La politica d'integrazione scolastica dei bambini immigrati
L'abbiamo già sottolineato più volte: l'immigrazione in Finlandia è ad un livello molto meno elevato rispetto agli altri paesi sviluppati. Questa situazione tuttavia non è destinata a durare. La popolazione finlandese ha un tasso di natalità molto basso ed invecchia rapidamente. Diventerà necessario fare venire da fuori lavoratori che possano compensare questa inversione della piramide delle età e supplire all'insufficienza della forza lavoro autoctona. Chiaramente i finlandesi hanno scelto di considerare l'immigrazione come una possibilità di sviluppo e non come una minaccia. Quindi hanno fatto tutti i passi necessari per permettere ai nuovi arrivati di integrarsi positivamente.
In maniera opposta a molti Paesi, per i quali l'integrazione può avvenire solo tramite la rinuncia da parte dei nuovi arrivati dei loro costumi e dei loro valori, e tramite l'adozione dei valori dei paesi di accoglienza, la Finlandia ha fatto la scelta di non cercare di sradicare gli immigrati più di quanto non lo siano già. Ogni persona ha diritto al rispetto fondamentale delle proprie credenze, della propria lingua e della propria cultura, esse costituiscono l'identità della persona e rappresentano, a ben vedere, una vera ricchezza.
A cosa serve vantare la diversità se questa deve passare attraverso un'assimilazione forzata dei codici e dei costumi del paese di accoglienza? Traduzione concreta di questo principio fondamentale: nelle scuole con molti immigrati di Hakesku o di Meilhati nella periferia di Helsinki, le piccole somale velate non scioccano certo più dei giovani finlandesi dal look gotico o dalla pettinatura irochese.
Un professore di Meilhati al quale raccontavo della nostra legge che proibisce i segni visibili dell'appartenenza religiosa all'interno degli edifici scolastici, mi ha rivolto questa domanda: “Se è cosi importante per una ragazza portare il velo, chi sono io per impedirglielo?“
Conosco bene le argomentazioni che verrebbero utilizzate in Francia: queste ragazze hanno davvero scelto di portare il velo? Non si tratta di un simbolo intollerabile dell'oppressione patriarcale? Non si deve temere l'introduzione di ideali totalmente contrari ai nostri valori democratici attraverso queste deviazioni? Dietro questi fragili veli non si cela forse lo spettro del fanatismo religioso e del terrorismo fondamentalista?
Ma noi ci siamo davvero domandati come possa essere vissuto intimamente l'abbandono forzato del velo? Non si tratta forse di una violenza commessa con buoni propositi, in nome della laicità, che può però creare la necessità di un ritorno alla propria identità e alla chiusura all'interno delle comunità? Per quanto mi riguarda penso che la tolleranza e l'umanità utilizzate dai finlandesi in questioni così delicate e controverse, favoriscano un'integrazione dolce che i nostri grandi principi e le nostre leggi mettono al bando.
L'importanza attribuita dai finlandesi all'insegnamento delle lingue materne ai bambini immigrati proviene dallo stesso tipo di rispetto fondamentale. La città di Helsinki spende a questo riguardo cifre e mezzi considerevoli. Studenti di oltre quaranta nazionalità differenti possono, grazie a questi programmi, conservare un legame vivo con la lingua d'origine. Me Eva Penttila lo considera un fattore essenziale per l'equilibrio personale, poiché, secondo lei, le emozioni più profonde e i ricordi più intimi si possono esprimere solo nella lingua d'origine.
Gli studenti stranieri hanno altresì diritto a ricevere un'istruzione religiosa corrispondente alle proprie confessioni. Sebbene non si voglia lasciare campo libero ai fanatismi religiosi, le autorità dell'educazione permettono ai piccoli musulmani di ricevere, all'interno della scuola dei corsi di islamismo. Il buddismo e il cattolicesimo trovano ugualmente il loro spazio accanto alle religioni luterana e ortodossa tradizionalmente insegnate in Finlandia.
Ma penetriamo ora nel cuore delle strutture: la classe di integrazione degli allievi stranieri.
Quella di Meilhati è esemplare. Vengono accolti generalmente da quindici a venti studenti che non parlano finlandese. Il primo anno è concentrato sull'insegnamento del finlandese, questa materia occupa la quasi totalità del tempo. Non appena lo studente riesce ad orientarsi un po' viene messo a seguire le classi normali di qualunque corso possa seguire con profitto senza che la barriera linguistica sia proibitiva (musica, arte, sport, economia domestica ...). A contatto coi compagni finlandesi potrà sviluppare le sue competenze linguistiche in maniera viva e naturale. Questa integrazione progressiva è concepita per seguire da vicino i progressi degli studenti.
Ciascuno beneficia di un impiego del tempo preparato su misura, tale orario viene modificato almeno quattro volte nel corso dell'anno ! La direttrice della scuola di Meilhati utilizza un software appositamente concepito a questo scopo. E' con fierezza che Mme Riita Erkinjuntti mi mostra come, in stretta collaborazione con il professore della classe di integrazione, riesce a soddisfare i bisogni di ciascuno di questi giovani congolesi, somali, cinesi, marocchini, etiopi, afgani. Passato il primo anno, gli studenti potranno ancora, se ne faranno domanda, frequentare la classe d'integrazione per ricevere sostegno in quelle materie dove il loro livello nella lingua finlandese rappresenta ancora un handicap.
Il risultato è una coabitazione armoniosa, senza violenza e senza divisioni etniche. Poiché ciascuno viene rispettato e ha la libertà di essere se stesso, l'accettazione dell'altro sorge spontanea e forma un sentimento di fraternità tra razze e culture. Conservo un ricordo molto emozionante di una classe di musica dove, sotto la guida di un professore dall'entusiasmo contagioso, un gruppo di adolescenti di tutti i colori cantava una canzone finlandese suonando coscienziosamente degli accordi su tastiere elettroniche e xylofoni. Non erano perfetti, il risultato era un po' laborioso, ma questa classe di musica multietnica di una scuola di periferia, nel freddo dell'inverno finlandese dava l'immagine di quello che potrebbe essere un mondo fraterno, caloroso e pacifico.
La scuola di Itakeskus è situata in un quartiere di case popolari con una forte presenza di popolazione immigrata e ha raggiunto un altro obiettivo difficile: quello di essere divenuta un polo di eccellenza linguistico molto attraente. Lontana dall'essere divenuta una di quelle scuole alla quale si cerca di sfuggire in tutti i modi, questa scuola accoglie studenti che provengono da quartierei lontani poichè trovano qui un insegnamento bilingue di grande qualità, a condizione di superare un test di ingresso sulle competenze nelle lingue straniere.
Allora ho pensato a ciò che mi veniva spesso detto: se i finlandesi sono cosi bravi è perché hanno un basso tasso di immigrazione nel loro paese. Ovviamente viene sottointesa l'idea perniciosa e tenace che l'immigrazione possa essere solo sorgente di problemi e disordini. A tale affermazione rispondo che le soluzioni trovate dalla città di Helsinki per un'integrazione armoniosa potrebbero servire come modello a quei paesi sviluppati che, poiché non hanno saputo mettere in campo questi dispositivi, si trovano ora di fronte a problemi insormontabili, all'aumento inarrestabile dell'intolleranza e della xenofobia. I finlandesi non hanno aspettato di essere sommersi da ondate massicce di immigrati per sviluppare una politica d'integrazione umana, tollerante ed efficace.
Come mi ha detto Heiki Kokkala, esperta dell'OCSE per l'immigrazione, la Finlandia ora è pronta ad accogliere altri stranieri. E sono sicuro che lo farà continuando ad offrire ad ognuno la possibilità di esprimere il meglio di se stesso poiché si sentirà accettato per ciò che è veramente.