Che influenza hanno sui sistemi scolastici le ripetenze e i trasferimenti di scuola?

Cosa dice il Focus n. 6

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Dai calcoli degli economisti risulta che le bocciature costano molto, naturalmente in proporzione alla percentuale degli studenti che vi incorrono.

Ne vale la pena?

La percentuale di studenti ripetenti presenti nel campione dei diversi Paesi (e perciò, si deve supporre, nell'universo indagato) è in relazione inversa con il livello degli apprendimenti: gli studenti che hanno ripetuto sono in fondo alle graduatorie. In definitiva, più nei diversi Paesi è diffusa la bocciatura, meno i quindicenni sono competenti nella loro lingua ed in matematica. Inoltre, nello stesso caso, il background socio-economico ha un impatto più forte, cioè i risultati scolastici sono più socialmente determinati e la scuola non è uno strumento di mobilità sociale.

Ciò avverrebbe perché le scuole e gli insegnanti non mettono in atto efficaci politiche di variazione e personalizzazione delle attività scolastiche, avendo a disposizione uno strumento di apparente soluzione dei problemi quale la bocciatura.

In Italia

Nel nostro Paese prendere in considerazione la bocciatura sotto l'aspetto costi – benefici è considerato un punto di vista strumentale, non degno della riflessione pedagogica.

Prevalgono due punti di vista antagonisti: chi considera la bocciatura come un indicatore di serietà (e di efficienza?) della scuola e ne invoca il ritorno, anche se non è mai sparita dalle nostre scuole e chi la demonizza a priori come causa di frustrazione e di sofferenza psicologica, in via subordinata come strumento di selezione sociale.

Nel nostro sistema è però di grande evidenza il fatto che la ripetenza è fortemente diffusa negli ordini di studi che accolgono i ceti con status economico-sociale più bassi, orientati alla formazione per il lavoro (soprattutto gli istituti professionali).

Questo dato segnala la difficoltà della scuola di misurarsi con gli interessi e gli orientamenti degli allievi.

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