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Cesare Moreno ha scritto questo brano al termine del suo turno di digiuno nella staffetta che da due mesi si protrae per la scarcerazione di Adriano Sofri. L’ha fatto senza mai nominarlo. C’è una ragione in tutto questo. Il suo gesto va oltre la solidarietà per l’amico Adriano. E’ anche e soprattutto un atto di amore verso i suoi studenti. Ragazze e ragazzi che vivono quotidianamente situazioni di odio e di violenza. Un digiuno assurto a simbolo dell’impegno civile per una pedagogia della pacificazione.
Un digiuno contro le prigionìe
di Cesare Moreno (Coordinatore progetto Chance, maestri di strada di Napoli)
Da due mesi c’è una staffetta di digiuno per un amico carcerato.
Da due mesi c’è una staffetta di digiuno per un amico carcerato. Qualcuno digiuna per due giorni, mentre altri mantengono la continuità con scioperi di una settimana. Al 28 marzo i digiunanti erano 494 e 311 in attesa del loro turno. Ho partecipato alla staffetta perché è mio amico, ma anche perché per il lavoro che faccio ­ insegnare ai ragazzi che non andavano a scuola ­ era quasi un dovere professionale. Vi spiego perché. I nomi e gli obiettivi non li ho dimenticati ma volutamente esclusi: così si capisce meglio il messaggio.
E’ mio amico, è amico di tutti

Un uomo è in carcere. E’ mio amico, nostro amico, amico di tutti.

Molti lo vogliono colpevole di un esecrabile delitto.

Molti lo ritengono innocente di quel delitto.

Lui si è assunto la colpa di aver usato parole d’odio.

Una sentenza lo ha giudicato colpevole di quel delitto e non possiamo più discutere di questo. Noi, suoi amici, siamo colpevoli di essergli amici e solidali, colpevoli di avere lo stesso passato. Una parte di noi è prigioniera con lui, non passa giorno che io non debba rivolgere il mio pensiero all’amico carcerato, ma da mercoledì sera mi sento più libero e vorrei dirlo ad altri.
Con il digiuno ci stiamo guadagnando una nuova libertà

Ho cominciato il digiuno senza accorgermene, ho seguito un istinto naturale e spontaneo, perché ho già sperimentato che un piccolo dolore del corpo allevia grandi angustie dell’animo. Il corpo con le sue malattie può alleviare grandi pene morali (e viceversa la grave angustia corporale deforma l’animo). Quella sensazione permanente di debito mi si è attenuata nel momento in cui ho cominciato il digiuno e soprattutto quando l’ho proseguito perché due giorni mi sembravano pochi.

Mercoledì 27 marzo di sera ho incontrato in una pubblica manifestazione altri "digiunatori" e dalle loro parole ho capito che noi ci stiamo guadagnando la libertà del nostro amico, perché ci stiamo guadagnando una nuova libertà.

Dopo avere usato parole d’odio, da decenni predica contro la violenza e la vendetta
Io so che il mio amico, da libero, si è interposto nei più fieri massacri del nostro tempo, non astenendosi dalla lotta o allontanandosi dal fronte, ma schierandosi e pronunciando insieme parole di pace. E ha continuato a farlo da carcerato mostrando a tutti noi che anche dal fondo di una galera si può agire la libertà e si può non imboccare strade disperate e senza uscita. Eppure quest’uomo che da decenni, dopo aver usato parole d’odio, predica contro la violenza, la vendetta, l’odio, viene tenuto in galera dall’odio e dalla vendetta. Non posso fare a meno di ricordare un altro uomo, lascito della mia piccola cultura liceale, che è il più grande amico che abbia incontrato negli anni dell’adolescenza: Socrate; l’uomo che al mercato predicava contro la vendetta di sangue è stato ucciso dalla vendetta politica, e dall’invidia per i tanti suoi amici che lo amavano e proteggevano: di lui, di lui che invitava i giovani a non farsi giustizia da soli, di lui che proclamava la sovranità della legge e del tribunale, fu detto che era empio e che corrompeva i giovani. E fu ucciso. E si lasciò uccidere per lasciare un’eredità che ancora non si è consumata.
L’amico prigioniero non appartiene al me di ieri ma al me di oggi
Ho capito che il nostro amico prigioniero, non appartiene solo a me, ma a tanti nuovi amici e non appartiene al me di ieri ma al me di oggi. Con il nostro passato abbiamo un rapporto che somiglia a quello tra padri e figli: apparteniamo ai nostri padri e su di noi ricadono le loro colpe ma non possiamo né dobbiamo rinnegarli perché i natali non si cancellano. Però giunge il giorno in cui non apparteniamo più ai padri, ma a noi stessi, ai fratelli e ai figli. Forse per noi è giunto quel giorno. Per me certamente. Non da oggi, ma solo oggi me ne rendo consapevole, e il digiuno, non il mio ma quello corale che sta sviluppandosi in Italia, mi ha aiutato.
Né lui, né noi, né nessun altro deve essere inchiodato al proprio passato
Ho capito che il grande dibattito ­ grande per importanza ma non per interesse dimostrato dalla pubblica opinione - sulla rieducazione dei detenuti dovrebbe essere un dibattito sulla rieducazione di quelli che stanno fuori: occorre sapere se le persone i cui corpi sono liberi siano in grado di accogliere chi si è liberato dei pesi, ha saldato il suo conto. I muri di ostilità che ci tengono prigionieri impediscono ai carcerati di uscir fuori perché ciascuno intende accaparrarsi il reo e annetterlo alla propria fazione: c’è una doppia prigionia, quella delle mura e quella degli eserciti opposti. Antigone nel pieno di una sanguinosa guerra può amare il fratello reo perché ha l’animo puro, perché sta oltre gli schieramenti e grida: sono nata a legami d’amore e non d’odio e non può e non deve fare nessun calcolo di opportunità politica per poter agire. Noi fino ad oggi forse non ci siamo meritata abbastanza la libertà del nostro amico, non siamo stati sufficientemente liberi da poter accogliere un animo libero come il suo. Ho la sensazione che questo stia cominciando ad accadere nel momento in cui non appartiene più al suo e al nostro passato, ma appartiene al presente nostro e di tante persone che in passato non lo hanno conosciuto. Il nostro amico ha smesso da molto tempo di essere figlio del suo e del nostro passato, per questo lo vogliamo libero, non vogliamo che né lui, né noi, né nessun altro sia inchiodato al proprio passato.
Maria, una nostra allieva, ha il padre in carcere …
Ho detto a Maria, una allieva del progetto Maestri di Strada, che mi chiedeva perché rifiutassi il cornetto, che ero in sciopero della fame per un mio amico carcerato. Lei, che ha il padre carcerato a Dussendorf e altri parenti sparsi per carceri, mi ha risposto: e cosa dovremmo fare noi? Non ho saputo risponderle e mi sono continuato a chiedere cosa è che impedisce a Maria di scioperare per suo padre. Mi è venuto da pensare che fosse la natura del reato, ufficialmente un commercio di vestiario falso. Ma non è questo il punto: tempo fa il fatto che un carcerato ­ parente dei nostri allievi - fosse reo riconosciuto di assassinio, non mi ha impedito di mobilitarmi per conservarlo ai suoi figli. Il fatto è che Maria divide il mondo in "infami" che mettono in galera ingiustamente per spiata e "compagni" (non nel senso politico ma ­ a Napoli - nel senso più ordinario di amici) che ti aiutano a non farti prendere e quando stai in galera sostengono la famiglia; il fatto è che Maria vede davanti a sé solo strade obbligate. Maria non può aprirsi a legami che siano sufficientemente grandi da includere gli "infami". Maria e il suo papà non vedono altra strada che arruolarsi in uno dei due eserciti; è l’animo oppresso dalla guerra che impedisce di rivendicare il primato degli affetti. L’animo di Maria è altrettanto prigioniero del corpo e dell’anima del suo papà e noi maestri l’aiutiamo a liberarsi e forse il mio digiuno è una iniziativa pedagogica, perché le rende visibile una possibilità che neppure osa ancora pensare (qui una lezione grammaticale sul condizionale usato da Maria diventerebbe una lezione di vita sulle condizioni che rendono possibile digiunare per un carcerato). Per questo, perché non abbiamo una società sufficientemente pacificata, perché abbiamo gli animi oppressi, il padre di Maria resta in galera e nessuno farà uno sciopero della fame per lui.
Noi maestri di strada cerchiamo di usare la cultura per e-ducare, per far evadere ciascuno dalle prigioni di odio in cui è stato rinchiuso da troppo dolore

Nel nostro lavoro di "recupero" incontriamo donne ed uomini e ragazzi che fanno grandi sforzi per sottrarsi alla maledizione di destini chiusi e all’incubo delle strade predestinate: la fatica di queste persone è inenarrabile e spesso va incontro alla sconfitta perché ancora troppo poco è lo spazio per una vita giusta nelle nostre periferie. Io vedo che il lavoro educativo in queste zone non riesce anche perché troppi educatori mettono l’elmetto, vengono a combattere "battaglie contro"; usano la cultura come arma impropria per colpire preventivamente un nemico pericoloso. Noi maestri di strada cerchiamo di usare la cultura per e-ducare, per far evadere ciascuno dalle prigioni di odio, rancore, cattiveria in cui è stato rinchiuso da troppo dolore, e per questo siamo accettati, per questo Maria mi ha fatto una domanda che non avrebbe fatto a nessun altro professore.

Io penso che sto digiunando anche per il padre di Maria e per tutti quelli che non hanno nessuno che digiuni per loro perché non possono avere veri amici ma solo connivenze o complicità; perché se capiamo che non ci deve essere posto per la vendetta forse siamo più disponibili a non cercare la giustizia nell'afflizione dei carcerati, ma nella possibilità di vivere una vita più giusta tutti e di essere quindi accoglienti verso chi - in molti modi - salda i propri conti.

Il nostro amico ci sta aiutando a crescere più liberi

Dico che il nostro amico ci sta aiutando a crescere più liberi, ci sta aiutando a capire e far capire ai giovani cosa significa essere liberi e vogliamo sopra ogni altra cosa che finisca la vendetta contro il suo corpo e siamo disponibili ad esporre il nostro corpo al dolore perché a tutti sia chiaro e visibile quanta ingiusta ed inutile sofferenza si stia riversando su lui. Non chiedo e non spero nulla, sono sicuro che il pensiero puro di migliaia di persone concentrato sulle sbarre di quella prigione le farà fondere aprendo la strada a liberare il suo corpo.

Mi viene di dire che il nome del mio amico non sia importante, che chi non lo conosce, se vorrà indagare attraverso chi testimonia per lui, potrà capire che persona sia molto più di quanto non possa dire il nome.

Napoli giovedì 28 Marzo 2002
Sabato Santo 30 marzo 2002
Il fratello di Maria è morto ammazzato, aveva 18 anni.