Le sette priorità dell'Istruzione |
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Dove
va
l'autonomia
?
L'autonomia, un evento
L'autonomia
è un grande evento politico. E' lo
strumento che deve sbloccare il
sistema scuola. Uno strumento non semplicemente per migliorare,
ma per operare un vero cambiamento:
da una scuola dell’inerzia, che tende all’appiattimento, all’entropia
formativa, da una scuola sostanzialmente indifferente ai risultati, che si
riproduce stancamente nell'orgoglio ferito degli insegnanti, ad una scuola in
cui prenda avvio un processo evolutivo
verso risultati formativi di qualità, una scuola ripresa in mano dagli
insegnanti, che ritrovano orgoglio professionale.
Un’inversione, insomma.
L’autonomia è infatti un’inversione di modello:
da una scuola regolata dal centro e che risponde al centro, ad una scuola che si
autoregola in rapporto alla propria
utenza sul territorio. Una scuola che risponde alla società rappresentata
concretamente dall’utenza e non astrattamente dallo Stato. Una scuola la cui preoccupazione fondamentale non è più
quella di rispondere della conformità alle norme,
ma dei risultati effettivamente ottenuti.
…ma
ci vuole un'idea di scuola
Ora
questa inversione, che consiste nell'orientare tutta l'azione al risultato formativo,
potrà avvenire solo se la scuola avrà
una chiara idea del prodotto
formativo che intende perseguire e di cui intende rispondere.
Ma
è proprio qui che sorgono gravi, anzi gravissimi, problemi.
L’autonomia non riesce ad essere orientata ad un’idea forte di
scuola, perché
non c'è oggi un'idea di scuola che abbia capacità di imporsi, che sia fatta
propria dagli insegnanti, che sia sostenuta dall'utenza,
di cui i media si facciano portavoce e di cui il potere politico (lo
Stato, il governo) sia il garante.
Questa
condizione, la convergenza di scuola, società e Stato su un unico obiettivo, su
un’idea condivisa di formazione, è difficile a realizzarsi perché richiede
che qualcuno, gruppi o singoli, riesca a concentrare l’attenzione della società
intera su un obiettivo, un disegno e crei una generale convergenza, una forte
condivisione. E’ il compito dei leaders.
E’
l’operazione compiuta con il risanamento e l'ingresso in Europa. Per la scuola
non si è saputo fare altrettanto.
La
gente ha un'idea di scuola?
Esiste
un'idea di scuola abbastanza condivisa nella società,
è quella che pretende più studio, meno dispersione parolaia, più
impegno personale, più formazione del carattere attraverso lo studio.
Questa idea è spesso considerata “di destra”, ma si tratta invero di un atteggiamento trasversale, che attraversa, si può dire, tutta la società, tutti i partiti, tutte le famiglie. Crediamo di poterlo affermare anche se non sono state fatte indagini in questo senso, a differenza di quanto è avvenuto in altri paesi impegnati come noi, più di noi, nel rilancio dell'istruzione.
Basti
citare gli Stati Uniti, dove gli obiettivi prioritari del Governo tesi
all'innalzamento degli standards formativi sono oggi fortemente sostenuti dalla
grande maggioranza dell'opinione pubblica (cfr USA: 7
Priorità)
…e il Governo la vuole più seria o meno seria?
In
Italia non si sa bene quale idea di scuola il Ministero, il Governo, intendano
far passare. Se ci si voglia avviare verso una maggiore o una minore serietà
degli studi, se si vogliano innalzare o abbassare
gli standards formativi.
Da
un lato pare si voglia affermare
una scuola in cui si studia di più. La riforma dell’esame di maturità pareva
orientata a pretendere di più sul piano della preparazione, anche se è andato
progressivamente scivolando verso derive facilistiche.
Dall’altro lato, però, i documenti che il ministero emette vanno in senso direttamente opposto a questo messaggio. Nel documento sui "Saperi essenziali di base" si afferma che deve essere riconosciuta “pari dignità al segno di scrittura, all’immagine, al suono, al colore, all’animazione” e, parimenti, che si debbono “porre su un piano di pari dignità i diversi saperi” “in quanto tutti prodotti dalla mente umana”(!) Non si afferma nemmeno, come invece sta avvenendo in moltissimi paesi, la priorità della padronanza della lingua e della matematica nella formazione di base.
Altri
dubbi nei confronti della volontà di migliorare gli attuali standards di
preparazione vengono dalla struttura dei cicli che sottrae
un anno di studio all'attuale organizzazione scolastica.
Se
queste proposte sono poi lette alla
luce dell'indicazione data di abbandonare
lo studio individuale, il timore di
un abbassamento generale del livello di formazione sul
piano nazionale si tramuta in certezza.
In
riferimento a quest'ultima indicazione è opportuno ricordare quanto affermato
nella “Sintesi dei lavori” della
commissione dei Saggi del Maggio ’97 (che
non è mai stata inviata alle scuole, ma che è documento ufficiale, essendo
stata espressamente citata nel successivo documento sui “Saperi essenziali di base”).
La
parte riservata a ”Le coordinate metodologiche della nuova scuola”
(paragrafo 2, punto 1) si apre con questa solenne affermazione: “Compito
prioritario della nuova scuola è
la creazione di ambienti idonei all’apprendimento che a b b a n d o n i n
o la sequenza tradizionale le z i o n e - s t u d i o i n d i v i d u a l e - i n t e r r o g a z i o n e
per dar vita a comunità di discenti e docenti impegnati collettivamente
nell’analisi e nell’approfondimento degli oggetti di studio e nella
costruzione di saperi condivisi.”
Colpisce, in particolare, il fatto che non si dica di ”integrare”
la lezione e lo studio individuale, ma che questi dovranno
essere abbandonati
!
La
pedagogia di stato …..
E’
legittimo a questo punto interrogarsi sul concetto di pedagogia
di Stato e su quello di autonomia
didattica delle scuole e degli insegnanti.
Se
l’idea di scuola che si vuole far passare è quella
rappresentata dalla solenne affermazione sopra riportata sull’abbandono dello
studio individuale si rischia di voler
fare una riforma contro il 99% degli insegnanti, in definitiva, contro la società.
Ma
questo vuol anche dire che, proprio nell’avviare la riforma dei cicli e
nell’introdurre l’autonomia che ne è lo strumento, si opera non in
direzione dell’autonomia didattica, ma della tutela
didattica dei docenti, che vanno evidentemente premuti a fare quello che
non hanno mai voluto fare, quello in
cui non credono affatto.
Il
documento sui “Saperi essenziali di
base”, stilato dai sei saggi come sintesi del dibattito dei quaranta
(dopo il citato documento del maggio ’97), pur dichiarando di limitarsi a
indicazioni relative ai saperi e non ai
metodi, dà in realtà moltissime indicazioni
di carattere metodologico-didattico. Queste, per di più, sono in gran
parte molto lontane dalle impostazioni
praticate dagli insegnanti (e ciò vale anche per i più impegnati di
essi), così che finiscono per costituire un
generale messaggio
di sfiducia e sconfessione nei
confronti della generalità degli insegnanti, non di una minoranza retrograda di
essi .
…produce
nuovi conformismi
Una cosa deve essere chiara, se docenti e capi di istituto si sentissero
in dovere di assumere le metodologie gradite o “canoniche”, tenderebbero poi
a considerarsi comunque assolti rispetto ai risultati, grazie all'adempiuta
conformità delle procedure.
La
sensibilizzazione della scuola, delle
scuole, agli esiti della loro azione, unico
possibile innesco evolutivo del sistema scuola, non potrebbe avere
luogo. Finirebbero per imporsi vasti e
mortali conformismi e, fatalmente, un processo non nuovo di burocratizzazione
della didattica. Così è capitato ai tempi della asfissiante pedagogia
degli obiettivi e dei sottoobiettivi e della scheda di valutazione (poi soppressa da quelli stessi che
l’avevano introdotta - dopo dieci anni di sperimentazione e due di
adozione ufficiale).
In
realtà pare che una delle maggiori preoccupazioni del ministero sia come
far fare agli insegnati cose in cui non credono,
quando
dovrebbe essere chiaro che il
problema non è come piegare
gli insegnanti, ma come far
leva su di essi.
Se
l' autonomia è cieca…
E così, già ora, l’equivoco sull’autonomia è pressoché totale: l’autonomia è la flessibilità, il sistema di incentivi, la differenziazione delle carriere, la modularità nello svolgimento dei programmi, la programmazione di attività extracurricolari, la settimana corta, la stipula di convenzioni, ecc..
In
questo contesto, non essendo posta una chiara idea di scuola, forte e condivisa,
l’autonomia rimane non finalizzata,
sicché, secondo una dinamica assai nota, si finisce inevitabilmente per fare come
se il problema da risolvere fosse l’autonomia stessa: “l’autonomia
salverà la scuola”!
In
realtà è un’autonomia cieca,
una forma senza contenuto: si dà per scontato che la scuola sappia in quale
direzione formativa deve concentrare il proprio impegno per attuare il grande
cambiamento, ma così non è e il grande dinamismo è preso unicamente da se
stesso nella speranza di fare dei bei progetti di flessibilità, ecc.,
riconosciuti da quel che rimane dei provveditorati
agli studi, come poi dai nuovi organi dell’autonomia regionale.
….diamo
occhi all'autonomia
E invece l’autonomia porterà un processo evolutivo nella scuola solo se si riuscirà a risolvere il problema centrale: sensibilizzare la scuola ai risultati della propria azione. Per quanto si parli anche di responsabilizzazione delle scuole rispetto ai risultati, questo modello - l’inversione di cui sopra - non è affatto presente nel grande battage che accompagna la realizzazione dell’autonomia scolastica.
La condizione prima e più ovvia perché questa sensibilizzazione
abbia luogo è che deve essere chiaro
a tutti - alla scuola, agli utenti, alla società, allo Stato che
ne è garante- quali sono le
dotazioni cognitive e culturali fondamentali su cui tutti convengono, in
cui tutti credono e su cui perciò la scuola sia costretta a misurarsi senza
nemmeno aspettare per questo sistemi più o meno sofisticati di standard
nazionali.
Allora
sarà infatti la pressione ambientale a portare ad una selezione e ad una
evoluzione delle soluzioni che funzionano rispetto a quelle dispersive e
inutili, affrontando anche i rischi connessi con la maggiore responsabilità
decisionale. E’
in vista del risultato, cioè dell’apprezzamento sociale, che l’organismo
scuola si evolverà con tutta la flessibilità richiesta, articolandosi in modi organizzativi, gestionali e metodologici
sempre più fini, capaci, complessi in rapporto alla complessità dei problemi
da risolvere per conseguire, appunto, il risultato.
Raccogliere
e vincere la sfida
Si potrebbe essere tentati di obiettare che, per la verità, lo sappiamo già, in fondo, cosa vogliamo dalla scuola. È vero, ma sapevamo anche - del tutto inutilmente - che ci voleva il risanamento economico, finchè qualcuno non lo ha assunto veramente come scommessa su cui si giocava il futuro di una nazione. E ha saputo farlo in modo convincente.
Così doveva essere per la scuola. Non è stato così: non si è saputo credere alle risorse che sono già la sostanza viva e ricca della scuola e rilanciarla. Non si è saputo - finora... ! - raccogliere e lanciare un’idea di scuola capace di unire la nazione in un programma effettivo di rilancio, al punto da trasformare una categoria sfiduciata e demotivata come quella degli insegnanti in una forza trainante, facendo sentire loro, agli insegnanti, che si affida loro il futuro di una nazione, poiché la formazione è precisamente questo in un’epoca in cui la globalizzazione seleziona perdenti e vincenti sulla base della qualità nell’uso del bene intelligenza, in un'epoca in cui è il capitale umano a decidere il successo.