“ Basta insegnare per i test” è un articolo dell'inglese Tom Bentley, comparso sul Guardian il 10-02-02, nel quale ripropone le sue idee per una radicale trasformazione della cultura scolastica. L'Inghilterra ha avuto, come noto, un processo di riforma diverso rispetto a molti altri Paesi europei, come ad esempio, la Spagna, la Francia o la Svezia. Mentre in queste nazioni la riforma dell'autonomia scolastica si è accompagnata al decentramento della gestione dell'istruzione, l'Inghilterra che godeva già di un sistema fortemente decentrato, ha tolto potere alle autorità locali, le LEA (Local Education Authorities), ha dato più autonomia ai singoli istituti scolastici, e ha contemporaneamente avocato al centro la definizione del curricolo nazionale e la valutazione degli apprendimenti attraverso test standardizzati in 4 fasi chiave ( KS, key stages) del percorso scolastico ( a 7, 11, 14, 16 anni). Questa riforma ha indubbiamente prodotto un innalzamento dei livelli generali di istruzione, ma ha anche provocato diffuse reazioni contro l'uso intensivo dei test che ucciderebbero la creatività e la libertà di insegnamento, costringendo i docenti a “ teach to the test ”, cioè insegnare solo in funzione dei risultati dei test nazionali. Tom Bentley, pur riconoscendo i meriti di questa riforma, afferma che è tempo di allentare i controlli e dare più spazio all'autonomia professionale e scolastica, perché solo così si potranno dare risposte reali alle richieste di individualizzazione dell'insegnamento.
Sono considerazioni importanti per un Paese come il nostro che ha previsto solo ora nella riforma della scuola verifiche nazionali a vari stadi del percorso scolastico e arriva buon ultimo nell'attuazione della riforma dell'autonomia. Sarebbe almeno importante apprendere dall'esperienza degli altri.
In questo stesso articolo riveste particolare importanza per il dibattito italiano, anche il giudizio positivo espresso sul libro bianco del ministero inglese per la fascia 14/19 anni. Un'ipotesi di intervento che mette in discussione l'uniformità dei percorsi fino alla conclusione dell'obbligo scolastico a 16 anni, e vede lo spartiacque per la differenziazione a 14 anni, con la costruzione di percorsi coerenti per l' intera fascia 14/19, pur con la possibilità di passarelle e cambiamenti di rotta. Un dibattito che ci coinvolge in pieno in questa fase della riforma.
Tom Bentley è direttore della Demos e autore di diversi libri sull'istruzione, tra cui “L'era della creatività” e “L'apprendimento oltreoltre la classe”. E' stato consigliere del ministro dell'istruzione David Blunkett nel primo governo Blair.
BASTA INSEGNARE PER I TEST
Il governo è riuscito ad innalzare i livelli dell'istruzione avocando a sé compiti prima decentrati e estendendo forme di controllo attraverso l'uso estensivo di test. Ora, però, se si vuole andare oltre e cambiare la cultura dell'istruzione, occorre dare alle scuole l'autonomia di ricercare e sviluppare da sole le soluzioni adeguate
di Tom Bentley
( traduzione e adattamento a cura di Maria Grazia Gerardi)
Il ministero inglese ha avuto il merito di individuare quali sono le sfide culturali fondamentali su cui si incentra oggi la trasformazione dell'istruzione: il passaggio da una cultura che considera l'istruzione professionale una soluzione di ripiego a “ un linguaggio e a una struttura dell'istruzione capace di attirare e coinvolgere tutti i ragazzi anche oltre l'assolvimento dell'obbligo scolastico a 16 anni ”.
Ma questa sfida culturale impone anche che il Governo ripensi alle modalità con cui attuare tali cambiamenti.
Se i Laburisti vogliono realizzare la promessa di portare il sistema dell'istruzione inglese ai più alti livelli internazionali, è necessario che mettano mano ad una riforma radicale e strutturale che coinvolga tutti i gradi dell'istruzione. Orbene questa nuova fase della riforma non può prescindere da una maggiore flessibilità e creatività sia nelle metodologie che nei risultati.
L'approccio centralistico di questi ultimi cinque anni fondato sul controllo tramite test nazionali ha certamente migliorato gli standard dell'istruzione inglese, ma non è in grado di andare oltre. La sfida che i laburisti devono affrontare è invece quella di creare un sistema educativo che funzioni diversamente, e non solo in modo più efficace.
Ciò significa:
- un curricolo ridotto;
- una valutazione meno rigida e più sofisticata;
- la trasformazione della funzione degli insegnanti in ruolo di “guida per l'apprendimento ”;
- un notevole incremento dell'offerta delle opportunità di apprendimento al di fuori della scuola;
- una collaborazione più stretta tra scuola e territorio.
Il nostro ministero ha ragione nell'identificare i 14 anni come lo spartiacque tra i diversi stadi dell'apprendimento. In questo senso il Libro Verde sulla fascia d'età 14-19 costituisce un importante passo avanti nel completamento della filosofia del governo nel campo dell'istruzione. Fondamentale è l'impegno assunto di dare agli studenti compresi in quella fascia d'età una gamma più ampia di offerte educative, grazie alle quali ogni singolo ragazzo possa meglio individuare il proprio percorso.
L'abito mentale ad apprendere deve essere creato attraverso un mix di studio accademico, formazione professionale, educazione alla cittadinanza e un approccio creativo che consenta di sapersi destreggiare nell'economia della conoscenza. E' fondamentale che qualsiasi approccio educativo per la fascia d'età 14/19 anni integri e non separi questi elementi, perché solo così si riuscirà a creare un sistema realmente flessibile. C'è un delicato equilibrio da salvaguardare quando si ampliano le scelte in funzione delle diverse capacità e dei diversi interessi: occorre evitare che tali scelte costituiscano per lo studente un percorso unidirezionale preclusivo di possibilità future.
Per potere raggiungere questi nuovi traguardi è necessario che gli insegnanti abbiano una maggiore flessibilità organizzativa, e un migliore supporto di staff, solo così potranno fornire a tutti gli studenti programmi di apprendimento individualizzati. L'approccio centralistico basato sui test serve a migliorare il sistema esistente ma non a sostenere e a sollecitare le innovazioni.
In pratica, oggi la valutazione si limita ad attestare ciò che gli studenti sanno, o peggio ancora, si ricordano, stabilito in un confronto fra pari. La valutazione dovrebbe invece indicare anche ciò che gli studenti decidono che possono, e vogliono, imparare successivamente, non solo giudicare le competenze acquisite.
L'importanza prioritaria posta sui risultati dei test ha spinto le scuole e gli insegnanti ad “insegnare per il test” (“teach to the test”). Questo rafforza un sistema all'interno del quale gli studenti non sono incentivati a trasferire le abilità da una disciplina ad altre discipline o a risolvere problemi reali all'interno delle discipline, a sviluppare cioè le conoscenze in modo da poterle applicare nella vita reale,oltre le prove d'esame.
Il desiderio degli insegnanti di ritrovare da un lato creatività nell'insegnamento e dall'altro di sviluppare abilità creative negli studenti, rappresenta due facce della stessa medaglia. La demoralizzazione presente nella professione e le difficoltà che il governo ha avuto nel mettere in atto un cambiamento dall'alto non sono casuali. Solo assegnando uguale importanza allo sviluppo professionale degli insegnanti e alle proposte di cambiamento , si potrà raggiungere“una progressiva trasformazione” della scuola.
Il ministero ha giustamente affermato che sia gli insegnanti che gli studenti beneficeranno di approcci più consoni ed adeguati alla possibilità di soddisfare i bisogni e gli interessi dei singoli . Ma come si propone il governo di rendere possibile questo approccio flessibile all'insegnamento in una situazione come l'attuale di grave carenza di docenti?
Gli insegnanti riconoscono che esisteranno sempre sia il curricolo nazionale che le valutazioni dei risultati , ma hanno bisogno che il sistema dia loro un reale interesse a ridefinire e sviluppare modalità di insegnamento/apprendimento adeguate ai bisogni dei singoli studenti.
Per facilitare una maggiore collaborazione, occorre sviluppare l'uso delle nuove tecnologie e mobilitare le più ampie risorse del territorio e degli imprenditoria locale. Queste collaborazioni potrebbero anche coinvolgere musei, gallerie d'arte e ogni altra organizzazione presente sul territorio che abbia interesse all'istruzione dei giovani.
Questi cambiamenti della cultura scolastica non possono e non devono essere imposti dall'alto. Sta alle scuole sviluppare le proprie soluzioni in modo che – per la prima volta in 20 anni di riforme scolastiche – i cambiamenti possano generare senso di appartenenza ed entusiasmo tra gli insegnanti.
I tentativi di presentare la trasformazione delle scuole come battaglia tra insegnanti modernizzatori e conservatori non colgono il problema. Il sistema educativo è altamente complesso, e altrettanto complesso è il ruolo di guida all'interno di esso. I cambiamenti imposti a livello nazionale possono dare luogo a risultati diversi da quelli voluti poichè diversi elementi andranno ad adattarsi all'ambiente nel quale si troveranno ad operare, un ambiente in continua in evoluzione
Ma esistono soluzioni pratiche ai problemi posti? Demos sta lavorando ad una serie di progetti mirati a collegare le scuole tra loro in modi nuovi. Pensiamo così di dare un sostegno concreto alle innovazioni che nascono dalle scuole, e di favorire lo sviluppo di nuovi rapporti tra le scuole e il territorio.
Questo approccio “a grappolo” dovrebbe trarre ispirazione dall'idea “ della scuola aperta 24 ore al giorno per 7 giorni alla settimana”, secondo cui l' istruzione scolastica e l'apprendimento extrascolastico, la scuola e il post-scuola, diventano tra loro inscindibili. Se le scuole riusciranno davvero a sviluppare legami con il territorio, riusciranno anche a creare un passaggio più sereno e meglio pianificato dalla scuola al lavoro. |