Quinta proposta:

definire la strategia a medio e lungo termine

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Le insidie perniciose che accompagnano ogni cambiamento della selezione degli insegnanti sono dovute alla mancanza di una visione di medio e lungo periodo che consenta agli aspiranti, fin dai banchi di scuola, di sapere con chiarezza la quantità e la qualità dell'offerta, che cosa significa diventare docente, quale percorso si deve intraprendere, quali ostacoli affrontare, quali sfide e quale impegno esso richiede.

Oggi il mercato degli insegnanti, invece, è fatto in modo da produrre equivoci e confusione, frustrazioni aggressive, attese senza fine, pressioni clientelari, rivendicazioni di diritti acquisiti inesistenti, conflitti tra categorie; un dispendio enorme di energie personali e amministrative.

Bisogna fare uno sforzo straordinario perché il cambiamento auspicato della fase iniziale della selezione – se mai ci sarà - si accompagni a un lavoro di progettazione di medio e lungo periodo.

Con particolare riguardo ai seguenti aspetti della “Macchina” dell'istruzione.

1) Rivedere totalmente il sistema delle supplenze

La causa del precariato cronico e di tutto quello che esso porta con sé (proroghe delle graduatorie, lunghe attese, difficile inizio dell'anno scolastico, ecc.) trova il suo pilastro – anzi il “motore” - nel sistema della supplenze. È lì che si crea quella particolare e diffusissima mentalità per cui tutti quelli che si trovano in una graduatoria a qualsiasi titolo e livello pensano di avere un diritto di prelazione sul posto anche se questo verrà dopo molti anni, una specie di assicurazione, un investimento in pazienza.

Questa mentalità alimentata dall'Amministrazione e dal Sindacato (i politici – privi di informazioni affidabili - hanno fornito solo il loro prezioso sostegno legislativo) ha impedito qualsiasi seria innovazione ed ha irrigidito il mercato del lavoro. Ad esempio, ha fatto sì che i curricoli e i programmi siano rimasti congelati da mezzo secolo; ha escluso l'introduzione di materie opzionali (ipotecando le cattedre all'infinito), ed ha indebolito qualsiasi tentativo di qualificare e arricchire il contenuto professionale di migliaia di docenti in omaggio all'esperienza vero alibi deli errori.

La Commissione istituita a livello centrale per modificare le procedure delle supplenze, com'era prevedibile, non ha sortito alcun risultato dopo anni di trattative. Bisogna riprendere la questione alla radice e pensare altre modalità e altri strumenti per la copertura dei posti che si rendono liberi anche per brevi periodi. È necessario separare le supplenze (e il relativo punteggio accumulato) dall'accesso al percorso abilitante (dove serve invece la preselezione, senza titoli di anzianità), incentivare la scuola a gestire con risorse proprie (ad esempio lo straordinario ben retribuito) la maggior parte delle sostituzioni, e lasciare ampia discrezionalità alle scuole (anche a livello di reti) nella organizzazione delle sostituzioni di tutto il personale: non deve essere un obbligo.

2) Decentralizzare l'amministrazione del personale

La decentralizzazione dell'amministrazione del personale, che dovrà ricomporre a livello locale tutte le figure oggi distribuite tra una miriade di soggetti: la scuola statale, la formazione professionale, le scuole paritarie, la formazione permanente, ecc. Gli ostacoli sono ancora molti, ma basterebbe un segnale di maggiore decisione e chiarimento “politico” – magari accompagnato da alcune esperienze regionali e/o locali – per dare avvio a una nuova stagione di gestione del sistema, la cui centralizzazione ha armai dimostrato impotenza e inefficienza gravissime, oggi difesa esplicitamente solo dalla FLC CGIL: “bisogna destinare risorse all'istruzione come motore dello sviluppo del paese per confermare la dipendenza esclusiva del personale docente, dirigente e Ata dallo Stato” [27].

3) Valorizzare l'autonomia delle scuole

Un passo avanti, come abbiamo visto, è quello di collegare gradualmente ma in modo chiaro e diretto la formazione iniziale ad una scuola od anche ad una rete stabile di scuole distinte per comprensive e secondarie di secondo grado (tirocinio o praticantato, selezione, assunzione e vincolo almeno triennale di permanenza nella stessa sede). Il passo successivo è quello di dare un ruolo alla scuola o reti di scuole nella scelta degli insegnanti. Per questo passo decisivo bisogna attrezzare l'Amministrazione e i dirigenti sia in termini di competenza nella programmazione rigorosa dei posti disponibili sia di controllo e di chiare responsabilità.

4) Abbreviare la scuola secondaria di 2° grado

La scuola secondaria deve finire a 18 anni (come già l'obbligo d'istruzione). O prima o poi, anche la scuola secondaria italiana dovrà entrare in Europa: non sarà più tollerabile, per le famiglie e per la società intera, che i nostri giovani debbano pagare all'atavismo del sistema un ritardo di un anno per l'accesso all'Università, alla formazione tecnica superiore e al mercato del lavoro. I politici conoscono già il problema, anche se, per timore di perdere consenso dopo il fallimento del maldestro tentativo del Ministro Berlinguer, non trovano il modo di decidere. E il danno si accumula generazione dopo generazione: “si può legittimamente ritenere che l'allungamento dei processi formativi - producendo migliore capitale umano e quindi maggiore produttività – compensi la sottrazione di persone al lavoro. E in astratto è certamente così. Però il raffronto con altri paesi europei fa ritenere che l'allungamento dei tempi di formazione, dovuto a un sistema inefficiente, non produca migliore capitale umano e non compensi la sottrazione di giovani al lavoro, ma significhi una perdita netta per la società”. [28] Certamente nella programmazione delle assunzioni anche questa “specificità” del nostro sistema dovrà essere rivista attentamente;

5) Superare il precariato

Un contratto unico per tutti? La “proposta Ichino” anche per la scuola? Le proposte di riforma del mercato del lavoro con le loro implicazioni sul precariato, le tutele contro la disoccupazione, la mobilità, ecc.. non possono ignorare il dualismo ormai inaccettabile tra lavoro pubblico e privato. Si pensi solamente all'introduzione del cosiddetto “contratto unico” di assunzione che cancella l'istituto dell'”incarico a tempo determinato”. Ciò implicherà cambiamenti profondi dell'attuale assetto normativo comprese le graduatorie, la durata degli incarichi, i casi di risoluzione degli stessi, il legame che sarà più stretto tra incarico e percorso di formazione abilitante (vicino all'apprendistato) e selezione per l'ingresso nei ruoli. Il contributo della scuola, che partecipa al precariato del settore pubblico con il 47% del totale, dovrebbe essere fondamentale e non subire come al solito l'iniziativa dei singoli e del tribunali amministrativi o civili [29].

A vedere questi dati ci sarebbe da chiedersi: ma che cosa hanno fatto di male gli insegnanti allo Stato e al Sindacato per meritare questo trattamento?

Tab. 13 Dipendenti pubblici con contratto a tempo determinato per comparto

Istruzione (Insegnanti e ATA)
47%
Sanità
12%
Enti pubblici non economici
1%
Enti di ricerca
2%
Enti locali
20%
Ministeri
3%
Aziende autonome
1%
Università
12%
Totale
100%
Fonte: Ministero della funzione pubblica, 2004

6) Diversificare i contratti di assunzione.

È una utopia pensare che, in futuro, tutte le situazioni formative siano sottoposte ad un unico modello contrattuale. Un modello peraltro che risale all'inizio del secolo scorso, centralizzato, lontano non solo dalle esigenze delle scuole, ma anche da quelle di una buona parte di coloro che nell'insegnamento non cercano solo sicurezza, ma anche soddisfazione, occasioni di crescita personale e arricchimento professionale. L'attuale modalità contrattuale non tiene conto della situazione del mercato del lavoro scolastico. C'è certamente un certo numero di giovani laureati che sarebbe disposto a fare un'esperienza didattica, ci sono certamente ingegneri, tecnici, esperti e liberi professionisti che potrebbero dare un contributo di qualità agli insegnamenti degli istituti tecnici e professionali, c'è infine un significativo gruppo di brillanti ricercatori che non si sottrarrebbe a questa esperienza. Nessuno di questi però è disponibile a impegnarsi in una corsa ad ostacoli per il ruolo e in una carriera ormai senza attrattiva né prestigio. Per questi bisogna pensare a contratti pluriennali individuali di tipo professionale – anche per poche ore di insegnamento la settimana – con clausole specifiche e da negoziare a livello di reti scolastiche.

Sciogliere questi nodi strategici diventerà fondamentale.

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[27] FLC-Cgil, Ricostruiamo l'Italia…., 2011, pagg. 6-7.
[28] Massimo Livi Bacci, Avanti giovani, alla riscossa,2008, pag.44. in questo contesto va richiamato anche il fatto che ben il 30% degli allievi esce dalla secondaria con uno o più anni di ritardo (il 11% con più di venti anni!), vedi MPI, La scuola in cifre 2011, Roma, pag.93.
[29] Vedi per la sintesi del dibattito Pietro Ichino, Inchiesta sul lavoro, 2011.

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