Premessa
Le proposte presentate il 12-01-05 e lo schema di decreto del 17-01-05 di riforma del 2° ciclo del sistema educativo di istruzione e formazione non si basano su nessun parametro di riferimento e su nessuna analisi interpretativa dei processi dell'istruzione e della formazione, non avendo tenuto in nessuna considerazione i dati forniti dalle indagini nazionali e internazionali.
Il nostro giudizio è che la proposta presentata possa addirittura provocare un serio peggioramento della situazione attuale, e un ulteriore preoccupante allontanamento dagli obiettivi europei.
Le osservazioni e le proposte che seguono si basano su dati obiettivi ricavati da indagini nazionali e internazionali.
Alcune considerazioni alla luce di dati obiettivi
Il primo elemento su cui riflettere è che l'Italia è il Paese dell'UE con la più bassa percentuale di giovani scolarizzati o comunque in formazione fra i 15 e i 19 anni
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La Gran Bretagna, che ha una situazione grave da questo punto di vista, anche se migliore della nostra, sta impostando una riforma della fascia 14-19 specificamente finalizzata al superamento di questa situazione, ponendo al centro la valorizzazione dell'immagine e dei contenuti dell'istruzione professionale (obiettivo peraltro comune a molti Paesi europei). L'Italia al contrario ha deciso di licealizzare tutti gli istituti tecnici, e marginalizzare ulteriormente l'istruzione e la formazione professionale, facendone una filiera di "relegazione" riservata agli alunni che non hanno successo nella scuola, o ai figli di prima generazione degli immigrati. Una smentita clamorosa della sbandierata pari dignità fra i due sistemi dei licei e dell'istruzione e formazione professionale.
Il secondo elemento, ma non per importanza, è costituito dai risultati dell'indagine internazionale PISA 2003. Sono dati su cui tutti i Paesi stanno attentamente riflettendo, soppesandoli insieme a quelli di PISA 2000, per trarne le dovute conseguenze. Il MIUR continua a ignorarli, nonostante la gravità degli esiti che collocano i nostri quindicenni al di sotto della media OCSE, e che soprattutto descrivono un'Italia divisa, con punte drammaticamente arretrate. Questi dati ci indicano con chiarezza due cose:
- non è vero che la centralizzazione dell'istruzione garantisca o semplicemente favorisca l'omogeneità sul territorio nazionale;
- non è vero che una maggiore quantità di ore trascorse a scuola assicuri il miglioramento dei livelli di apprendimento (si pensi alle 40 ore dei nostri professionali e ai relativi risultati).
Nessuno di questi due dati è stato considerato, dal momento che:
- si mantiene la centralizzazione esistente, con i soliti livelli di ambiguità. Il decreto che in un primo tempo aveva stabilito il “Trasferimento degli istituti professionali di Stato alle Regioni” ora stabilisce il trasferimento alle regioni delle “competenze relative ai percorsi che si concludono con i titoli e le qualifiche di cui all'articolo 15, comma 5 (ossia quelli rilasciati dalle “istituzioni di istruzione e formazione professionale” n.d.r.). Cosa si trasferisce nei fatti alle Regioni? Vale forse la pena di ricordare per l'ennesima volta che sulla base del Titolo V, non esiste più “gestione” statale delle scuole, di nessuna scuola, e che gli stessi Uffici scolastici regionali dovrebbero essere soppressi o inglobati nell'amministrazione regionale, come ha ben indicato la sentenza della Corte Costituzionale n. 13 del 14-01-04. Inoltre, anche questo decreto come quello per il primo ciclo, continua a non definire la quota dei piani di studio da attribuire alle Regioni;
- si conserva un orario più elevato della media europea ma soprattutto un numero eccessivo di discipline, estremamente frammentate. Non si definiscono né le “competenze chiave” nel primo biennio -necessarie e indispensabili per tutti- il solo vero strumento per consentire i passaggi fra i vari indirizzi, né la progressiva predominanza delle discipline di indirizzo negli ultimi 3 anni, con la possibilità di orientare l'ultimo anno solo alle scelte degli studi postsecondari o lavorative. Viene in questo senso assegnata una quota irrilevante alle materie opzionali, che limita le scelte degli studenti, anzichè favorire le loro propensioni, come prevedono le più recenti proposte di riforma in altri Paesi europei. (v. Spagna, Francia, Inghilterra)
Il terzo elemento su cui riflettere è l'assenteismo degli studenti . Un'indagine dell'Assoutenti di 6 anni fa, a.s. 1997-98, lanciava già il grido di allarme, rilevando il sottoutilizzo della scuola specialmente da parte degli studenti degli istituti professionali del Sud. Questi i dati dell'indagine Assoutenti:
Fruizione del servizio scuola nel Nord: |
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Licei |
93% |
Istituti Professionali |
84% |
Fruizione del servizio scuola nel Sud : |
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licei |
78,3% |
Istituti Professionali |
68,4% |
I dati sono andati via via peggiorando. Un'indagine svolta nell' Istituto Professionale per l'industria e l'artigianato più qualificato di una ricca città del NORD, Bologna, ha indicato che nel secondo quadrimestre dell 'a.s. 2002-2003 che la fruizione complessiva del servizio scolastico era pari al 64, 20% dell'orario. Questi i dati:
Assenze sulle ore effettivamente svolte nelle classi 1e, 2e, 3e, |
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Classi |
A.S. 2000/2001 |
A.S. 2001/2002 |
A.S.2002/2003 |
Classi 1^ |
27,6% |
35,6% |
37,3% |
Classi 2^ |
29,0% |
38,2% |
36,6% |
Classi 3^ |
20,5% |
28,5% |
32,3% |
Assenze sulle ore effettivamente svolte nelle classi 1e, 2e, 3e, |
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a.s.2000/2001 |
26,1% |
a.s.2001/2002 |
34,4% |
a.s.2002/2003 |
35,8% |
Questi dati sull'assenteismo andrebbero considerati assieme agli elementi forniti dall'indagine PISA sull'atteggiamento degli studenti verso la scuola. In un contesto internazionale nel quale, in media, oltre un quarto dei quindicenni afferma che la scuola è un luogo dove non hanno voglia di andare, l'Italia è tra i Paesi con la percentuale più alta di giovani che dimostrano questa avversione o riluttanza nei confronti della scuola, ben oltre un terzo dei quindicenni italiani.
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(Dati PISA 2000) |
Questi dati complessivi- assenteismo e atteggiamento negativo verso la scuola- indicano in modo inequivocabile che la nostra, ma non solo nostra, tradizionale organizzazione del curricolo scolastico e del modo di fare scuola non tiene più. Occorre avere il coraggio di rendere essenziale il curricolo, per creare spazi per una più ampia gamma di esperienze di apprendimento (vale la pena di ricordare che, a questo fine, l'inglese Tom Bentley, ha raccomandato di ridurre il curricolo del 50%). L'opposto, insomma dell'ipotesi di licealizzazione generalizzata che il decreto propone.
4. Il quarto elemento su cui riflettere è che l'Italia ha, fra i Paesi dell'UE, una situazione fra le più gravi relativamente alla transizione dalla scuola al mondo del lavoro. I dati OCSE 2000 e 2001 ci dicono che nel nostro Paese:
Alcuni indicatori della transizione dalla Scuola al Lavoro |
a) l'età media d'ingresso nel mondo del lavoro è fra le più elevate, |
b) la percentuale di giovani che trovano impiego immediatamente dopo la formazione |
c) la percentuale di giovani che impiegano oltre 2 anni a trovare un lavoro dopo gli studi |
Esistono quindi seri problemi ad entrare nel mercato del lavoro.Ora è noto che la “formazione duale” potrebbe costituire uno degli strumenti per migliorare questa situazione, ma viene qui nuovamente del tutto trascurata, al punto che lo schema di decreto sull' alternanza scuola-lavoro, che dovrebbe essere organicamente coordinato a quello del 2° ciclo, la trasforma in principio metodologico-didattico per i licei anzichè stabilire modalità, strumenti e garanzie per il suo specifico sviluppo.
Formazione in alternanza scuola lavoro |
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5. Il quinto elemento da considerare è che la scolarizzazione oltre la maggiore età - i 18 anni - produce sprechi e ritardi. C'era una via di uscita nella legge 53/03, ed era quella di utilizzare il 5° anno come anno ponte per l'accesso all'università e più in generale all'istruzione terziaria . Anche questa ipotesi è stata di fatto accantonata dal decreto, dal momento che la preparazione all'università è considerata “in aggiunta” al normale curricolo.
Conclusioni e proposte
Alla luce delle considerazioni finora svolte, il giudizio sulle proposte concernenti il 2° ciclo è assolutamente negativo, tale da richiederne una completa reimpostazione. Non ritenendo di potere intervenire con semplici proposte di emendamento, avanziamo invece alcuni obiettivi importanti da perseguire e su cui, a nostro avviso, andrebbe impostato il decreto attuativo.
UN DECALOGO PER IL 2° CICLO |
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1) |
Dare immediata attuazione alla riforma del Titolo V della Costituzione, con la completa decentralizzazione della gestione di TUTTI gli istituti scolastici che consente, fra l'altro, di mantenere unitaria la gestione di tutto il personale docente, dirigente e ATA |
2) |
Aumentare il tasso di scolarizzazione della fascia d'età 15-19 anni, definendo le tappe per raggiungere entro il 2010 gli obiettivi definiti dalle direttive europee |
3) |
Ridurre la percentuale dei giovani che abbandona il sistema scolastico senza nessun diploma, definendo le tappe per raggiungere entro il 2010 gli obiettivi definiti dalle direttive europee |
4) |
Creare un forte e qualificato sistema di istruzione tecnico professionale in cui fare confluire gli istituti tecnici, gli istituti professionali e la formazione professionale, con la progressiva unificazione di “istruzione professionale” e “formazione professionale” |
5) |
Creare ex novo la formazione in alternanza scuola-lavoro, con l'obiettivo di non meno di 300.000 posti per i prossimi 3 anni |
6) |
Sviluppare curricoli per competenze, e definire le competenze chiave - necessarie e indispensabili per tutti - che siano comuni ai due sistemi e ai diversi indirizzi |
7) |
Eliminare l'impermeabilità fra il sistema dei licei, dell'istruzione e formazione professionale facendo leva su un'impostazione rigorosa ed unitaria delle “competenze chiave” |
8) |
Istituire una qualificata istruzione professionale superiore postsecondaria, parallela a quella universitaria, che dia sbocco e dignità a tutto il percorso di istruzione e formazione professionale |
9) |
Utilizzare il quinto anno dei licei come raccordo per la formazione universitaria e professionale superiore, e il quinto anno degli istituti tecnici come raccordo per l'accesso all'università, o come primo anno dell'istruzione professionale superiore, secondo le scelte degli studenti |
10) |
Sancire per i giovani il diritto al lavoro come elemento indivisibile dal diritto allo studio, con l'obiettivo dell'entrata nel lavoro per tutti entro 6 mesi dall'uscita dal sistema dell'istruzione e della formazione |