RAPPORTO REDATTO DA LIVIO PESCIA PER LA

 PRESENTAZIONE
a cura di Norberto Bottani

E' con piacere e soddisfazione che presento questo Rapporto sull'apprendistato che Livio Pescia ha redatto per la Provincia di Torino. E' un tema che, insieme a quello dell'Istruzione Tecnica Superiore o Alta Formazione Professionale, considero da sempre di fondamentale importanza per l'Italia, e che l'ADi, di cui sono consigliere scientifico, ha ripetutamente affrontato nei propri seminari internazionali. Ne sono un esempio:

In questo Rapporto, Livio Pescia spiega in maniera esemplare e con grande chiarezza cosa sia l'apprendistato, il suo peso ed il suo ruolo nella preparazione dei giovani alla vita attiva. Si tratta di un testo importante che merita di essere letto con cura da tutti coloro che hanno la consapevolezza della crisi profonda in cui affondano in Italia i percorsi formativi rivolti all'inserimento professionale. L'impianto della scuola italiana è, a questo riguardo, obsoleto e inadeguato e chi ne fa le spese sono in primo luogo le nuove generazioni. Ma non solo. Ne pagano il prezzo anche migliaia di scuole e di docenti che si confrontano quotidianamente con situazioni insostenibili. Ne soffrono le aziende, anche se spesso il loro disagio è mascherato dalla posizione ambigua di Confindustria, che si è finora dimostrata incapace di esprimere una visione chiara sull'insieme dei percorsi professionalizzanti, attenta solo, pare, alla sorte di alcuni istituti tecnici.

Livio Pescia spiega lucidamente come il problema fondamentale in Italia sia di tipo culturale: il rifiuto di considerare valida, seria, rigorosa qualsiasi formazione sul lavoro, dentro il mondo del lavoro, non solo per gli adulti, ma anche per i minori. Il concetto predominante di formazione in Italia è di tipo scolasticistico, astratto, verbale. Solo nella scuola si farebbe formazione. Questa posizione, retaggio della riforma Gentile e di impostazione hegeliana, è pressoché unica in Europa. Non ci sarebbe insomma salvezza fuori della scuola e la scuola dal canto suo risulta oppressa da una funzione pressoché impossibile, quella di preparare, da sola, personale tecnico qualificato ai diversi livelli, in centinaia di settori professionali. Un'impostazione cieca ed ossessiva: cieca, perché preclude qualsiasi ricerca sulla formazione nel lavoro; ossessiva perché, ripiegata su stessa, genera profluvi di parole sull'imparare ad apprendere accompagnate da pseudo teorie pedagogiche sull'imparare al fare e peggio ancora al vivere, come se questi apprendimenti fossero possibili ed ipotizzabili solo dentro alla scuola.

L'apice di questa chiusura culturale è l'ottusità nei confronti dell'apprendistato. In Italia, solamente la provincia di Bolzano, e in parte quella di Trento, propone ai propri giovani un avviamento alla vita professionale, totalmente diverso da quello del resto del paese, conforme alle impostazioni di moltissimi altri paesi e in linea con le pressanti raccomandazioni che le organizzazioni internazionali fanno da almeno un trentennio.

In questa situazione Livio Pescia si chiede, giustamente, se c'è posto per l'apprendistato nel sistema educativo italiano. La risposta è ovvia: così come è ora il posto non c'è. Ma forse potrebbe esserci.

E' dunque merito della Provincia di Torino avere voluto affrontare il problema con un'impostazione di ampio respiro, commissionando questo Rapporto a Livio Pescia, uno dei maggiori esperti in materia con una lunga esperienza internazionale.

Pescia compie un pazientissima opera didattica (assolutamente necessaria in Italia dove l'”analfabetismo” in materia è grave e preoccupante) e spiega in modo accurato cosa sia la formazione sul lavoro e come la si possa ideare ed organizzare anche in Italia. Proprio per quest'ultima ragione il lavoro di Pescia acquisisce anche una valenza politica: prendendo per mano tutti i potenziali interlocutori, dentro e fuori la scuola, mostra loro quel che si potrebbe e si dovrebbe fare.

Pescia correda la sua dimostrazione con una minuziosa descrizione di alcuni casi: quello francese, quello inglese, quello tedesco e quello elvetico. Il Rapporto insiste molto sulla Francia che, a nostro avviso, non è il paese più avanzato in questo campo, ma forse Pescia lo fa perché i governi francesi di questi ultimi vent'anni, di destra o di sinistra, hanno fortemente promosso una politica di sviluppo dell'apprendistato. In Europa, non c'è nessun dubbio in merito, i casi più meritevoli di essere studiati sono quelli della Germania e della Svizzera che in materia hanno una tradizione secolare. In questi paesi l'apprendistato non è la serie C ma è la serie A , secondo la metafora calcistica usata da Pescia.

Pescia nota di sfuggita che in Germania molti studenti che fanno il liceo e conseguono la maturità, invece d'iscriversi all' università, iniziano un percorso di apprendistato. E' quel che si chiama la seconda via, e non, riduttivamente, secondo canale. Questa via non era presa in considerazione nelle statistiche internazionali fino a quando la Germania ha dimostrato, una decina di anni fa, che la proporzione di questi studenti era quasi del 25%, uno su quattro.

Nel suo lavoro Pescia ha posto soprattutto l'accento sugli aspetti istituzionali per spiegare la missione dell'apprendistato. Osiamo aggiungere che forse sarebbe stato utile insistere maggiormente sul partenariato tra settore dell'istruzione, mondo del lavoro (le aziende) e parti sociali. Senza un'intesa forte tra queste componenti non si può pilotare un sistema di apprendistato.

In ogni modo, questo brillante lavoro di Pescia dimostra che in Italia si è proprio ancora ai primi balbettii in materia e che il percorso da svolgere per arrivare ad impostare una formazione in alternanza imperniata sul lavoro è ancora lungo. Lo si può però compiere, come lo illustra molto bene il caso della Francia e l'apertura di cui fa prova, meritoriamente, la provincia di Torino.


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