazione esistente.