Cosa si aspettano di fare i giovani
dopo la fine della scuola secondaria?

Cosa dice il Focus n. 23

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I sistemi formativi devono gestire le aspettative dei giovani, per assicurare che le loro abilità trovino una realizzazione efficace nella società e nel mondo economico. Il sistema educativo gioca un ruolo cruciale e la sfida è di essere in questo efficace. Questo processo inizia presto, appena lo studente sviluppa le sue aspettative che debbono incontrarsi in modo adeguato con la realtà dell'economia e della società.

Fra 21 paesi partecipanti alla indagine PISA la percentuale di quindicenni che dichiara - in una risposta al Questionario Studente - che intende proseguire gli studi all'università varia notevolmente, dal 25% della Lettonia all'80% della Corea.

Nel complesso, sebbene la maggior parte dei sistemi scolastici siano impegnati ad ampliare l'accesso all'educazione terziaria, circa uno studente su quattro (il 25%) si attende di terminare la sua scolarità formale al livello secondario e pertanto necessita degli skills necessari per realizzare una transizione morbida nel mondo del lavoro e della vita adulta. Sono infatti alte le percentuali di disoccupazione fra i giovani non laureati fra i 15 ed i 24 anni; i paesi i cui questa percentuale è maggiore sono l'Austria (53%), la Repubblica Slovacca (40%), l'Italia (39%) e la Croazia (34%).

Quanto invece a chi vuole proseguire, in Australia, Singapore e Trinidad Tobago siamo sopra il 60%, mentre sotto il 40% si collocano gli studenti di Austria, Belgio (Comunità Fiamminga), Macao-China e Slovenia. Dal 2003, la Nuova Zelanda e la Polonia hanno registrato un notevole incremento in tale percentuale, mentre diminuiva significativamente quella di Ungheria, Italia, Hong - Kong e Macao.

Si tratta di aspettative realistiche? In larga parte sì, perché chi vuole proseguire ottiene nelle prove PISA di Lettura e Matematica risultati significativamente migliori di chi vuole fermarsi; del pari per lo più si tratta di studenti iscritti a percorsi scolastici di carattere generalista (licei).

Tuttavia in tutti i paesi vi è una percentuale significativa di studenti le cui aspettative non sono ben allineate con le loro abilità registrate al momento dell'indagine.

Molti studenti dalle basse performance ed iscritti a corsi di carattere professionale pensano di frequentare in futuro l'università, anche se il loro rendimento attuale suggerisce che non saranno in grado di farlo con successo.

Allo stesso tempo, molti studenti che ottengono alti risultati e che potrebbero avere più chance per ottenere la laurea non intendono andare all'università, in tal modo rappresentando talenti potenzialmente perduti per l'economia e la società.

Il primo caso è percentualmente relativamente alto in Australia, Irlanda, Corea, Messico, Serbia, Singapore e Trinidad Tobago. Questi sistemi dovrebbero capitalizzare le aspirazioni ambiziose di questi giovani, incoraggiando un maggiore impegno ed offrendo migliori opportunità di apprendimento, cosicché abbiano maggiori chances di successo.

Il secondo caso è relativamente diffuso – più del 10%- in Austria, Hong Kong, Islanda ed Italia. Questi sistemi dovrebbero mirare ad innalzare le aspettative dei loro studenti, rinforzandone l'impegno ed assicurando che la collocazione in percorsi generalisti o professionali sia basata sul merito e non sul background dello studente.

Gli studenti dei percorsi professionali potrebbero avere difficoltà a raggiungere la laurea o per difficoltà strutturali o per i limiti del loro curriculum. Ciò nonostante in Irlanda, Corea, Serbia e Trinidad Tobago, più del 40% aspira ad una laurea. Questi sistemi dovrebbero occuparsi di più dell'equità sociale e cioè che la canalizzazione scolastica sia fatta sulla base del merito.

In Italia

OCSE continua a sostenere una delle sue idee-chiave: la estensione della scolarità quoi que ce soit è un fatto positivo e perciò fermarsi alla formazione secondaria significa una perdita di potenziale umano e produttivo.

E' la tesi di chi sostiene che vi è un rapporto diretto fra ampliamento dell'educazione e crescita economica, tesi oggetto di innumerevoli lavori a partire dagli anni ‘50 negli USA fino ad estendersi a tutti i paesi sotto l'influsso dei grandi organismi sovranazionali (Banca Mondiale, Unesco).

Il rapporto fra i due fenomeni sarebbe dovuto al fatto che l'educazione aumenterebbe la produttività del lavoro o lo sviluppo della innovazione. A loro volta questi due fenomeni si correlerebbero reciprocamente. Il tutto va a confluire poi nella teoria del capitale umano come principale fattore di sviluppo ed ultimamente nella sua estensione al contesto sociale con il concetto di capitale – appunto – sociale. Grande banco di prova di questa tesi è stata la crescita delle Tigri ovvero dei Draghi dell'Estremo Oriente (Singapore, Corea del Sud, Giappone, Hong Kong, Taiwan) ed ultimamente anche di pezzi di Cina e di India. I quali Draghi o Tigri non a caso si trovano in cime alle graduatorie di crescita di PIL ed in cima alle graduatorie PISA.

Tuttavia prendere questa tesi per buona in assoluto, al di là dei concreti esiti storici e dei contesti culturali, sembra discutibile . Non solo perché, anche a proposito dei Draghi non mancano gli studiosi che intravedono in questi start up di nazioni non solo confucianesimo ed informatica, ma anche qualcosa della vecchia accumulazione originaria di marxiana memoria: capitali statali o stranieri, manodopera a basso costo.

Senza andare tanto lontano, anche quello che è successo e succede nella vecchia Europa ha qualcosa da dire in proposito. E ciò che sembra poterci dire è: dipende. Le alte percentuali di alfabetizzati, diplomati e laureati dei paesi dell'Est ai tempi dei sistemi socialisti non sembra avessero una automatica ricaduta positiva sul loro sviluppo economico.

L'incremento della scolarizzazione secondaria italiana si è molto orientato nell'ultimo decennio verso formazioni “leggere” più utili a fungere da status symbol per giovani e famiglie che da training per professioni serie ed utili al paese . Probabilmente i ricercatori OCSE non conoscono i nostri corsi di Scienze della Formazione o della Comunicazione.

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