Occorre modificare gli istituti tecnici e professionali: più conoscenze generali

Gli effetti sulla crescita economica derivanti da un innalzamento dei livelli medi di istruzione possono essere più o meno intensi a seconda degli indirizzi formativi che si promuovono: sono più efficaci quelli che accrescono la mobilità di impiego dei lavoratori e, soprattutto, la diffusione di nuove idee. Negli Stati Uniti la maggiore diffusione di conoscenze di base ha bene accompagnato l'accelerazione del progresso tecnico, contribuendo ad ampliare il vantaggio di crescita nei confronti dell'Europa continentale. 

Le scuole tecniche e gli istituti professionali, basati su percorsi specialistici, hanno tradizioni antiche, soprattutto in Germania, dove hanno sostenuto lo sviluppo economico e sociale dall'inizio del secolo scorso. Sono nati in un'epoca in cui la definizione di professionalità era molto più circoscritta e stabile che non oggi, fondata com'era su modalità di lavoro e su conoscenze relativamente durature nel tempo. Oggi è diffusa l' esigenza di modificare in parte non trascurabile la vocazione di questo tipo di scuole, perché occorrono in misura maggiore conoscenze che siano adattabili a contesti tecnologici dai confini assai più labili e soggetti a continui mutamenti. Pur riconoscendo il ruolo importante che le scuole tecniche e professionali svolgono ancora per il nostro sistema produttivo, la formazione scolastica può essere maggiormente indirizzata verso l'acquisizione di abilità generali, che siano anche di incoraggiamento a proseguire gli studi fino ai gradi più elevati.

Università: pochi laureati, troppi abbandoni, pochi iscritti ai corsi tecnico-scientifici, poche risorse

Questo ci porta a discutere brevemente dell' università. Nella popolazione più giovane, compresa tra 25 e 34 anni, la quota che in Italia completa un corso di studi post-secondari, nonostante il significativo recupero negli anni più recenti sulla spinta nel nuovo ordinamento del 2002, è ancora al di sotto della media dei principali paesi industriali. I tassi di abbandono nell'università sono pari al 60 per cento, quasi il doppio rispetto alla media degli stessi paesi. L'incidenza dei laureati che conseguono un titolo di specializzazione post-laurea permane in Italia molto bassa, collocando il nostro paese alla quart'ultima posizione fra i paesi dell'OCSE. Il recente incremento nel numero di laureati si è concentrato nei nuovi percorsi a breve durata. Nello scorso biennio, le nuove iscrizioni si sono indirizzate soprattutto verso le aree giuridiche e politico-sociali.

Più in generale, la composizione per corso di studi degli studenti universitari italiani appare sbilanciata, nel confronto internazionale, verso le discipline umanistiche e sociali a scapito di quelle tecniche e scientifiche. Parte del fenomeno è da imputare al fatto che negli altri paesi i diplomi universitari di durata ridotta sono, diversamente che in Italia, prevalentemente orientati verso lo studio delle materie tecniche. Ma un'altra parte della spiegazione sta nelle elevate rendite di cui godono alcune professioni, rendite che distorcono le scelte delle famiglie, e nella insufficiente domanda di qualifiche tecnico-scientifiche alte da parte delle imprese.

Le risorse pubbliche destinate all'istruzione post-secondaria sono relativamente minori in Italia che in molti altri paesi avanzati. Questo è anche il contraltare delle maggiori risorse destinate all'istruzione primaria e secondaria. La scelta politica di fondo è stata quella di privilegiare i primi ordini scolastici a scapito dell'investimento in conoscenze avanzate. Non è una scelta lungimirante in un mondo in cui l'innovazione è la chiave di volta dello sviluppo. Le risorse pubbliche impiegate in Italia appaiono ancora minori nel confronto con quelle messe in gioco nei sistemi universitari di stampo anglosassone, che pure vedono la prevalenza di atenei privati. E' però diversa la forma che assumono gli interventi: ad esempio, negli Stati Uniti prevale il finanziamento diretto degli studenti meritevoli e delle loro famiglie, attraverso borse di studio e prestiti personali; in Italia, come nel resto dell'Europa continentale, è di gran lunga prevalente il finanziamento delle strutture universitarie.

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