Regioni e Scuola: tre tesi in discussione

3) Teoria della complessità e abbandono del centralismo

Rappresentazione frattale della complessità

•  Per comprendere la novità rappresentata nella scuola dall'attribuzione della gestione della scuola alle regioni, ci soccorre la teoria della complessità, la quale ci fornisce un modello esplicativo per giustificare l'abbandono del centralismo della cultura, che è stato dominante nella scuola italiana, cui è stato demandato, come abbiamo accennato, il compito di assicurare una omogeneità culturale nella formazione dell'italiano.

•  Nella cultura italiana odierna la teoria della complessità è largamente presente in pressochè tutti i campi del sapere; l'idea centrale di questo nuovo paradigma, espresso da uno dei teorici più noti, Mauro Ceruti, è che la scienza classica è la scienza del ripetibile, atemporale, invariante, pertanto il residuale (il non razionale) è solo apparente, mentre invece, ciò che era residuale è ora risultato decisivo: da ciò la necessità di ridefinire, attraverso la nozione di complessità, i criteri della razionalità. In altri termini, il modello della “ragione classica” è fondato su un'idea di legge scientifica come luogo in cui si svela l'ordine nascosto, e a questa concezione causalistica dei fenomeni, in cui la legge ha un carattere prescrittivo, la teoria della complessità contrappone una concezione “vincolistica”, secondo cui “la storia naturale si delinea come una storia di produzione reciproca di vincoli e di possibilità attraverso la coevoluzione di sistemi viventi (autonomi) e dei loro ambienti, e dei differenti sistemi viventi (autonomi) all'interno di particolari ecologie” (Mauro Ceruti, Il vincolo e la possibilità , Milano, Feltrinelli, 1986, p. 18). In altri termini, i “vincoli” sono regole di un gioco che indicano ciò che non può succedere, non ciò che necessariamente succederà.

•  Così, la teoria della complessità costituisce un'alternativa al modello positivistico e neopositivistico di razionalità; “le nuove strategie costruttive della conoscenza contemporanea hanno messo in crisi”, dichiara Ceruti, “l'idea che l'universo categoriale della scienza sia unitario, omogeneo al suo interno, fissato una volta per tutte” (Ceruti, cit., p. 32). Il problema conoscitivo fondamentale non è più quello di trovare un momento di unificazione dei diversi punti di vista, ma piuttosto di legittimare differenti punti di vista, nella persuasione che tutti siano produttivi di nuove idee e nuove ipotesi. All'immagine classica di una razionalità capace, attraverso sintesi sempre più ampie, di esaurire la comprensione del mondo, si contrappone, ora, quella di una ragione “plurale”.

•  La teoria della complessità consente, dunque, di legittimare sia l'abbandono di un modello unitario, omologante, della cultura sia, conseguetemente, una nuova impostazione del problema dell'apprendimento, con l'utilizzazione, ora, non più delle categorie della pluridisciplinarità o dell'interdisciplinarità che, di fatto, fornivano strumenti più sofisticati per l'apprendimento di una cultura il cui impianto unitario non era messo in discussione, ma di quella della transdisciplinarità, la quale mira alla comune costituzione degli oggetti di ricerca, e degli strumenti del pensiero che questi oggetti richiedono. Il nuovo modello di apprendimento consente non un mero accostamento tra le diverse discipline, né un loro uso plurimo su uno stesso oggetto di conoscenza, ma una costruzione della conoscenza in cui il soggetto ha un ruolo attivo e produttivo. Oggi siamo di fronte a sfide in diversi campi (della tecnologica, dell'ecologica, della globalizzazione, ecc.); la sfida della complessità costituisce, in un certo senso, la base conoscitiva di tutte le altre sfide; essa richiede l'individuazione degli ostacoli che ci impediscono la progettazione di questa nuova forma di conoscenza, imponendoci uno sforzo trandisciplinare e interculturale per un'educazione della complessità umana(Mauro Ceruti et altri, Pensare la diversità , Maltemi, Roma 1998).

•  Non solo: le idee prodotte dalla teoria della complessità possono essere usate nella progettazione di una nuova scuola saldamente ancorata al proprio territorio: “Le sfide ai nostri sistemi educativi - afferma Mauro Ceruti - dipendono in buona parte da intensi cortocircuiti fra le dimensioni locali e le dimensioni globali” (Gianluca Bocchi-Mauro Ceruti, Educazione e globalizzazione, Cortina, Milano 2004, p. 25). Oggi, continua Ceruti, le diversità culturali, regionali, urbane, sono considerate da ogni Stato non più un ostacolo ma una risorsa; inoltre, ogni conoscenza e valutazione dei grandi temi sollevati dalla globalizzazione, come ad esempio quelli ecologici, possono essere compresi adeguatamente attraverso “una buona fruizione degli ecosistemi locali”. In conclusione, “oggi non si tratta più di prosciugare l'identità delle culture locali. Si tratta, al contrario, di supportare l'unicità (e la complessità, cioè molteplicità) degli itinerari costitutivi di quelle particolarissime culture locali che stanno diventando gli individui del nostro mondo, esponendoli alla comunicazione reciproca con quelle culture altrettanto originali (singolari e complesse) che sono costituite da altri individui” (G. Bocchi e M. Ceruti, cit., p. 77). Ora, solo una profonda conoscenza del “locale” ci consente di comprendere il “globale”, e ciò vale particolarmente in questa fase in cui assistiamo all'eclissi dello Stato moderno, e alla scuola spetta l'arduo compito di formare il cittadino del mondo.

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