Due problemi

Questa bassa diffusione pone due problemi.

1) la bassa diffusione suscita problemi di logistica (come localizzare nel territorio la cosiddetta formazione esterna specializzata) pressochè insormontabili quando il numero degli allievi distribuiti tra le varie specialità è esiguo e di conseguenza non si possono ottenere economie di scala.

2) Le imprese hanno più oneri e meno interesse ad assumere un minore piuttosto che un giovane adulto, per i seguenti motivi:

È chiaro che a normativa vigente i minori sono svantaggiati sul mercato del lavoro e subiscono una concorrenza sleale. Questi meccanismi influiscono negativamente sui minori in una età delicata. I minori restano disoccupati più dei giovani adulti oppure vanno ad accrescere il lavoro nero. Come è stato riportato nella prima parte l'Italia, in Europa, è l'unico paese ad avere il picco di apprendisti all'età intorno ai 21 anni mentre all'estero il picco è intorno ai 16-17 anni. Contemporaneamente alla diminuzione dei minori è stata innalzata l'età massima di ingresso dei giovani adulti a 29 anni (e con una possibile durata del contratto fino a 35 anni).

Ci si chiede: quale è la politica formativa che c'è dietro? La politica prevalente sembra quella di ridurre il costo del lavoro: perché allora ci si ferma a 35 anni? È interessante notare che in Svizzera l'apprendistato è aperto a tutta la popolazione che ha compiuto i 15 anni. Una volta accettato il principio che l'apprendistato non è riservato alla formazione professionale dei giovani alla fine dei vari cicli di istruzione full time appare più equo non porre limiti di età all'accesso. Occorre in ogni caso favorire la formazione sul lavoro degli adolescenti. Pertanto andrebbero studiati degli incentivi efficaci (ad hoc) per privilegiare l'assunzione e la prima formazione dei minori finalizzata al primo ingresso nel lavoro rispetto a quella per l'età più adulta diretta a lavoratori già qualificati.

Un grave ostacolo

Uno dei maggiori ostacoli all'instaurarsi di un sistema efficace di formazione sul lavoro dei minori è costituito dall'includere ogni tipo di attività lavorativa sotto l'etichetta di apprendistato. Di fatto tutti i lavoratori minori sono inquadrati come apprendisti; anche quelli che occupano posizioni di lavoro puramente ripetitive, per esercitare le quali non è richiesta alcuna vera formazione, ma solo un rapido addestramento all'ingresso. Questa evidente alterazione del concetto di apprendistato è stata paradossalmente aggravata dall'istituzione dell'obbligo formativo che vieta ai minori qualsiasi attività lavorativa che non sia disciplinata secondo il "contratto di apprendistato per l'espletamento del diritto-dovere di istruzione e formazione". In questa situazione la prescrizione obbligatoria di un monte ore di formazione teorica tecnico-professionale finanziata dagli enti pubblici suona falso; è un modo per salvarsi l'anima, per così dire, e danneggia il concetto di apprendistato presso l'opinione pubblica. Va ricordato a questo riguardo che nel nostro paese la vera formazione tecnico-professionale è compito praticamente esclusivo della scuola a pieno tempo.

La politica di sviluppo di un nuovo apprendistato che forse si sta facendo strada nel nostro paese richiederebbe invece di concentrarsi su mestieri e competenze di elevato contenuto professionale, in sintonia con la domanda di saper fare dell'economia contemporanea. Non mancano esempi di apprendistato "nobile" di questo tipo (nota 6), ma essi sono sviluppati raramente nell'ambito della formazione dei minori. Va ricordato che questo apprendistato ad alto contenuto professionale può raggiungere livelli di competenza e di specializzazione superiori a quelli del sistema formativo secondario superiore a pieno tempo. L'orientamento prevalente degli attori, tuttavia, sembra privilegiare la scuola a pieno tempo, lasciando l'apprendistato dei minori nell'attuale limbo, privandolo, anche nel nome, della sua funzione "professionalizzante".

Si osservi, infatti, che secondo la legge Biagi, l'apprendistato cosiddetto professionalizzante può iniziare solo a 18 anni. Questa limitazione è incomprensibile: essa blocca le potenzialità soprattutto dei diciassettenni che sono nell'età migliore per acquisire una qualifica professionale di buon livello. Essi sono la classe di età più numerosa tra i titolari di un contratto di obbligo formativo (nota 7) che, come si è visto, rischia di essere un binario morto. Come si è detto in precedenza occorre separare, per quanto riguarda i minori, il necessario innalzamento del livello qualitativo e professionale dell'apprendistato, dai problemi di attuazione dell'obbligo formativo e della dispersione scolastica.

nota 6 Vedasi ad esempio il progetto della provincia di Torino e dell'AMMA per la formazione ad alto contenuto tecnologico per apprendisti.
nota 7 Secondo il monitoraggio Isfol gli apprendisti di 17 anni rappresentano il 58% dei minori in apprendistato; quelli di 16 anni il 32%; quelli di 15 anni il 10%.
Torna ad inizio pagina