TESTO INTEGRALE DEL DISCORSO DEL MINISTRO FIORONI
AL CONVEGNO INVALSI , ROMA 04/12/07

Non serve un'ulteriore riforma escatologica

Soltanto alcune rapide osservazioni ringraziando l'INVALSI su questa mattinata di approfondimenti e di riflessioni e soprattutto per quello che si metterà in campo.

Io volevo solo sottolineare due aspetti che fanno da sottofondo ai dati che oggi avete presentato e che mi sono di conforto nella scelta di tre cose.

La prima: se questi dati che, sostanzialmente, mi sembrano stazionari nel corso degli anni e, se qualche segnale lo danno, lo danno dopo le elementari, in senso negativo. Il primo dato che mi viene in mente è che serve qualcosa di diverso che un'ulteriore riforma escatologica della scuola italiana, perché, se a parità di riforme, più riformiamo e meno sappiamo, c'è qualcosa che non quadra. E credo che questo sia un aspetto che dobbiamo considerare. Questo non è legato alla qualità della riforma, ma è legato molto probabilmente al fatto che, se riformiamo molto e apprendiamo poco, conserviamo i beni culturali di questo paese come conserviamo la riforma della scuola, ma i risultati non si vedono.

Questi dati ci danno l'alfa e l'omega di quello che dobbiamo fare

Credo che servano alcuni requisiti , che questi dati ci impongono, prima di un'altra straordinaria riforma.

Siccome, ogni volta che giro e frequento chi è molto più esperto di me, mi ha sempre chiesto qual' è la visione ultima della scuola, io credo che questi dati ci danno la visione prima, ci danno l'alfa ed anche l'omega di quello che dobbiamo fare prima di metterci ad inventare altro.

E credo che questi dati ci dicano due cose.

La prima: che, molto probabilmente, se non ce ne eravamo accorti perché c'eravamo distratti, da qualche decennio l'Italia vive in una terribile emergenza educativa. E vive in una terribile emergenza educativa che è tale quando una società non riesce più ad educare ed istruire i propri figli. L'unica risposta che non può essere data a questo è pensare che la scuola risolva questo problema da sola e, magari, lo risolva mettendoci sopra un altro centinaio di migliaia di milioni di euro.

Credo che questi dati ci dimostrino che questa emergenza educativa riguarda la scuola, riguarda la famiglia, riguarda il sistema paese. E viene prima, prima di qualunque altra cosa.

Se per il 90% dei nostri ragazzi serve più un santo in paradiso e un amico un po' potente che quello che si impara a scuola, occorre ripristinare il merito e l'eccellenza.

Se i nostri ragazzi sono meno motivati, c'è sicuramente la scuola che deve migliorarne la voglia di essere curiosi, di istruirsi, di sapere, di apprendere, ma c'è pure la necessità di un paese che renda evidente che lo sforzo e la fatica e il sacrificio di studiare hanno qualcosa a che vedere con le prospettive di realizzazione delle proprie aspettative, delle proprie capacità di trovare lavoro e creare una famiglia.

E se i nostri ragazzi - lo dimostrano questi dati come lo dimostrano altre indagini che abbiamo fatto con lo Sviluppo Economico- per il 90%, unico dato che fa l'unità d'Italia, ritengono che alla fine serve più un santo in paradiso e un amico un po' potente per quello che si farà, che quello che si impara a scuola, questo ci dimostra che noi siamo un paese che vince l'emergenza educativa, se ripristina, nella società prima e nella scuola poi, il merito e l'eccellenza.

E questo non significa fare una scuola selettiva e neanche una scuola di classe, questo significa rispettare il dettame costituzionale che dà a ciascuno di noi la possibilità di accedere alla classe dirigente del paese o ai lavori e alle professioni che ritiene opportuni, non in base a ciò che ha , ma in base a ciò che è, alle competenze e ai saperi che ha. Se noi rimuoviamo il merito dalla scuola e dalla società impediamo …

I dati dell'OCSE, leggeteli!

La nostra scuola non è un ascensore sociale perché non si ripristina il principio del merito

Quando in un paese il 40% è insufficiente di saperi e di competenze e ci accorgiamo che questa media è raddoppiata nelle famiglie che hanno difficoltà economiche o di disagio, significa che la nostra scuola non è un ascensore sociale e, se non è un ascensore sociale, è anche perché non si riesce ad intervenire ripristinando un principio di merito, perché nella società siamo in presenza comunque di una situazione in cui il privilegio, il monopolio della gerontocrazia è imperante. Neanche i tassisti riescono a fare, se hanno voglia di farlo, non parliamo dei medici o dei farmacisti, non parliamo degli avvocati o di qualunque altra cosa. E quando noi pensiamo in questo paese di liberalizzare qualcosa, ci viene subito il sospetto: a chi la togliamo per darla a chi? Ci fosse uno a cui viene in mente che questa cosa è legata all'opportunità di dire ai nostri ragazzi che, se faticano, se sgobbano, se studiano, se diventano capaci ed acquistano saperi e competenze, possono farlo perché vincono sul campo la sfida del mondo del lavoro o dello studio o della ricerca.

Una scuola che ha studenti poco motivati è una scuola che parte con l'handicap

E questa non è una cosa di poco conto, perché una scuola che ha studenti poco motivati e che non hanno le motivazioni è una scuola che parte con l'handicap.

E quando quest'handicap si radica su una scuola che ha differenze anche geografiche, tra sud e nord del paese, aggrava anche, come dimostra l'OCSE, le difficoltà di saperi e di competenze di una parte di paese rispetto all'altra.

Una scuola che ha bisogno di ritornare all'eccellenza e di incentivarla, di stimolarla.

Il “ non uno di meno” non può essere la scusa per mandare avanti tutti i poveri di saperi

Se c'è un dato dal 2004 ad oggi è che le eccellenze si accorciano ed i poveri di saperi e di competenze si allargano. L'esatto contrario di una normale fisiologia. Non c'è. Allora incentivare l'eccellenza non è solo aver fatto il decreto legislativo, averci messo sopra le risorse, ma essere convinti, come scuola che se la incentiviamo facciamo correre tutti quanti in una situazione di disagio.

Il “non uno di meno” dobbiamo rileggerlo, perché l'abbiamo fatta l'unità d'Italia, l'alfabetizzazione l'abbiamo raggiunta , il "non uno di meno" significa che non possiamo permetterci di avere uno di meno con le competenze ed i saperi che devono avere e, se questo comporta che qualcuno debba soffermarsi a studiare di più, vorrà dire che lo sosterremo, lo proteggeremo, sosterremo le famiglie, ma non può essere la scusa con la quale mandiamo avanti tutti poveri di saperi e di competenze.

Questo lo dobbiamo leggere nella scuola media inferiore, colleghiamo i dati della primaria con la media inferiore, vediamo come entrano, vediamo come escono e ci accorgiamo ...

A me non è che preoccupa che ne bocciamo il 2,2%, a me preoccupa che tra “sufficiente” e “buono” ne promuoviamo il 70%, sapendo che i “sufficiente” non sanno quel che dovrebbero e i “buono”lo sanno a malapena e questa cosa non funziona. Poi possiamo girarla e raccontarcela come ognuno di noi … “Non uno di meno“ non è liberarsene, perché se erano bravi da soli, se non vengono più a scuola, forse diventano più bravi. Il problema è che quelli che ci vengono, dobbiamo sentire la responsabilità di dargli ciò che dobbiamo.


Torna ad inizio pagina